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martedì 16 aprile 2024

UN MUSEO COMMOVENTE

Quando mi recai anni fa a Gerusalemme naturalmente visitai uno dei musei più famosi del mondo, lo Yad Vashem, il museo dedicato all'Olocausto. Ricordo che appena giunti in sala d’aspetto, la nostra guida ci illustrò il plastico del museo dalla forma particolare, non è dentro un palazzo antico come di solito in Italia. E’ di foggia moderna e raffigura una sorta di enorme spada che cerca di tagliare in due una montagna. Simbolicamente simbolico, già dalla forma si intuisce che questo non è un luogo di pace.

Lo Yad Vashem è il secondo luogo più visitato di Israele dopo il Muro del Pianto e dentro a causa della sua forma triangolare si ha una visione particolare.

Essendo stato dedicato ad una tragedia mostruosa, il tentato genocidio del popolo ebraico da parte dei nazisti di Hitler, non riesco e neanche voglio riassumere la visita. Ricordo però in me il senso di solitudine visitando le varie sale che raccontavano la scomparsa di intere comunità. E’ vero, sono stati lasciati soli dal mondo.

Perché per esempio gli americani non hanno mai bombardato Auschwitz? Perché tutti i campi di concentramento non hanno mai subito un solo bombardamento? "Eppure sapevano benissimo cosa stavano facendo i nazisti", ci dice la nostra guida, un ex soldato che parla italiano.

I "buoni" che hanno difeso il popolo ebreo sono pochissimi, nelle varie stanze del museo ce n'è per tutti. Quanto rancore devono avere dentro, penso. Giustificato ma deve essere insopportabile. C'è pure un cartello che descrive l'atteggiamento di sostanziale silenzio di Papa Pio XII ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Eppure sapeva bene anche lui cosa stava accadendo, c’erano già molte fonti.

Un vescovo, invitato all'inaugurazione del museo, ne venne a conoscenza e minacciò: "O levate il cartello o non vengo!". Il cartello è rimasto. Solo da poco l’hanno modificato e in parte smussato. "Noi israeliani non dimentichiamo. E, a differenza di voi cattolici, noi non perdoniamo".

Gli unici "buoni" ricordati in un settore ahimè piccolino sono la Danimarca (che una notte di guerra prese tutti i suoi ebrei e li salvò portandoli nella neutrale Svezia), poi il governo bulgaro (che rifiutò di applicare le leggi razziali) e, uditeudite, il popolo italiano (NON il governo italiano, come ha precisato la guida), che ha dato tante e tali prove di solidarietà che gli è stato riconosciuto questo status.

La parte più commovente del museo è quella finale, un memoriale dedicato ai bambini, i tantissimi innocenti periti nell’olocausto. Un edificio in cui si entra in una sorta di grotta artificiale dove si compie una semplice e breve camminata al buio attaccati ad un corrimano ma ogni passo è emotivamente carico. Molto, molto intenso. Anche qui non voglio banalizzarlo con una descrizione, ma solo chi ha un cuore di pietra non si commuoverebbe.

E se non piangi, di che pianger suoli?

Esco alla luce accecante del sole con il cuore colmo. Pur parlando della tragedia più dolorosa questo edificio per i bambini è molto ben costruito, riesce a trasmettere non un sentimento di rabbia, dolore o disperazione ma di pura commozione.

Ho la gola secca. Prima di andare alla prossima meta vorrei almeno prendere una coca cola fresca al bar del museo ma la guida mi blocca con la mano, il tono e gli occhi sono cortesi ma fermi. Il gestore del bar una volta ha trattato malissimo suo fratello, e lui non ha dimenticato. Prenderò da bere fuori. Gli israeliani non perdonano.

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