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domenica 16 agosto 2020

L’OMICIDIO DI GIANNI VERSACE

Per molto tempo ho evitato di pensare a quel giorno. Era il 15 luglio 1997, faceva caldo. Davanti alla sua lussuosa casa di Miami, un ignoto sicario (poi si scoprirà chi è stato) sparava alla testa dello stilista calabrese. Sgomento in tutto il mondo, non solo della moda.

Nello stesso momento, dall’altra parte del mondo, in un reparto di neurologia di Milano uno spaventato Luca Tartaro entrava nello studio del primario per conoscere il suo destino. Era ormai due settimane che era ricoverato, gli avevano infilato sondini e aghi da tutte le parti per sapere l’origine di quei misteriosi disturbi. I medici quando passavo abbassavano la voce, brutto segno.

Era tempo di sapere la diagnosi.

Il primario mi fece accomodare con un sorriso e iniziò a leggere i referti con voce professionale. Caro Luca, qui c’è scritto che va così e così, e poi così e così, vuol dire che così e così, la diagnosi sarebbe questa. Ma non ti preoccupare anche se è così e così, tutto deve essere confermato tra un anno. Per ora è solo una possibilità.

“In quel caso tra quanto tempo finirò sulla sedia a rotelle?”, chiese il Luca che non era stupido e si era informato.

“Non ci pensi, può avere lo stesso una vita piena”. Capivo che sapeva qualcosa che io non sapevo. Oggi ne sono sicuro, era già certo della diagnosi ma voleva darmi lo stesso un filo di speranza.

Uscii dallo studio frastornato. C’era vicino la sala tv del reparto. Un telegiornale stava trasmettendo dalla Florida servizi su Versace. Entrai, mi sedetti ad un tavolo e rimasi così a lungo, con la testa tra le mani.



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