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giovedì 31 ottobre 2019



LA MODA DEL FORLA

Non mi ricordo se nel quartiere Forlanini negli anni ‘70 vigesse una moda particolare per l’abbigliamento, ma rammento una mia nettissima sensazione: in quegli anni il mondo dei “ggiovani” in Italia era nettamente spaccato in due.

Da un lato c’erano quelli che pensavano a divertirsi, che si recavano in discoteca, sballavano con l’alcool, stavano molto attenti al look, di destra, Febbre del Sabato Sera, discomusic e musica italiana etc.
Dall’altra parte c’erano invece quelli impegnati, che partecipavano ai dibattiti politici, sballavano con la droga, trasandati (“casual, prego”), zecche di sinistra, cantautori musica rock etc.

L’ho fatta breve e ho semplificato ma chi era giovane negli anni ‘70 sa di cosa sto parlando. La divisione era netta: o stavi di qua o di là; io ero nel gruppo “zecche” per la cronaca. I due gruppi bene o male si equivalevano e i vestiti li identificavano da lontano.

Chiedo pertanto aiuto alle fanciulle in ascolto, notoriamente più attente, all’epoca come bisognava vestirsi? Quali capi andavano per la maggiore? So benissimo che l’abito fa il monaco e prima ho detto di no ma potrei sbagliarmi, ma esisteva il Look Forlanini? Quante tragedie davanti allo specchio. “Vado bene se esco così?”

Io per esempio ricordo per la mia “parte” jeans a zampa di elefante (sempre odiati, stanno bene solo a chi è spilungone), camicie militari, loden verde con i tagli alle maniche (comodo, potevi grattarti le balle senza essere visto), scarpe timberland. Per le ragazze gonne a fiori, zingarate e capelli ricci.
Ovvio che dall’altra “parte” cambiava tutto. Il diavolo veste Prada...anzi, Fiorucci e Naj Oleari!

(nella foto d’epoca occhio al look)






DIAMOND DOGS

E tutte quelle ore di insegnamento, cara la mia maestra di musica, le volevamo buttare via?
Ed ecco allora che il tuo giovin virgulto, insieme ad altri lupacchiotti del quartiere, formava i sempre amati in fondo al cuore DIAMOND DOGS. “Cani di diamante” da una canzone di David Bowie.

Nella storica foto del 1980 potete notare da sinistra Paolo (Pecorini 16, bassista), Claudio (viale Ungheria, chitarra solista), seduto Joseph (via Salomone, batterista), Mirko (Tre Ponti, voce), Luca (io me, Pecorini 8, chitarra ritmica). Giovani, speranzosi e pieni di sogni.

Abbiamo provato e riprovato nella mia cantina, rompendo i maròni a tutto il quartiere (ancora oggi, grazie per la pazienza!). Come isolante acustico avevamo foderato le pareti dei mitici cartoni delle uova, perfetti isolanti acustici. Ma qualcosa non aveva funzionato e il tum tum della batteria lo sentivano fino al bar Peck.

Facemmo un solo vero concerto di cui non c’è la registrazione, conservo solo la scaletta delle canzoni. Peccato non averne traccia acustica.
Anzi meno male, ho il sospetto che oggi sarebbe imbarazzante sentire Space Oddity suonata da noi.
Diciamo solo che non eravamo granché come musicisti, la tipica garage band senza pretese, meno male che la memoria sfuma tutto. Ma la voglia di suonare vi assicuro che quella c’era, assaissimo!

Io ricordo che aprivamo con me che cantavo Back in URSS, misconosciuto capolavoro dei Beatles. Quanto mi divertivo! Era un sogno che diventava realtà. Figus!
Il momento clou era quando il batterista si alzava e bacchettava le corde del basso mentre il bassista si produceva in un assolo free jazz new sound punk inglese (l’idea non era nostra, l’avevamo vista in un concerto della PFM).

Inesperti però come eravamo, mettemmo gli amplificatori troppo alti come volume ottenendo in sala un casino terribile.
Risultato: tutti quelli nelle prime file dopo tre secondi si alzarono e si accamparono in fondo a guardarci straniti. Ricordo la mamma di Paolo Maio a metà concerto venire da noi a chiedere se potevamo suonare un valzer.

Perché eravamo troppo avanti. Voi non capite l’arte!



mercoledì 30 ottobre 2019


PORTICINE

Le femmine avevano la pista di pattinaggio ma noi avevamo i box.
Bastava che uno aprisse il box con le chiavi di suo padre ed ecco bell’è fatta la porta. Il babbo era al lavoro con la macchina per cui era bella vuota, pronta per i tiri più di viulenza.

Anzi, volendo non c’era nemmeno bisogno del box, alla bisogna si usavano le scalette che portavano fuori dai box, diventavano le famose “porticine” in cui infilare il pallone. Una qui, una in fondo ai box ed ecco pronto il campo. Irregolare, magari fatto a L ma c’era.

Macchine all’epoca ne transitavano assai poche nei box, al limite si sospendeva (“macchinaaaa”) finché passava. Dato che le famose porticine poi erano piccine non c’era nemmeno bisogno del portiere fisso, si fissava a turno il “portiere volante” -che poesia in certe definizioni dei piccoli-, l’unico che vicino alla porticina aveva il diritto di usare anche le mani.
Quante partite allo spasimo in questi campi senza erba ma con tantissima voglia di giocare.

Le partite duravano ore. Ripensandoci ai genitori faceva comodo che si giocasse nei box. Bastava affacciarsi al balcone e ci vedevano subito. Bella idea quella di costruire una fila di box interrati sotto le case, risolveva tanti problemi. Chissà se gli architetti immaginavano usi ludici.

Perché il bello del gioco del calcio è la sua semplicità, si può giocare ovunque e comunque e si adatta ad ogni contesto, le regole sono flessibili e non c’è bisogno di nulla (neanche del pallone, se non c’è si può pigliare a calci qualsiasi cosa, una volta abbiamo usato una cassetta di frutta fino a sfasciarla). L’unica cosa che ci deve essere per forza è la voglia di giocare e quella in noi ragazzini non mancava mai.

Giocano ancora a porticine? I bambini giocano ancora nei box o restano sempre chiusi?
E sapete poi che ho fatto fatica a trovare una foto dei box di Pecorini? (chi ce l’ha le tiri fuori). Eppure per noi erano importantissimi!





LA TRASGRESSIONE DI MIA NONNA

Era una bella domenica di sole. L’aria era tiepida ma non afosa, si stava proprio bene..
La famiglia aveva appena finito di mangiare all’aperto alla Trattoria Monluè, in uno di quei tavolini di pietra sotto il pergolato. Quel giorno il cuoco della Trattoria si era superato e il risotto era stato favoloso.

Dopo il dolce per i bambini e il caffè per gli adulti, ia nonna Emilia stupendo tutti chiese, ottenendola, una sigaretta. Non l’avevo mai vista fumare, era una di quelle donne vecchio stampo tutte di un pezzo. Ricordo ancora lo sbigottimento nella tavolata.
“Ma come, nonna, tu… fumi?”
“Capita”, rispose lei tirando una boccata. Si notava come l’avesse già fatto, perché i suoi gesti erano naturali.

Non me ne stavo rendendo conto, ma mia nonna quella volta stava dando a noi ragazzini una lezione di vita.
Ogni tanto...è bello lasciarsi andare.




martedì 29 ottobre 2019

COME DIVENTARE UN CHIERICHETTO
Avevo già postato questa foto, ma dietro c’è una storia che non ho raccontato.
Siamo nella chiesetta di Monluè e l’occasione era importante, la comunione di mia sorella Matilde.
Non ricordo bene perché preferissimo la piccina Monluè alla più grande e impersonale Nicolao della Flue, forse ai tempi (1970) era ancora in costruzione. Boh. Comunque, come molti di voi sapranno, se potevo scegliere anche allora avrei preferito Monluè, mi sentivo più accolto. La imponente Flue da bambino mi spaventava un po’.
Comunque siamo lì io e il mio amico Riccardino in primo banco che aspettiamo l’inizio della cerimonia, quando un prete trafelato esce dalla Sacrestia e si diresse verso di noi.
“Voi due! Venite, quelli previsti non vengono, c’è bisogno subito di due chierichetti!”
“Ma noi non l’abbiamo mai fatto…”
“Non vi preoccupate. Vi dirò io quello che dovete fare. Oggi c’è pure il Vescovo, ci mancava anche questa. La Madonna ci aiuterà!”
Fu così che io e Riccardino entrammo nella sacrestia del Monluè. Avevo 9 anni, era la prima volta che ci entravo. Ricordo una stanza piena di libri e oggetti sacri. Il prete (penso fosse il famoso Don Daniele) ci vestì con i paramenti sacri e intanto ci dava le raccomandazioni.
“Mi raccomando, uno da un lato, uno dall’altro. Fate quello che vi dico io. Tu come ti chiami?”
“Luca.”
“Ecco, tu Luca porta la candela accesa. Oggi la corrente va e viene. Quando te lo dico avvicinati con la candela, così il Vescovo riesce a leggere il Messale”.
Il Vescovo era un uomo vecchissimo, con la voce tremolante e una gran barba bianca. Era molto gentile con noi chierichetti, un sant’uomo. A metà cerimonia Don Daniele mi disse di avvicinarmi con la candela, così c’era luce per leggere il Vangelo.
Non sapevo bene “quanto” avvicinarmi e per anni mi presero in giro dicendo che volevo bruciare la barba al Vescovo!
Nella foto penso che il mo spaesamento si noti. Uff! Matilde, missione compiuta! E ora tutti a mangiare i confetti 



NEBBIA FITTA
Oggi si parla tanto di riscaldamento globale e cambiamenti climatici. C’è chi dice c’è e chi dice non c’è.
Nel mio piccolo posso dire che qualcosa è effettivamente cambiato: la nebbia fitta, il nebbione che una volta calava sul mio quartiere sia di giorno che di notte e soprattutto in inverno, quello che si tagliava con il coltello…. non c’è più. Dove è finito? Boh.
Al massimo in qualche sera c’è nebbia come me la ricordavo, soprattutto dove passa il Lambro, per le altre la visibilità è sempre sufficiente. Si può guidare, andare in giro, vedersi tranquilli. Non influisce più sulla vita sociale come una volta.
Ovviamente non so il motivo preciso per cui questo cambiamento è avvenuto, l’avevo notato già verso gli anni ‘90 nella pianura padana.
Guidare con la “scighera” (come mia nonna chiamava il nebbione) era infatti praticamente impossibile. Era come essere immersi nel latte, non vedevi nulla e i rumori ti giungevano appannati. Meglio stare a casa o in Osteria.
Per chi la viveva male era un incubo (quelli del sud in genere la detestano), ma per chi ci è nato ha una sua profonda bellezza. Rende tutto più mistico, indefinito, vago. Immerso nella nebbia tutto diventa possibile. Ricordo che a mio zio la mattina presto piaceva respirare la nebbia e sentirla andare giù nei polmoni. “Senti che belèssa!” diceva ad un Luchino infreddolito.
Durante una partita di pallone, che comunque sprezzanti giocavamo, c’era una tale nebbia che non vedevo nemmeno la porta avversaria. Io ero pure miope e con gli occhiali, sai che sugo. “Tartaro, tu stai in difesa.” Maledetti.
Ogni tanto mi arrivava un pallone che calciavo “a orecchio” verso chi urlava “Luca! Qui!”. E una volta mentre ero a centrocampo ho sentito gridare “Goool!!!”, ma non ho capito chi aveva segnato a chi.
Era tutto più suggestivo e indefinito… Ciao pepp!


lunedì 28 ottobre 2019


AMICI DI BRUS LI, IN CAMPANA!

Complice l’arcigno Don Piero, che vigilava a modo suo sul livello di moralità pubblica del quartiere, al cinema teatro Delfino non si proiettavano film di kung fu, che negli anni ‘70 andavano abbestia. Troppo violenti e vagamente blasfemi, potevano corrompere i giovani.
“Cavoli, è questo il bello”, mugugnavano i giovani passando davanti ai cartelloni con le solite commedie rosa o al massimo film retorici di guerra.

Penso di non mai visto nemmeno una tetta al Delfino, roba che adesso la vedi nelle pubblicità. Avete presente le prime scene di “Nuovo Cinema Paradiso”, con il prete che fa suonare la campanella per tagliare ogni scena di bacio? Ecco.

Ma noi zòvani avevamo l’arma segreta, il Cinema Adua a Ponte Lambro dove chi non faceva casino era un pirla. Un vero cinema, adesso finito come tutte le cose belle, roba da ambientarci una serie Netflix.
I film di Bruce Lee, spaghetti western o mostroni giapponesi etc tutti in quel minicinemino con le panchine di legno li ho visti. Durante gli intervalli ricordo mostruose gare a lanciarsi cartacce e pop corn o pestare con i piedi sul pavimento. Nessuno ci limitava. Uscivi assordato ma felice.

E dopo era bello tornare in quartiere con gli amici e durante il tragitto mimare il kung fu o 8 dita di violenza. Ayaaak! Spacco tutto! Sempre ragazzi di periferia alla ricerca di idoli eravamo.
Anche se una volta, alla fine della pellicola, la bella cinesina con gli occhi adoranti chiese al ragazzo che aveva sconfitto tutti a mazzate: “Ma tu….tu cosa vuoi dalla vita?”
Il fiero combattente, non degnandola di uno sguardo ma rivolto verso il sol dell’avvenir, rispose altero: “Cosa voglio?...Il kung fu!”
E dal fondo della sala buia si udì una voce: “Piiiirla!!!”





UN FIUME DI MACCHINE

Un grande amico dei tempi della scuola media -11/13 anni- fu Paolo Maio, che abitava nella altissima torre di Pecorini 16. Per me che come sapete abitavo al piano rialzato, andare a trovarlo significava scalare le vette più impervie. Non so più a che piano abitasse, forse al 100°, l’ascensore mi portava su su.

Quando oggi nelle riviste vedo le foto dei grattacieli di Dubai, con le guglie che sbucano dalla nebbia, il Luchino che è in me alza il ditino e dice “come dalla finestra di Paolomàio!”

Dalla finestra di camera sua si vedeva infatti in basso piccolino il Campetto Ragusa (che grazie a questo gruppo ho scoperto esisteva veramente, non era solo un mio ricordo sbiadito, grazie!) e soprattutto sullo sfondo la Tangenziale Est e oltre Monluè. Quando andavo a trovarlo mi mettevo sempre vicino alla finestra.

Ero incantato dalla Tangenziale Est. Passavo minuti a guardarla, era come guardare un fiume scorrere. Sempre piena di macchine in movimento e non si fermavano mai, di sera correvano con le luci accese. Sempre diversa ma sempre uguale, un fiume ininterrotto di macchine.

Era molto bella, stranamente questo eterno movimento mi dava serenità. E sono sicuro che anche adesso che lavoriamo statici dietro una scrivania (nello studio o come Paolo in banca) questo fiume scorre dentro di noi. Anche a chi è cresciuto in una grigia periferia, penso mentre mi addormento, la vita concede grande bellezza.
Penso che ognuno di noi da giovane ha avuto i suoi momenti di bellezza in Quartiere, questi sono i miei.




sabato 26 ottobre 2019

LA NOSTRA COMUNITA’
Essendo un quartiere popolato da più di 10.000 persone, è ovvio che in Forlanini ci sia una percentuale di persone handicap...disab...diversamente abili. Io stesso ne ho conosciuti tanti sin dagli anni ‘80 e posso assicurare che in ogni palazzo che vedete girando ce n’è più di uno, a volte leggeri ma a volte molto gravi.
Alzandosi l’età e invecchiando la popolazione media è ovvio che la percentuale di persone bisognose poi tenda ad alzarsi.
Ma il vero milanese ha “il coeur in man” e non lascia da sole le famiglie. Figuriamoci poi in un quartiere che per le famiglie era nato. Sin dal 1981 è attiva in Forlanini “La nostra comunità”, una associazione di volontariato che è cresciuta e ormai assiste quasi 100 ragazzi della zona.
Come sede ha ottenuto dal Comune l’ex asilo in via Zante 36, che per metà è il Centro Anziani di cui ho parlato altrove e per metà è destinato a loro. Vi rinvio al loro sito lanostracomunita.org , dove spiegano bene chi sono, cosa fanno, cosa faranno etc. Se volete dare una mano -sempre gradita- telefonate allo 02.715535 e se anzi non sapete a chi dare il 5x1000 sappiate che potete controllare subito come vengono spesi i vostri danè (c.f. 97026250155).
E’ un altro esempio di un quartiere che è una comunità, fatta di persone che si conoscono e cercano nella gioia e nel dolore di aiutarsi l’un l’altra.



MO’ VE LO BUCO ‘STO PALLONE!

Roccatagliata fece uno dei suoi tiri balenghi ma questo era più sbilenco del solito e la palla si infilò dentro una finestrella aperta. A farlo apposta non ci sarebbe riuscito.
Era il bagno dei Misuraca, comandati da un rabbioso capofamiglia. Si udì qualcosa rompersi e una bestemmia in aramaico.
“Oh cavoli e adesso?”
“Ragazzi mi spiace.”
“Come riprendiamo il pallone?”

Maurizio Iezzi aveva appena finito di dire la frase che dal portone di Pecorini 4 sbucò un Misuraca incazzatissimo, in canottiera e pantaloncini. Urlava sempre di solito contro di noi ragazzini come un babàu, ma quel giorno era nero e faceva paura.
Ma soprattutto….in una mano teneva il nostro pallone e nell’altra un coltellaccio da cucina! Con un urlo satanico squarciò il pallone che poverino si sgonfiò con un lamento.

Noi eravamo a distanza di sicurezza ma vedemmo tutto.
“Nooooo!”
“Il pallone!”
Campassi cent’anni non lo dimenticherò mai. Povero pallone!




giovedì 24 ottobre 2019

LA LINGUA DEL FORLANINI
Che lingua si parlava al Quartiere Forlanini? Per tanti anni avrei risposto “italiano, no?”.
Ma succedeva che quando andavo fuori dal Quartiere, per esempio d’estate in colonia, e aprivo bocca si mettevano a ridere. “Come parli milanese! Sembri Renato Pozzetto! Parli come Boldi!” e tutti a scimmiottarmi dicendo “E la madonna!” e piacevolezze varie.
Mi resi presto conto che parlavo con un marcato accento milanese (di cui non mi accorgevo), che alcune parole le dovevo “tradurre” e che bene o male tutti in Quartiere parlavano così.
Come ho scritto altrove il Forlanini è stato negli anni ‘70 e ‘80 un grande “melting pot”, un pentolone che ha mescolato ragazzi e ragazze di tutta Italia. Il minestrone che ne è uscito fuori era per la lingua tipicamente lombardo.
Parole in dialetto meneghino si usavano senza problemi. Forse non più milanese stretto ma certo non ancora italiano. E quando torno in quartiere e lo sento, sta emergendo un lato profondo della mia persona. E’ la lingua dell’infanzia, quella che ho appreso per prima.
Nessun linguaggio per me è così intimo e personale. Non solo l’amore: spesso quando voglio esprimere una volgarità o sono inkzato scatta in automatico.
E se mi rivolgo ad un bambino piccolo, senza accorgermi, tante volte ho notato gli parlo affettuoso così. E’ proprio il primo linguaggio.
Io per esempio quando parlo uso quasi sempre l’italiano. A volte mi sforzo di esprimermi pure in altre lingue, come sono colto. Ma se ti parlo in dialetto…vuol dire che ti sto aprendo il cuore. Te capì?


BUONI RICORDI
Noi siamo la nostra memoria. E se i nostri ricordi sono buoni, allora è più facile essere felici. Ogni volta che entriamo in questa pagina vogliamo sentire dentro di noi un buon ricordo.
Perché non esiste tesoro, non è stato trovato ancora nulla di più importante per una persona di un buon ricordo che risale all’infanzia. Chiamiamolo “buon ricordo” come scriveva Dostoevskij nei suoi romanzi o “pensiero felice” che fa volare come diceva Peter Pan…non ha importanza. L’importante è che sia nel nostro cuore e scaldi dentro come un sole invisibile. Illumina anche la notte.
A loro si fa riferimento nei momenti più bui, sono loro il pavimento su cui cammina la mente. Ognuno ha i suoi. Fulvio Scaparro, noto psicologo milanese, rivolgendosi ai genitori separati li esortava a continuare a costruire buoni ricordi nei loro bambini, evitando accordi ingiusti e conflitti in cui metterli in mezzo. Non è mai troppo tardi per un buon ricordo.
Forse avete visto “Inside out”, il cartone animato della Pixar, quando nelle scene iniziali la fatina Gioia mette una pallina d’oro al centro della mente della bambina. Ecco, quello è un buon ricordo.
Continuate a visitare questa pagina e a coltivare la memoria, è utile!


MA TE DE PRECISO….CHI CAZZO SEI?
“Luca, l’appuntamento quotidiano con il tuo post per me è diventato fisso. Hai ridato nuova vita a questa pagina facebook che oramai era morta! Avanti così!”
“Ah grazie. Come ho spiegato altrove ci sono entrato solo per caso, dopo che il mio amico Davide Corradi me ne aveva parlato. Ho aperto il rubinetto della memoria e i ricordi scendono ancora.”
“Però Luca, io ti devo confessare una cosa. Sai che non mi ricordo di te? Ho cercato nella mia memoria ma non mi ricordo un ragazzo come te.”
“Non mi stupisce. Ero un tipo piuttosto defilato e più che altro osservavo e prendevo nota. Inoltre ero timido assai, non mi approcciavo facilmente e bazzicavo più che altro la compagnia del 4. Ero estraneo ai giri soliti.”
“Eppure dovremmo avere circa la stessa età.”
“Che vuoi che ti dica. Forse è stato meglio così, ero invisibile e giravo ovunque!”
“Ed eri pure il padrone di Carbonella, la cagnetta amatissima dai bambini di quartiere.”
“E non dimenticarti di Matilde, mia sorella. Lei sì che se la ricordano.”
“Tempesta bionda! E chi se la scorda. Seeeenti, ma tua madre è quella che oggi gira al n° 8 con un bassotto? Ogni tanto la incrocio.”
“E’ Cleo, il nostro bassotto nano. Già uno nasce bassotto, se poi è pure nano è la fine! Non noti delle analogie? Come si fa a farsi notare?”
“Ma te de preciso...che faccia avevi?”


mercoledì 23 ottobre 2019

IL RITO DEL GIOVEDI’ SERA

Crash huch vamp gulp!
sbam bam bang gulp!
sig splash gulp!

Sguesh sob puof gulp!
snef soc sciaf gulp!
snif snif gulp!

Flash toc bom gulp!
bamm pamm zibin gulp!
scrash uolch gulp!

Ciuf ciuf tuu gulp!
tic tac drin gulp!
pciu smak gulp!

fumettiintivù fumettiintivuuu


martedì 22 ottobre 2019

LE BAMBINE SI DIVERTONO A CIELO APERTO
Per arrivarci dovevi scalare una piccola montagnetta e in alto sul cucuzzolo trovavi uno spazio quadrato di granito liscio e recintato. Era una spianata accessibile a tutti, non molto grande (come l’area da rigore di un campo da calcio per intenderci) ma ben visibile dai palazzi intorno che la circondavano.
Una liscissima pista di pattinaggio pensata apposta per le ragazze, dove le adolescenti del quartiere si sfidavano in acrobazie sui pattini a rotelle tra grida e urla di incoraggiamento. Quante gare!
Sempre sia lodato chi l’aveva ideata. Un colpo di genio che risolveva tanti problemi con un minimo sforzo. L’ennesima dimostrazione di un Quartiere pensato per bambini... e bambine.
Ogni tanto c’erano dei maschi che organizzavano partitelle di pallone ma, a parte il fatto che era una chiara invasione di “campo”, prima o poi il pallone per un tiro sbilenco finiva nel cortile della vicina caldaia e per recuperarlo bisognava scavalcare le grate. Mica facile, meglio andare da un’altra parte.
“Ecco, bravi!”, dicevano accigliate le fanciulle vedendoci andare via.
C’era poi una altissima torre, visibile dalla Tangenziale, che sovrastava il campo. Chissà che vista si godeva da lassù. D’inverno sbuffava fumo, segnale che le case erano riscaldate.
Tanti anni fa vedevo la spianata dal salotto di casa mia e sempre notavo che era piena così di adolescenti. Adesso invece è deserta, quelle che schettinavano sono cresciute e sono andate via.
Ricordo una ragazza col gonnellino rosso e i capelli lunghi, quando volteggiava faceva sognare.



L’ALBA DI CRAXI

Gli anni ‘70 furono dal punto di vista politico molto turbolenti e poco simpatici, “anni di piombo” che trovarono il culmine con il sequestro di Aldo Moro. Discorso ampio, ne parliamo altrove.

Limitiamoci a dire che il Quartiere Forlanini, di stampo familiare ma pur sempre proletario, fu per fortuna sfiorato dagli eventi che invece vicinissimo esplosero (in via Monte Nevoso a Lambrate trovarono il famoso covo BR). Non ricordo da noi episodi simili, anche se si vedevano spesso riconoscibili poliziotti in borghese perlustrare la zona.

Chi sa potrebbe parlare ma, anche se dopo più di 40anni c’è prescrizione, le bocche resteranno cucite. Forse.

Comunque in quegli anni un partito crebbe impetuoso, il Partito Socialista guidato dallo spregiudicato Bettino Craxi. E Milano era il feudo di Craxi, tant’è che a sindaco ci aveva messo il cognato Pillitteri.

Ho partecipato a poche riunioni del Consiglio di Zona presso l’Anagrafe di Viale Ungheria, ma ricordo bene che i socialisti spadroneggiavano. A cavallo tra i ‘70 e gli ‘80 in zona se volevi iniziare qualcosa dovevi passare da loro.

E già si mormorava che non potevi farlo gratis. Ricordo che per essere solo ascoltato, un consigliere mi disse chiaro che dovevo prendere la tessera del partito. La cosa mi piaceva poco (non si fanno questi discorsi ad un 20enne idealista) e me ne andai.

Insomma, in pochi anni il PSI di Craxi dilapidò anni di lotte operaie e resistenza ai fascisti. E che dolore per mio nonno, vecchio socialista partigiano amico di bicicletta di Pietro Nenni, vedere il suo partito ridursi così.

Poi nel 1992 arrivò Mani Pulite e una classe politica venne spazzata via.

(nella foto giovani ragazzi del Forla nella tana del lupo)



lunedì 21 ottobre 2019

HARMONY
Sulla 45 da ragazzo incontravo spesso una studentessa di cui non ho mai saputo il nome, era castanina e con gli occhiali. La vedevo sempre assorta nella lettura di un Harmony, i romanzi di letteratura rosa che leggeva anche mia sorella. Dovevano essere proprio appassionanti perché non alzava mai la testa.

Per curiosità a casa ne presi uno e iniziai a leggerlo, non mi ricordo più il titolo. Narrava la storia di una ragazza timidissima, appena uscita dal collegio, che lavando i pavimenti incontrava per caso un famoso medico. Il medico si innamorava perdutamente di lei, della sua innocenza e, anche se la suocera si opponeva, alla fine la convinse e vissero tutti felici e contenti.

“Ma tu guarda -mi dissi-, la fiaba di Cenerentola adattata ai tempi moderni, molto originale”. Poi ne presi un altro (sono scritti larghi e si leggono in fretta), era la storia di un’umile segretaria senza arte né parte che lavorava per un un campione sportivo, che ben presto si innamorava della sua virtù e gentilezza. Malgrado per le competizioni girasse mezzo mondo sempre indotto in tentazioni, alla fine tornava comunque da lei e alla fine vissero felici e contenti. “Ma… ma è uguale!”, mi dissi.

Presi il terzo. In questo una giovane giornalista molto imbranata intervistava un noto politico che si innamorava della sua giovin…. Lo chiusi, sapevo già come andava a finire. “Ma no -mi dicevo-, sarà una degenerazione moderna, magari una volta non era così.”

Aprii un libro di Liala, scrittrice rosa amatissima da mia nonna: nel libro succedeva che nel campo di una povera contadina atterrava un prestante pilota d’aereo, asso di guerra. L'eroe, incantato dagli occhi e dalla squisita cortesia della fanciulla, le prometteva eterno amore e dopo la guerra tornò da lei. “Nonna, anche tu?

Mi scervellai tutta la notte. Il giorno dopo sul tram incontrai la castanina, come al solito assorta. Mi misi davanti e le dissi qualcosa. Non mi ricordo più la frase esatta, era qualcosa del tipo “conosco questa collana di libri”, era proprio solo un timido tentativo da parte mia di rompere il ghiaccio. La ragazza sbuffò e si voltò verso il finestrino, continuando a leggere e ignorandomi. Ci rimasi male e decisi lasciarla stare (grave errore Luca giovane, te lo dice il Luca vecchietto, dovevi insistere).

Da allora, ogni volta che in un libro (50 Sfumature) o in un film (Pretty Woman) ritrovo sotto sotto la trama di Cenerentola, mi ricordo di quei libretti insulsi. Volendolo, si impara da tutto.

SPOILER DA PSICOLOGO: come mai la fiaba di Cenerentola ha così tanto fascino ed è praticamente immortale? Spiegazione che mi son dato io: perché a tutte dà speranza. Rappresenta la possibilità che la brutta vita di oggi possa cambiare da un giorno con l'altro, un ascensore sociale infallibile, e tutto ciò grazie all'amore, un sentimento così "facile" da provare. Nulla è perduto bambina mia, anche tu sarai felice. Che poi questo abbia prodotto una miriade di cuori spezzati è altra cosa, ai bambini fa bene sognare e questi libretti insegnano a sognare.


domenica 20 ottobre 2019

LOST GENERATION
“Ciao Genoveffa, grazie che mi sei venuta a trovare.”
“Non potevo mancare, Luca bello, sai che ogni domenica io e tua madre passiamo a trovarti. Ti cambiamo le lenzuola e ti portiamo la pastasciutta buona. Cuntent?”
“Cume un pulaster tra i gain. Sempre gradita. A proposito, sai che sul sito del Forla ho scritto del Centro Anziani di via Zante, quello che mi hai detto frequenti?”
“Ah sì? E cusa l’è che te scrivet? “
“Quello che dici sempre tu, Geno, che è nato dove prima c’era l’asilo, che è frequentato da tutti i vecchietti del Quartiere, che fate tante tantissime cose. Ho visitato anche il vostro sito internet, vi date da fare parecchio, vedo che ballate in sede ogni weekend che Gesù bambino manda in terra. Ma musica registrata o con l’orchestrina?”
“Sempre dal vivo! Di solito sono in 3 o 4 e questa domenica balli di gruppo.”
“Quanta vitalità. A proposito, ma per loro a che età si diventa anziani?”
“A 55 anni. Io mi volevo iscrivere a 52 ma non mi hanno voluta.”
“Troppo giovane eheheh. Hanno paura della gioventù!”
“Taci, che la prima volta che sono entrata mi hanno guardato tutte storto.”
“Avevano paura che eri una rubacuori. Non è mai troppo tardi! Ah Geno Geno, quanti ne hai fatti piangere...”
“Ma va, ero io che piangevo! E tu Luca scherzi ma per tanto tempo mi facevano i dispetti, si erano coalizzate. Mi facevano perdere l’equilibrio durante le prove di danza, mi rubavano l’ombrello, mi parlavano alle spalle! Alla fine ho preferito occuparmi della biblioteca, lì almeno ero più tranquilla”
“Ma….non ci credo. Non è possibile.”
“Cosa non è possibile? Dimmi Luchino.”
“Ma, Genoveffa, con l’età non si raggiunge la maturità?”
“Ciao Pepp!”
“Ma...è come essere all’asilo. Anche a 70 anni si fanno questi discorsi del cazzo?”
“A 70? A 80! Tu non hai idea delle malignità che girano.”
“Oh cavoli. non me l'aspettavo-"
"Il corpo invecchia ma il cuore no!”



IL GIGANTE DEL QUARTIERE

Mio padre stava guidando, io ero con mia sorella nei sedili dietro. Stavamo entrando in Forlanini quando lo vidi dal finestrino. Mi sono fatto coraggio e ho chiesto.

“Papà, cos’è quello?”
“Quello cosa?”
“Quel pallone rosso grande. Ogni mattina sta in alto, durante il giorno si abbassa poi ho notato che la notte risale.”
“Ah, il gasometro dell’Ortica. E’ quello che rifornisce la zona di gas per le cucine. Durante il giorno lo consumano tutto e si affloscia, poi di notte si gonfia e torna bello splendente.”
“Mi sembra una cosa viva, papà, che respira.”
“Ho letto sul giornale che ora lo vogliono smantellare, è malandato e molto rovinato.”
“E per le cucine come faranno?”
“Il gas lo porteranno coi tubi.”
“Ahhh. Che peccato però, papà. ”
“Perché peccato? Milano cambia, migliora, il suo profilo è sempre in mutazione.”
“Mi sembrava un gigante che protegge il quartiere. Era bello, sembrava vivo!”



sabato 19 ottobre 2019

UNA APPARENTE DECADENZA

I figli crescono e le mamme imbiancano.
E così un quartiere pieno di bambini pullula presto di adolescenti e motorini. Poi ci sono i primi matrimoni, i battesimi, qualcuno sparisce nel mondo, l’età media si alza e non si vedono più passeggini e zaini ma sempre più nonni con il bastone, vecchie coppie rimaste nel loro grande nido vuoto. In quartiere ormai la sera cala presto il silenzio.

Uno dei segni più clamoroso dell’invecchiamento del Quartiere Forlanini fu la trasformazione dell’Asilo di via Zante in Centro Anziani, dove i pensionati ora si ritrovano per chiacchierare, giocare a carte, corsi di computer, fare feste gentili. Ormai di bambini piccini non ce n’erano più ma era un peccato abbandonare la struttura. Non so a chi venne l’idea ma è giusto, una nuova vita.
E dove vedovi e vedove con un cuore rimasto ancora giovane possono ancora sperare in un nuovo destino. Ma meglio non parlare di questo, qualcuno potrebbe scandalizzarsi. Limitiamoci a dire che l’amore si trasforma e vive ancora.
Un vecchio muratore mi raccontò che entrando per cambiare l’asilo non dovettero modificare granché a parte i bagni: c’erano ancora i gabinetti e i lavandini piccolini! Fu un lavoro semplice in fondo, troppo spesso vediamo gli anziani come un peso. Spesso hanno più entusiasmo dei 20enni invece e alle ore 15 di ogni weekend suona l’orchestrina per un valzer, un liscio, un ballo di gruppo.
Guardate il loro sito internet (sono vecchi, non rincoglioniti) http://www.centrozante.it/ Sono previsti tanti appuntamenti.
Insomma, a vederla dall’esterno il Quartiere per il passare degli anni attraversò una naturale decadenza. Gli agenti immobiliari qui presenti potrebbero confermarlo: per tanti anni il Quartiere, in sé povero di attrattive, non risultava molto “vendibile” e i prezzi calavano inesorabili.

Ma il grano non muore, dorme sottoterra e le cose buone prima o poi ritornano. E ora le coppiette ritornano, si ricominciano a vedere passeggini e facce giovani. Anzi, a Milano adesso con tutto il suo verde il Quartiere Forlanini è quasi diventato un posto in!


COME TUTTO INIZIO’
Era il 26 dicembre 2017, avevo ancora il pranzone di Natale sullo stomaco quando arrivò una telefonata. Aprendo il cellulare però mi scappò un ruttino.
“Burp!”
“Oè, ma si apre così?”
“Mi scusi stavo ancora digerendo.”
“Ti ricordavo diverso, Luca.”
“Lei mi conosce?”
“Certo, sono Davide!”
“Abbiamo ristretto il campo a tutti i Davide del mondo.”
“Ma dai che sai chi sono, frocio!”
“Ma te de preciso….chi cazzo sei?”
“Sono Davide! Davide Corradi!”
“Aspetta, il nome mi evoca qualche neurone...antichi ricordi...forse...anni ‘70...Pecorini 4?”
“Bravo!”
“Sì mi ricordo di te! Anche di tuo padre! Dalla finestra ci gettava secchi d’acqua gelata addosso se facevamo casino!”
“Papà è in pensione ora.”
“Incredibile, ora mi ricordo bene bene. Davide della compagnia del 4! Era almeno... 40 anni che non ti sentivo più. Quanto tempo, a momenti mi era passato di mente, lo giuro e spergiuro.”
“Che ti entri un topo in culo!”
“Che ti entri tutto dentro se tu rompi il giuramento. Sì sì sei proprio tu, ti riconosco. Come stai?”
“Bene bene. Sto organizzando una riunione di tutti i compagni di classe del quartiere, ci stai?”
“Volentieri, perché no? Sarà bello rivedersi. Ma tu pensa, dopo tanto tempo...”
“Se mi dai la tua mail ti invio anche delle foto di classe che mi ha mandato Paola Boltin. Te la ricordi la Paola?”
“La Boltin….la Boltin….forse...Era la bella della classe?”
“Erano in due a contendersi il titolo.”
“Ricordo due occhi azzurrissimi. Il resto no però.”
“Ti rifarai. Tu abiti a Milano?”
“Certo, non sto più in quartiere però.”
“No problem. La settimana prossima ti veniamo a trovare io e Jason così ce la contiamo su e ci aggiorniamo.”
“Jason? E chi è?”
“Massimo Iezzi!”
“Massimo, l’amicone di quegli anni! Vi devo assolutamente vedere, abbiamo 40 anni da recuperare!”


venerdì 18 ottobre 2019



IL GIOCO DELLE TARGHE
Premessa: immagina di essere una giovane fanciulla sognatrice, segretamente molto segretamente innamorata di un ragazzo. Non so, mia cara amica ormai adulta da anni, se ti era mai capitato.
Il problema: ti struggevi e chiedevi "che ne sarà di noi? Mi ama o no? Cosa succederà?" Guardavi fuori dalla finestra, camminavi per strada, disegnavi cuoricini sul diario e intanto sospiravi.
La soluzione: per saperlo con precisione c'era un metodo segretissimo e sicuro, che ognuna portava nel cuore. Dalle Alpi in giù tutte le ragazze italiane lo sapevano.
Bastava guardare le targhe delle macchine che passavano, la prima che finiva con una doppia cifra avrebbe svelato l'arcano.
Ed ecco come leggerle:
00 Amore vero (mi ama!)
11 Come lui non c'è nessuno (il sentimento è profondo)
22 Le mie labbra sulle sue (buone notizie  )
33 Il mio amore pensa a me (continuano le buone notizie)
44 amore matto (perché passionale insomma)
55 il mio amore finge (ahia)
66 il mio amore pensa a lei (noooo)
77 le cornette (vendetta!)
88 amore cotto (va bene va bene)
99 c'ho le prove (se la giovine pensava a qualcosa)
Era una magia infallibile, il destino conosce a fondo la nostra vita e forniva segnali ogni giorno, anche in un piccolo quartiere di periferia, bastava leggerli.
Come dice il Mago Tartaro "le stelle ci guardano, ne hanno viste tante, loro sanno bene come andrà a finire".


giovedì 17 ottobre 2019


28 GETTONI

“Nonno, nonno! Raccontaci una storia!”
“Oh nipotini miei, il nonno vi accontenta subito. Cosa volete sentire?”
“Una storia dei tuoi tempi!”
“Va bene, allora dovete sape...cos’è questo rumore?”
“Scusa nonno, è il mio cellulare. Mi ero dimenticato di spegnerlo.”
“Quell’aggeggio che i giovani hanno sempre in mano. Ma ditemi un po’, è tanto utile?”
“Utilissimo nonno, possiamo utilizzarlo come camera fotografica, possiamo registrare video, ascoltare musica, navigare in internet…”
“Anche telefonare?”
“Tutto. Possiamo fare un sacco di cose con internet. Mi sa che ai tuoi tempi te lo sognavi un dispositivo così.”
“Sì, sognavo. Nipotini miei, vi rivelo un segreto. Avvicinatevi. Lo sapete che io… io sono più vecchio di internet?”
“Ohhhh…”
“Eppure è così, è la verità.”
“Impossibile. E come facevi a telefonare?”
“Di solito usavo il fisso che stava in salotto.”
“Ah, come quello che usa la nonna.”
“Se però...se però volevo fare una telefonata privatissima allora usavo i gettoni e andavo nelle cabine telefoniche.”
“Ehh? Cosa usavi? Cabine?”
“Piccole casette con dentro un telefono pubblico. Dovete sapere che (abbassa la voce, i nipoti si avvicinano) prima di sposare la nonna stavo con una ragazza che abitava lontano lontano. Quando volevo parlare con lei e non volevo farmi sentire mi riempivo le tasche di gettoni, che erano grandi come le monetine da 1 euro, e andavo nell’unica cabina telefonica del mio quartiere che si trovava in Piazza Ovidio, a un paio di chilometri da casa.”
“Cioé per fare una telefonata tu dovevi uscire di casa?”
“O così o niente. E una volta che avevo 28 gettoni in tasca nel tragitto verso Piazza Ovidio ho composto una canzone.”
“Ce la fai sentire?”
“Eh, è passato tanto tempo… mi ricordo solo che iniziava così: “28 gettoni per telefonare alla mia ragazza, 28 gettoni per dirle t’amo in una maniera pazza, per dirle ascoltami tesoro sento tanto la tua mancanza”...ehhh l’amore….”
“Ma tu guarda! Anche il nonno è stato innamorato!”




TUELLA

“Ciao, è da molto che aspetti l’autobus della 45?”
“Dieci minuti. Mi sa che era appena passato, perché non c’era nessuno alla fermata.”
“Vabbè cazzo tocca aspettare, tanto stamane non è che muoio dalla voglia di andare a scuola.”
“Sempre il primo della classe eh? Intelligente ma non si applica.”
“Cazzo mene, per quelle quattro cose di merda che dicono. Minchia però che freddo stamattina, ma perché non mettono i gabbiotti che almeno ci ripariamo dal vento?”
“Perché siamo in periferia e non valiamo un piffero. Bisogna imparare a soffrire e tu ci riesci benissimo!”
“Vaffancul. Aspetta che compio 18 anni e voto. Poi gli faccio vedere io.”
“Votando? Qui ci vogliono le bombe. Ma...oddio l’ho vista!”
“L’autobus della 45?”
“No, una Prinz! Tua!”
“No, tua senza ritorno!”
“Aspetta ora la vedo meglio, non vale, è nera.”
“Vale lo stesso, frocio che non sei altro!”
“No, vale veramente solo se è verde e dentro ci sono 4 suore.”
“Seee e magari la targa finisce pure con 77 le cornette. Uè a proposito guarda chi sta arrivando, quel faccia da pirla di Sergio.”
“Ciao ragazzi, è molto che aspettate l’autobus?”
“Guarda, abbiamo preso qui la residenza .”
“Questi stronzi se ne approfittano perché la 45 è l’unico legame che ha il quartiere con la città!”
“Puoi sempre camminare dritto fino a Piazza Ovidio e prendere il 27, eroe. La 45 è di tutti, è mia è sua, è... è di ella! La 45 è tuella!”
“Arriva!”