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domenica 3 aprile 2022

MILANO E L'ARTE NEGLI ANNI'60

“Ah Luca, che tempi! Ero giovanissima e ricordo mia cugina, Nanda. Bellissima, non consanguinea, imparentate dal bisnonno tenore che ha avuto due mogli, la mia nonna e la sua. Era folle nel suo lavoro di architetto, allieva di Lucio Fontana che per lei perse la testa.

Mi ha portato a conoscerlo nel suo studio in Corso Monforte, con un soppalco e un finestrone pieno di luce che dava sul cortile di quella vecchia casa.”

“Hai visto il mitico studio di Lucio Fontana! Bello!”

“Tele enormi appoggiate ai muri, tutto era bianco. Lui parlava dello spazio, diceva che era importante raffigurarlo, farne un’immagine e abitarlo. Lei ha lavorato tanto con lui per la sua galleria, L’Apollinaire,

e quando Fontana è morto si è vestita di rosso e si è messa in testa al corteo funebre che partiva da lì. La moglie dell’artista allora ha fatto una scenata memorabile e fisica, l’hanno staccata a stento da Nanda, che era meravigliosa, una valchiria bionda e gelida. Milano ne ha parlato per anni…”

“La storia dell’amante vestita di rosso al funerale l’avevo sentita anch’io. Però non sapevo che era successo al funerale di Fontana.”

“I concetti di Fontana hanno creato un movimento che stava sopra, come un’onda più alta, ai fatti del futuro ‘68. Si parlava solo di arte. I galleristi non erano pronti ma il numero degli artisti cresceva: i primi, Piero Manzoni

- che poi sposò Nanda non so con che formula: mia madre prestò loro un piccolo appartamento per un po’ di tempo - il fascinoso Enrico Castellani, il padre del Minimalismo

che non tagliava le tele anzi ne spingeva in fuori la superficie, punti di morbide esplosioni di bianco, fantastici.

C’era Roberto Crippa, Agostino Bonalumi...”

“Artisti di grande livello. Oggi le loro opere valgono milioni.”

Questi artisti milanesi stavano cambiando davvero le nostre pareti e il concetto era talmente evidente: improvviso bisogno di luce, necessità di avere una superficie pulita su cui riflettere, svecchiare i muri, aprire finestre che erano grandi tele e sentire il colore abbacinante nella testa, colore di nuovo. bianco. Non c’erano ritorni di denaro ancora ma poi i rappresentanti dei grandi mobilieri, Cassina B&B, tutto l’Ottagono che aveva un suo numero mensile per cui negli ultimi anni 60 ho lavorato - e non per caso era una rivista bianca, quadrata, con il nome bianco e in rilievo!-

facevano aprire negozi monomarca a Milano, in centro, e proponevano quel movimento di pittori per accompagnare l’arredamento moderno esploso nel ‘63.”

“Ah Marina che bei tempi, che fermento. Chi rappresentava allora un mobilificio era una persona moderna, mica un grezzone.”

“Sì Luca, persone di cultura e di influenza e conoscenze nella propria città. Lo si vede ancora oggi, i bei negozi di arredamento sono quegli spazi aperti in quegli anni. Gli anni ‘60 a Milano, che decennio irripetibile.

“Ecco come ha fatto Milano a diventare capitale del Design!”

“La città si muoveva, gli artisti hanno creato il loro manifesto, Azhimut.

Quanti marciapiedi invasi da gente per l’arte in quella Milano d’estate, davanti a uno spazio affittato per una mostra collettiva così diversa dai quadri che tutti avevamo in casa! Mi ricordo di via San Marco, larga e affollata, di Brera dove si finiva al Giamaica la sera e si stava fino alle 6 di mattina quando la Lina faceva il primo caffè.”

“Il mitico bar Giamaica di Brera!”

“L’ho conosciuto bene quel bar! Quante notti mentre studiavo per la Maturità, andavo lì per rivedere le bozze dei loro comunicati, mi faceva sentire importante.

Stavo seduta comoda su un balconcino, una sera, studiavo. Nanda e Piero Manzoni nella stanza discutevano sempre. Lei era terribile, lo è sempre stata, carattere austriaco e violento. Un esempio, lei ha tenuto la sua casa per non rendere pubblica la loro unione, lui più famoso e il lavoro di lei doveva restare staccato, solo suo, temeva una luce riflessa. Lui viene da me e sospira, come strilla sempre tua cugina! Quando ha torto strilla di più! Ridiamo, la amiamo lo stesso. Guarda il libro che sto ripassando, mi dice, “Brava. Ti voglio dare un quadro per i tuoi esami. Se passi, è un premio. Se non passi, non ti importerà niente perché avrai un Manzoni!” Poi me lo mostra: un acromo bianco, tenero. ‘Devo farlo incorniciare, intorno sarà azzurro, ti piacerà.”

“Che delicatezza di sentimenti. Sì, sì lo voglio vedere.”

“È morto tre anni dopo in quell’appartamento. Lei si è rinchiusa per quasi tre giorni con lui, senza chiamare nessuno. Il mio matrimonio era in crisi e mentre lei era dal Manzoni, io abitavo a casa sua in quel luglio, in Brera, per riflettere sul mio matrimonio.”

Brera, il quartiere di Milano degli artisti!”

“Ero sola in casa con la sua volpe Margherita, che stava sul terrazzino. Lei la portava al guinzaglio alle mostre, era carina Margherita. Strappava però la stoffa dei pantaloni degli uomini all’altezza polpaccio. Glielo ho visto fare almeno due volte. Ricordo uno, di Kartell, si chiamava Pizzitutti; sul marciapiede con un bicchiere di vino, ha accarezzato la volpe e poi parlava, sorrideva, poi diceva, che cosa… che arietta! ah uno strappo, ma come, i pantaloni!”

“Una volpe, bella e indomabile, Milano a quei tempi era come lei.”

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