IL PIEDE DEL GIGANTE
Il 23 novembre
del 1980 l’Irpinia venne scossa da un tremendo terremoto, che dalla provincia
di Avellino fu sentito sino a Napoli. Alle 19.34 di sera ci fu un boato e ogni
pavimento iniziò ad ondeggiare. Da quelle parti la terra è ballerina e la gente
non ci fa quasi più caso, ma quella sera esplose tutto.
Ci furono morti
feriti, intere cittadine distrutte (e purtroppo la storia si sarebbe ripetuta).
Un paesano simpatico, chiamato per la sua panza tonda Tonino u’ Bocce, ci
raccontò che la sua casa tremava talmente che non riusciva ad afferrare la
maniglia della porta.
All’epoca avevo 19 anni e quando vidi le
immagini in tv dissi subito “devo andare a fare qualcosa”. Contattai Radio
Popolare, storica radio milanese che stava organizzando gruppi di volontari, e
un paio di mattine dopo mi presentai in Stazione Centrale con il mio zaino, pronto
a tutto.
Ricordo quel viaggio come una esperienza
surreale. Man mano che ci si avvicinava all’epicentro le case erano sempre più
distrutte. I tetti erano sfondati, come se un gigante con i suoi piedoni ci
avesse camminato sopra.
Quando fummo arrivati ad Avellino il coordinatore, un
ragazzo barbuto di 23 anni, chiese chi era disposto tra noi volontari ad andare
nel posto più disastrato. Nessuna garanzia. Naturalmente il vostro
affezionatissimo, testone come tutti i giovani (oddio, non è che con l’età sia
migliorato molto), alzò la mano.
Dato che i treni non funzionavano ci
caricarono sopra un pullman per un viaggio strascomodo. Appena sbarcai nella
piazza di Solofra vidi una scena che ho ancora impressa dopo più di 30 anni.
C’erano tre palazzi in fila, i due ai
lati erano malconci ma in piedi mentre quello in mezzo…mi arrivava alle
ginocchia. Paradossalmente il tetto era rimasto intatto e copriva come un tappo
le macerie. Sotto quel tetto c’erano dei cadaveri. Uomini disperati e donne piangenti
si aggiravano tra le rovine.
“Svelti svelti, dovete occupare un
vagone vuoto! Muovetevi!”. La stazione era piena di treni fermi dove dormiva
mezzo paese ma molti la notte preferivano restare in macchina col riscaldamento
acceso. Prima lezione: il freddo da quelle parti è assassino, nelle notti invernali
tra i monti dell’Appennino la temperatura scende anche a -20°. Non si scherza.
Seguirono settimane intense. Il nostro
compito era quello di smistare i camion pieni di aiuti che arrivavano, vestiti
cibo etc. Essendo “forestieri”, ci confidò Tonino u’ Bocce, si fidavano solo di
noi. Vidi cose molto brutte, certi erano ridiventati animali. Per inciso,
un giorno sparai (in aria) l’unico colpo di pistola che abbia mai sparato in
vita mia. E non ricordo un capodanno più freddo.
La sera ci ritiravamo esausti nel nostro
vagone merci, due chiacchiere e ci addormentavamo nei nostri sacchi a pelo. Ma
una notte…
Venimmo svegliati al buio da un rombo.
La terra stava tremando, il vagone stava tremando, tutto stava tremando. Non c’era
nessun posto sicuro dove andare. Al buio sentimmo la vibrazione crescere,
diventare gigantesca, enorme. Nessuno fiatava e rimanemmo tutti sdraiati e muti. Non so quanti minuti o secondi è
durato ma mi è sembrato il periodo più lungo e terrificante della mia vita.
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