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sabato 2 dicembre 2017

IL MAESTRO MI PICCHIA!


Grande scandalo hanno destato recentemente quelle maestre che picchiavano i bimbi in un asilo piemontese. Incastrate dalle impietose telecamere dei carabinieri, hanno perso lavoro, onore e finiranno presto sotto processo.
Gli abusi educativi sui piccoli sono notizie che ho notato ciclicamente ritornano sulla stampa. Al grido di “giù le mani dai bambini!” destano molto scalpore e fanno audience: di sicuro oggi la figura del maestro non è più come una volta, autorità indiscussa che poteva permettersi “vis corrigendi” e punizioni corporali.

Già, una volta. Anch’io ho una storia da raccontare a proposito. Dovete sapere che… a 19 anni per qualche tempo mi sono proposto come supplente nelle scuole elementari di Milano. Avevo la testa piena di ideali come spesso capita a quella età. Un Preside lo intuì e mi spedì nella scuola più difficile che teneva, un istituto di periferia dove non voleva andare nessuno. “Ci vado io!” disse lo scemo.

Il motivo per cui era così temuta è presto detto: accanto alla scuola si erano accampati da anni degli zingari e zingarelli erano praticamente tutti gli scolari. Indisciplinati, ribelli, sporchi. Ogni mercoledì si portavano i bimbi in piscina: il pretesto era divertirsi e nuotare, il motivo vero era lavarli almeno una volta ogni settimana. Certe bambine erano in condizioni terribili. Se il Paradiso è un posto pulito, quei bambini dormivano nell’anticamera dell’Inferno.

Ce n’era in particolare uno, mi sembra si chiamasse Zoltan, che era una vera peste. Incontenibile, mai al suo posto, già a 7 anni indiscusso “leader negativo” che trascinava tutti in un casino sfrenato. Aveva le tasche piene di sassi che mi lanciava addosso. Imparai ben presto che lì dentro “insegnare” qualcosa era pura utopia, il mio compito era solo farli stare il più buoni possibile sino alla campanella. Certi mal di testa che non vi dico.

Una mattina, esasperato da un bordello più esagerato del solito e dopo essermi sgolato per quasi due ore, appena Zoltan mi passò vicino gli diedi un sonoro ceffone, ma di quelli forti. Tutta la classe si mise a sghignazzare e Zoltan si rifugiò nel suo banco, sedendosi per la prima volta dalla mattina.
Lo schiaffo non aveva niente di “educativo”, era stato solo il gesto violento di un adulto esasperato, me ne resi subito conto. Sono cose che non si dovrebbero fare ma ero furibondo. Oscillavo tra il sentirmi in colpa e giustificarmi per una reazione quasi ovvia. Certe volte bisogna passarci per capire.

La storia ha un seguito. Il giorno seguente ritornai in classe per un’altra supplenza, indossando la mia immaginaria armatura e pronto per un’altra battaglia. I miei ideali stavano rapidamente svanendo. Appena entrai in classe Zoltan corse verso di me, mi abbracciò e disse agli altri bambini “Non lo toccate! State lontani! E’ il mio papà!”.

Mi sentii una merda. Gli accarezzai i capelli e giurai a me stesso che non avrei più toccato un bambino. E se dopo avessero fatto casino non fa niente, dovevo solo badare che non si facessero male, senza pretesa di “insegnare” alcunché ma solo ponendomi come figura di riferimento. Quei bambini avevano e avrebbero avuto una vita difficile, che almeno della scuola elementare abbiano bei ricordi.






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