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martedì 26 dicembre 2017


FABIO

Quando anni fa lavoravo con i ragazzi difficili, tenevo appesa alla parete del mio studio un’asse di legno dove segnavo le loro altezze quando li vedevo per la prima volta, un po’ come fanno i pediatri con i bambini piccoli. Era un’asse di legno piena di segnetti colorati.
I ragazzi scendevano dalla loro Comunità per una chiacchierata con lo “piscologo”, poi si giocava, si disegnava, ci si confidava, le solite cose. Che bello era vedere quelle menti, molto duramente trattate, fiorire appena trovavano un po’ di pace e tranquillità.

Ogni tanto, quando vedevo un minore più mogio del solito, se era passato un po’ di tempo gli proponevo di rimisurarsi l’altezza. Sempre notavo il loro stupore quando si accorgevano che erano intanto diventati più alti, che erano cresciuti. Non ci si abitua. Si scoprivano più forti di quel che pensavano e andavano via sicuri di sé. Era una sorta di azione terapeutica che con loro funzionava meglio di 100 parole, capivano che in questo mondo si cresce anche se non si vuole. Tutto sembrava complottare per fermarli ma loro erano forti e avanzavano. Il meraviglioso potere della giovinezza.

La storia di oggi parte proprio da qui: Fabio aveva 15 anni, era di origini calabresi, pieno di tic e con un passato squinternato, ma questo semplice gioco (chiamiamolo così) gli piaceva moltissimo, lo entusiasmava. Ogni settimana appena entrava in studio mi chiedeva di misurarsi, per vedere se era cresciuto e inutilmente gli dicevo che era trascorso ancora troppo poco tempo. Ma non voleva sentire ragioni, voleva misurarsi, voleva dimostrarmi che era cresciuto. Il suo affetto per me era contagioso, sembrava uno di quei cagnolini che si attaccano al primo che gli sorride.

Ho raramente conosciuto un adolescente che più di lui si affidasse a me, mi ascoltava a bocca aperta e pigliava per oro colato le mie parole. Si vedeva proprio che gli era mancata una figura paterna che avesse fiducia in lui, nelle sue capacità, che lo incoraggiasse a crescere.
Ricordo ancora quando un giorno incontrandomi disse: “Buongiorno, Don Luca!”
“Perché mi chiami così? Perché a volte son vestito di nero e forse assomiglio a un prete?”
“No, per rispetto!”

Questi ragazzi hanno un tale bisogno di famiglia, di appartenenza, di sentirsi parte di, che bisogna vigilare perché non finiscano in organizzazioni criminali quando si accorgono del loro punto debole, se li fanno amici e poi li spremono. Ma Fabio aveva anche un buon cuore e gli avrebbe fatto orrore fare del male. Qualcuno fortunatamente lo aveva amato tanto da piccolino e aveva evitato che la sua ferita fosse troppo profonda.

Essere stati amati tanto profondamente ci protegge per sempre, anche quando la persona che ci ha amato non c’è più. È una cosa che ti resta dentro, nella pelle”, dice il maestro Albus Silente ad un giovane Harry Potter. Ed è vero, è una frase che dovremmo scolpire nel bronzo.
Dio benedica chi ama i bambini piccoli, non li lascia soli e li conforta quando sono tristi. Forse non se ne rendono conto, ma gli stanno salvando la vita. E’ grazie a loro che potranno un domani ancora fidarsi, amare ed essere felici, crescere.






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