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martedì 29 ottobre 2019


NEBBIA FITTA
Oggi si parla tanto di riscaldamento globale e cambiamenti climatici. C’è chi dice c’è e chi dice non c’è.
Nel mio piccolo posso dire che qualcosa è effettivamente cambiato: la nebbia fitta, il nebbione che una volta calava sul mio quartiere sia di giorno che di notte e soprattutto in inverno, quello che si tagliava con il coltello…. non c’è più. Dove è finito? Boh.
Al massimo in qualche sera c’è nebbia come me la ricordavo, soprattutto dove passa il Lambro, per le altre la visibilità è sempre sufficiente. Si può guidare, andare in giro, vedersi tranquilli. Non influisce più sulla vita sociale come una volta.
Ovviamente non so il motivo preciso per cui questo cambiamento è avvenuto, l’avevo notato già verso gli anni ‘90 nella pianura padana.
Guidare con la “scighera” (come mia nonna chiamava il nebbione) era infatti praticamente impossibile. Era come essere immersi nel latte, non vedevi nulla e i rumori ti giungevano appannati. Meglio stare a casa o in Osteria.
Per chi la viveva male era un incubo (quelli del sud in genere la detestano), ma per chi ci è nato ha una sua profonda bellezza. Rende tutto più mistico, indefinito, vago. Immerso nella nebbia tutto diventa possibile. Ricordo che a mio zio la mattina presto piaceva respirare la nebbia e sentirla andare giù nei polmoni. “Senti che belèssa!” diceva ad un Luchino infreddolito.
Durante una partita di pallone, che comunque sprezzanti giocavamo, c’era una tale nebbia che non vedevo nemmeno la porta avversaria. Io ero pure miope e con gli occhiali, sai che sugo. “Tartaro, tu stai in difesa.” Maledetti.
Ogni tanto mi arrivava un pallone che calciavo “a orecchio” verso chi urlava “Luca! Qui!”. E una volta mentre ero a centrocampo ho sentito gridare “Goool!!!”, ma non ho capito chi aveva segnato a chi.
Era tutto più suggestivo e indefinito… Ciao pepp!


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