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lunedì 18 novembre 2019

LA PATENTE
A differenza di voi furbissimi, che già a 16 anni guidavate il catorcio di vostro fratello maggiore, io arrivai ai 18 anni senza avere mai veramente guidato.
Eppure volevo la Patente, quella vera, per viaggiare nel mondo in autonomia. Un sogno. Da bravo bambino, mi iscrissi alla Scuola Guida vicino alla banca in piazza Ovidio, seguii tutte le lezioni e all’esame teorico dopo qualche mese feci un figurone, 10 su 10. Che ci voleva?
Sulla carta ero bravissimo. Malgrado tutte le lezioni, però era la pratica che mi fregava.
Ricordo ancora il giorno dell’esame, la prima volta il serissimo ingegnere, che aveva gli occhi azzurri e la camicia intonata agli occhi (strano come rimangano impressi certi dettagli), disse perentorio: “Vada a destra”.
E io, emozionato come una biscia...girai a sinistra.
“Tartaro, dove cazzo è la destra!!?”, urlò quello della Scuola Guida al mio fianco.
Inutile dire che venni bocciato. Non fui l’unico quel giorno, ma che smacco.
Bisognava affrontare di petto la situazione. Con cautela, mo padre mi portava a fare pratica vicino all’Aeroporto, dove si snodano stradoni immensi e isolati. Era pure piena estate, non si vedeva anima viva. Perfetto.
Piano piano imparai ad essere più sciolto. Un pomeriggio sorpassai pure un ciclista (non lo sai, ma ti ricorderò per sempre).
L’incubo vero per me erano i parcheggi ma essendo in estate le distanze erano ampie. Oggi sono il mago del parcheggio ma all’epoca confesso la mia imbranataggine.
Comunque il giorno dell’esame arrivò. Non si poteva fallire, se andava male la seconda volta dovevo rifare tutto daccapo. Misi me stesso in modalità zen e l’esame andò benissimo.
E finalmente nel 1980 ottenni la patente, ero tra i primi del mio gruppo e con il Dyane verde decappottabile della Citroen (il “rospo”) di mia madre ero capitano, guida e nostromo. Era come avere il pallone quando si giocava a calcio, eh sì ero io che decidevo. Beeeeello...
Quanti chilometri nella ma vita, quante macchine da allora. Beh, ma questa è un'altra storia.
Nella foto un Dyane verde. Non si rompeva mai, consumava poco, era decappottabile (l'ara fresca mi turbinava i capelli che ancora avevo) e la carrozzeria era di semplice latta. Insomma, era l'amore mio.


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