DIAMOND DOGS
E tutte quelle ore
di insegnamento, cara la mia maestra di musica, le volevamo buttare
via?
Ed ecco allora che
il tuo giovin virgulto, insieme ad altri lupacchiotti del quartiere,
formava i sempre amati in fondo al cuore DIAMOND DOGS. “Cani di
diamante” da una canzone di David Bowie.
Nella storica foto
del 1980 potete notare da sinistra Paolo (Pecorini 16, bassista),
Claudio (viale Ungheria, chitarra solista), seduto Joseph (via
Salomone, batterista), Mirko (Tre Ponti, voce), Luca (io me, Pecorini
8, chitarra ritmica). Giovani, speranzosi e pieni di sogni.
Abbiamo provato e
riprovato nella mia cantina, rompendo i maròni a tutto il quartiere
(ancora oggi, grazie per la pazienza!). Come isolante acustico
avevamo foderato le pareti dei mitici cartoni delle uova, perfetti
isolanti acustici. Ma qualcosa non aveva funzionato e il tum tum
della batteria lo sentivano fino al bar Peck.
Facemmo un solo vero
concerto di cui non c’è la registrazione, conservo solo la
scaletta delle canzoni. Peccato non averne traccia acustica.
Anzi meno male, ho
il sospetto che oggi sarebbe imbarazzante sentire Space Oddity
suonata da noi.
Diciamo solo che non
eravamo granché come musicisti, la tipica garage band senza pretese,
meno male che la memoria sfuma tutto. Ma la voglia di suonare vi
assicuro che quella c’era, assaissimo!
Io ricordo che
aprivamo con me che cantavo Back in URSS, misconosciuto capolavoro
dei Beatles. Quanto mi divertivo! Era un sogno che diventava realtà.
Figus!
Il momento clou era
quando il batterista si alzava e bacchettava le corde del basso
mentre il bassista si produceva in un assolo free jazz new sound punk
inglese (l’idea non era nostra, l’avevamo vista in un concerto
della PFM).
Inesperti però come
eravamo, mettemmo gli amplificatori troppo alti come volume ottenendo
in sala un casino terribile.
Risultato: tutti
quelli nelle prime file dopo tre secondi si alzarono e si accamparono
in fondo a guardarci straniti. Ricordo la mamma di Paolo Maio a metà
concerto venire da noi a chiedere se potevamo suonare un valzer.
Perché eravamo
troppo avanti. Voi non capite l’arte!
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