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domenica 17 novembre 2019

LA DIFFERENZA

Come neolaureato in Psicologia svolsi il tirocinio in un ospedale per anziani, dovevo intervistarli per un pomposo progetto intitolato “Il benessere psicologico nella terza età”. Quante cazzate. A ripensarci, all’epoca dovevo essere il tipico dottorino appena uscito dall’Università “so-tutto-io”. Odiosissimo.
Però non me ne accorgevo perché tutti i vecchietti quando mi vedevano mi facevano grandi sorrisi e complimenti: “come è bravo!”, “che bella voce che ha, Dottore!”, “Oggi è elegantissimo!”. E io ero così tonto che ci credevo e cascavo (oddio, ci casco ancora oggi, ma questa è un’altra storia).
In uno dei primi incarichi mi mandarono nel reparto dei malati di Alzheimer e demenza senile per delle interviste. Mi recai dalla malata conciata meno, una signora che mi accolse sdraiata a letto e con cui si poteva ancora parlare anche se talvolta biascicava.
Stranamente mi ricordo bene il colore azzurro della vestaglia, in tinta con un mazzo di fiori sul comodino. Questo è quello che ricordo del dialogo di tanti anni fa.

“Belli questi fiori, signora.”
“Me li ha portati ieri mia nuora. Li ho tenuti anche se gli infermieri non vogliono fiori in reparto.”
“Eh sì, portano batteri.”
“Non ha importanza. Io li voglio qui vicino a me. Ogni tanto questa notte quando ero sveglia li guardavo e piangevo.”
“Lei piange spesso?”
“Ogni notte mi faccio la mia bella piangiutina. Poi sento gli uccellini la mattina e capisco che è arrivato un nuovo giorno.”
“E fa fatica a dormire?”
“Ormai più che 2 o 3 ore per notte non riesco. Dico le preghiere ma spesso cado in uno stato di malinconia che dura ore. Mi sento stanca anche se non ho fatto niente.”
“Se posso azzardare una interpretazione lei mi sembra un filo depressa, signora.”
A quelle parole la signora mi guardò decisa. Ma non c’era rabbia o risentimento nei suoi occhi.
“Dottore, io non sono depressa, io sono triste.”
“E che differenza c’è?”
“Lei non conosce la differenza, Dottore? Ah ma è normale, lei è così giovane. Mi sento triste perché… ho avuto una perdita.”
“Lei è in lutto? E’ morto qualcuno?”
“In un certo senso sì. Sono morta io. Ho perso la mia salute, la mia autonomia, sto incominciando a perdere i ricordi. Si sentirebbe così anche lei se fosse nella mia situazione.  Sa che ieri non mi ricordavo più il nome di mia nuora? Eppure voglio così tanto bene a quella ragazza. Sono così felice che ha sposato mio figlio…”
Qui la signora si mise a piangere. Io non sapevo bene cosa fare, per fortuna mi ricordai delle parole del mio maestro “Quando non sai che cosa dire, non dire niente”. La signora continuò.
“Ho paura, ho sempre paura. Già ho dovuto accettare quella lì –e indicò una sedia a rotelle- e poi… poi temo di ridurmi presto come lei”. Stavolta mi indicò la sua compagna di stanza, che dormiva immobile.
Io ero sempre senza parole. Quella anziana donna si stava sfogando.
“Lo sa, Dottore, che quella si spaventa quando passa davanti ad uno specchio? Non si riconosce, vede una estranea e si mette ad urlare.”
“Eh sì, in effetti avevo notato che in questo piano non ci sono specchi.”
“Ho paura di finire come lei, di non riconoscere più nulla, di perdere la mia dignità. E so…so che presto sarà così. Tutti i giorni prego Padre Pio perché venga a prendermi –si asciugò gli occhi, poi mi guardò-. Ce n’è abbastanza per essere triste, no?”
Io pensavo…non so che pensavo. Forse che non si finisce mai di imparare.
“Mi faccia andare a casa mia, Dottore. Voglio andare a casa.”
“Lei ha una bella casa, signora?”
“Oh sì, è piccolina ma è proprio giusta per me. E’ in campagna. Da quando è morto mio marito, povero, l’ho arredata con tutte le mie cose. Lì mi trovo bene. Mi faccia tornare a casa Dottore, la prego.”
“Lo dirò al Primario, non si preoccupi. Ma lei perché era qui?”
“Mi era venuta una infezione e non riuscivo a curarmi da sola. Inoltre un giorno avevo dimenticato una roba sul fuoco. Ma adesso ho capito cos’ho, mi prenderò una infermiera, mi farò seguire. Lo dirà al Primario?”
“Certo.”
“Come sono contenta.”

Beh, forse alla fine a qualcosa servivo.

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