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lunedì 30 agosto 2021

HAI MAI CONOSCIUTO UN PASTORELLO? CHE IMPRESSIONE TI HA DATO? 

Ogni volta che accendeva un falò nel deserto australiano, Bruce Chatwin se lo aspettava: entro mezzora sarebbe arrivato qualcuno a fargli compagnia. Da dove sbucava? Boh. Ma un fuoco nel deserto aveva un incredibile potere socializzante.

Quando mi capitò sotto gli occhi questo passo de “Le vie dei canti” credetti subito allo scrittore: anche a me era capitata la stessa cosa tanti anni prima.

Vi ricordate certo di quando ho descritto le mie prime esperienze di campeggio: avevo 14 anni e imparai ad accendere un fuoco e tante altre cosette. Una sera, mentre io e il mio amico eravamo indaffarati con le fiamme, si presentò Simone, che stava passando da quelle parti con il suo gregge.

Era il primo pastorello che conoscevo in vita mia. Pur avendo lui 13 anni, quindi uno in meno di me, me lo ricordo come un ragazzone grande e grosso. Aveva la mano sinistra storpia perché da bambino aveva dato un pugno ad un vetro, che si era rotto lacerandogli i tendini.

Per me, ragazzo di città, era una figura quasi mitologica: pensavo che i pastorelli esistessero solo nelle favole e invece eccone qua uno dal vero.

Simone era molto taciturno. Dopo essersi lavato i capelli ricci nell’acqua fredda del ruscello, si sedette vicino al fuoco in silenzio per asciugarsi. Si vedeva che era abituato a parlare poco, rispondeva a monosillabi e non ci pensava nemmeno a fare conversazione. Stava così, in silenzio a guardare il fuoco.

Dato che aveva un magnifico bastone di legno gli feci i complimenti e dissi che era stato fortunato a trovarne uno così, già piegato. Lui stupito mi rispose che no, l’aveva curvato lui.

Curvare il legno? E’ impossibile, ci vogliono anni. A queste parole Simone si alzò e andò verso gli alberi. Tornò con un ramo bello diritto, lo sfrondò, si sedette accanto al fuoco e mise il ramo a scaldarsi sul fuoco, stando attento a non bruciarlo. Poi, quando era bello caldo lo prendeva tra le mani, anche quella storpia, e lo sforzava lentamente. Scaldava il legno e lo sforzava, lo scaldava e lo sforzava.

Incredibile, il legno aveva iniziato a piegarsi ed entro mezzora il bastone era pronto! Quando ebbe finito, Simone me lo regalò dicendo “Tieni” e poi se ne andò. Non l’ho mai più rivisto.

Ho conservato quel bastone per anni, poi si è perso in qualche trasloco. Per me era l’esempio concreto che “impossibile” in realtà vuol dire “non sono capace, ma un modo per farlo esiste”. Grazie Simone.



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