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lunedì 6 gennaio 2020

6 GENNAIO 1970
Un post non molto bello che ero indeciso se pubblicare o meno. Descrivo solo i fatti come sono avvenuti così non ci penso più, anche se è una ferita che sanguina ancora un pochettino. Lo pubblico in tarda serata, in questo modo lo vedranno in pochi.
Il 6 gennaio 1970, esattamente 50 anni fa, io e mia sorella Matilde tornammo dal piccolo cinema di Monluè (sì, prima del Delfino c’era un cinemino a Monluè), mi sembra che avessero proiettato “Zorro”. Con noi si erano aggregati la mia compagna di classe Rosanna Macrì (Pecorini 8 scala C) e suo fratello più piccolo Francesco, mi sembra si chiamasse Francesco.
Io avevo 9 anni ed ero il più grande del gruppetto, figuriamoci. Proprio bambini. Li guidavo io verso casa, erano tempi n cui i bambini in quartiere potevano uscire da soli anche al buio.
Quella sera dell’Epifania faceva molto freddo, aveva nevicato e i marciapiedi e le siepi erano pieni di neve. Da lontano vedemmo arrivare tre ragazzi grandi, tre noti bulli del quartiere. Li ricordo bene, ma perché fare nomi per la vergogna?
Mentre incrociavamo i bulli, in quei casi noi piccolini sapevamo bene come comportarci. Occhi bassi, silenzio, non dire niente e sgattaiolare via in fretta.
Uno di loro però mentre passavamo tirò le trecce bionde di mia sorella che gridò di dolore. Ridevano. Io, che non dimentichiamoci a 9 anni ero il più grande, provai a difenderla e mi misi in mezzo, con il risultato che i tre bulli se la presero con me. Almeno lasciarono in pace Matilde.
Beh, vi lascio immaginare come mi riempirono di neve ghiacciata. Per mia e loro sfortuna, gettandomi sulle siepi una spina di rovi mi entrò in un occhio. Per un mese ho girato con la benda tipo pirata.
Mio padre si imbufalì e denunciò le tre famiglie. Volarono parole grosse. Come ritorsione, nei mesi seguenti con la loro banda i tre ragazzi me ne fecero passare di tutti i colori. Diciamo che non ero molto popolare nella via.
La storia però ha uno sviluppo. Avendo notato quanto ero mansueto, mio padre per imparare a difendermi mi iscrisse ad una palestra di judo; iniziai a frequentarla ogni settimana.
Funzionò, divenni anche bravotto e da cintura verde nella lotta me la cavavo bene. Le finalità dello judo (mandare a terra l’avversario e bloccarlo) mi erano congeniali, non era come il karatè o il kung fu spaccaossa. Nessuno mi importunò più.
Nella foto io col mio kimono da palestra e la cintura gialla. Notare la ranocchia sulla testa!


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