FABIO
Quando anni fa lavoravo
con i ragazzi difficili, tenevo appesa alla parete del mio studio un’asse di
legno dove segnavo le loro altezze quando li vedevo per la prima volta, un po’
come fanno i pediatri con i bambini piccoli. Era un’asse di legno piena di segnetti
colorati.
I ragazzi
scendevano dalla loro Comunità per una chiacchierata con lo “piscologo”, poi si
giocava, si disegnava, ci si confidava, le solite cose. Che bello era vedere
quelle menti, molto duramente trattate, fiorire appena trovavano un po’ di pace
e tranquillità.
Ogni tanto,
quando vedevo un minore più mogio del solito, se era passato un po’ di tempo gli
proponevo di rimisurarsi l’altezza. Sempre notavo il loro stupore quando si
accorgevano che erano intanto diventati più alti, che erano cresciuti. Non ci
si abitua. Si scoprivano più forti di quel che pensavano e andavano via sicuri
di sé. Era una sorta di azione terapeutica che con loro funzionava meglio di
100 parole, capivano che in questo mondo si cresce anche se non si vuole. Tutto
sembrava complottare per fermarli ma loro erano forti e avanzavano. Il
meraviglioso potere della giovinezza.
La storia di
oggi parte proprio da qui: Fabio aveva 15 anni, era di origini calabresi, pieno
di tic e con un passato squinternato, ma questo semplice gioco (chiamiamolo
così) gli piaceva moltissimo, lo entusiasmava. Ogni settimana appena entrava in
studio mi chiedeva di misurarsi, per vedere se era cresciuto e inutilmente gli
dicevo che era trascorso ancora troppo poco tempo. Ma non voleva sentire
ragioni, voleva misurarsi, voleva dimostrarmi che era cresciuto. Il suo affetto
per me era contagioso, sembrava uno di quei cagnolini che si attaccano al primo
che gli sorride.
Ho raramente
conosciuto un adolescente che più di lui si affidasse a me, mi ascoltava a
bocca aperta e pigliava per oro colato le mie parole. Si vedeva proprio che gli
era mancata una figura paterna che avesse fiducia in lui, nelle sue capacità,
che lo incoraggiasse a crescere.
Ricordo ancora
quando un giorno incontrandomi disse: “Buongiorno, Don Luca!”
“Perché mi
chiami così? Perché a volte son vestito di nero e forse assomiglio a un prete?”
“No, per
rispetto!”
Questi ragazzi
hanno un tale bisogno di famiglia, di appartenenza, di sentirsi parte di, che
bisogna vigilare perché non finiscano in organizzazioni criminali quando si accorgono
del loro punto debole, se li fanno amici e poi li spremono. Ma Fabio aveva anche un buon cuore e gli avrebbe fatto orrore fare del male. Qualcuno
fortunatamente lo aveva amato tanto da piccolino e aveva evitato che la sua
ferita fosse troppo profonda.
“Essere stati amati tanto profondamente ci protegge per sempre, anche
quando la persona che ci ha amato non c’è più. È una cosa che ti resta dentro,
nella pelle”, dice il maestro Albus Silente ad un giovane Harry Potter. Ed è
vero, è una frase che dovremmo scolpire nel bronzo.
Dio
benedica chi ama i bambini piccoli, non li lascia soli e li conforta quando
sono tristi. Forse non se ne rendono conto, ma gli stanno salvando la vita. E’
grazie a loro che potranno un domani ancora fidarsi, amare ed essere felici, crescere.
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