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mercoledì 3 dicembre 2025

DIO


“Che meschinità”. Dopo essermi convertito al stanismo, tutto mi sembrava così meschino. Anche il prete che ripeteva ad alta voce le sue formule e continuava a spruzzarmi incenso sul corpo.

Continua pure, corvo nero e puzzolente. Continua con le tue formule di cui non hai mai capito il senso, i tuoi riti inutili. C’è una cosa che non sai, forse non te la immagini neanche: ogni parola che pronunci io la ripeto mentalmente al contrario, così ne neutralizzo gli effetti.

In nomine Dei ego te fugo horridum verbum pithonicum tamquam non esset! Amen et AMEN!” E ancora incenso e gesti contratti.

Attento adesso… devo concentrarmi. Nema te nema tesse non mauqmat mocinohtip mubrev mudirroh… l’inversione mi riusciva facile.

Dovevo immaginarlo che un prete cattolico, e neanche tanto giovane, avrebbe reagito così ai miei discorsi. Mi ero lasciato convincere da mia moglie, quella stupida, dopo che ieri notte l’avevo svegliata per raccontarle i miei pensieri.

“Domani andiamo da Don Alberico”, concluse brusca lei tirandosi la coperta sulla testa.

“Ascoltami, ho altro da raccontarti”, le dissi sfiorandole i capelli.

“Non toccarmi! Vai via!”

“Perché ti comporti così?”

“Mi fai schifo! Ho ribrezzo, non ti avvicinare!”

“Ma è vero quello che ti ho detto! C’era veram…”

“Zitto! Ho detto che domani andiamo da Don Alberico!”

“Shhh piano, non gridare, sveglierai i bambini!”

Mia moglie si voltò di scatto. “Vuoi che ci andiamo adesso? Che mi metta addosso il mantello azzurro e che usciamo? Vuoi uscire adesso?”

“No, no, va bene. Domani.”

“Allora stai zitto e dormi!”

Un bambino si agitò nel sonno. Poi fece un grande respiro e si rimise a dormire.

Il mattino dopo non mangiammo nulla. Anche se dovevo zappare l’orto per la stagione mi portò subito alla canonica accanto alla chiesa, dove viveva il prete con sua moglie. Mi obbligò a mettermi il vestito pulito della festa, e mi sentivo ridicolo. Non ero abituato. Era così presto che la nebbia del mattino ancora non si era dissolta. Il fornaio uscì dalla bottega e guardò stupito me e mia moglie che camminava furiosa. Lei non diceva una parola e facevo fatica a starle dietro.

Ci aprì la donna del prete, stupita di vederci in quel giorno di lavoro. Mia moglie mi comandò di non muovermi e poi entrò da sola, richiudendo la porta. Poco dopo sentì che il diacono veniva chiamato alla svelta. Rumori di passi pesanti, la porta di legno si aprì e io ero sempre lì con il cappello in mano, fermo come un pesce secco.

Apparve il prete con una faccia severa, dietro di lui la sua donna stava abbracciando la mia che le piangeva sul seno abbondante. Che porco doveva essere il prete. Era un uomo anziano e grasso, ma il suo sguardo con noi sempre bonario in quel momento era duro, mi spaventava.

“Sia lodato Gesù Cristo”, disse.

Io non risposi “Sempre sia lodato”, come avrei fatto sino a poche settimane prima, mi sentivo cambiato.

“Sia lodato Gesù Cristo, ho detto.”

“Ho sentito.”

“Figliolo, non ti senti bene? Qualcosa non va?”

“Devo parlarle, reverendo. Ho una passione che mi brucia dentro.”

“Andiamo in sacrestia.”

Entrai dalla porta e ci dirigemmo verso una saletta posta subito dietro l’altare, dove il prete si lavava e si cambiava prima delle cerimonie religiose. Non ero mai entrato in quella stanza. Era piccola. E una piccola finestrella la illuminava tutta. Il suo cane dormiva in uno spicchio di sole. Sarebbe stata una bella giornata. Non c’era il tavolo, il carpentiere del paese doveva ancora costruirlo, solo ripiani alle pareti. Il prete cacciò via il cane con un calcio, e andò a prendere qualcosa.

Intanto mi misi a guardare negli scaffali e vidi una ciotola, una bottiglia di vino e, incredibile, c’era un libro! Un libro vero!

“Posso toccarlo? Non ne ho mai toccato uno.”

“No. Da quello che ha raccontato la tua donna non sei nello spirito adatto. Forse la tua anima deve essere purificata.”

“La mia anima e la mia coscienza sono a posto, reverendo. Mia moglie si sbaglia,”

“Conoscevo i tuoi genitori, erano semipagani e non ho mai capito bene la profondità della loro fede, se fossero sinceri o meno. Ma erano brave persone. Sempre rispettose della comunità.”

Pensai a mia madre, che ogni notte di luna piena andava alla sorgente degli ossi, per berne l’acqua e dire delle cose che non ho mai saputo, al contrario delle mie sorelle. Forse raccoglieva delle erbe. Riportava sempre indietro un piccolo otre pieno d’acqua pura, che la mattina ci faceva bere. Ma non dovevamo dire niente in giro.

Una notte alcune persone la seguirono in segreto. Forse andarono a dirlo a don Alberico. Sta di fatto che pochi giorni dopo la sorgente di acqua purissima venne distrutta e insozzata. Mia madre non mi fece più bere nessuna acqua speciale, ma so che ogni tanto lei e mio padre uscivano di notte. Non ho mai saputo dove andassero. Mio fratello maggiore badava a noi.

“Don Alberico, ho una cosa da dirle.”

“Taci ho detto. Anzi rispondi: credi nella Santa Madre Chiesa? Credi nel nostro Papa Gregorio, che lo spirito santo bello come una colomba bianca lo illumini.”

“No”, risposi a mezza voce. Evitavo di guardarlo, sapevo che si sarebbe arrabbiato. Però non potevo mentire. Dovevo farmi coraggio, e alzare la mia voce.

“No.”

Successe tutto in fretta. Don Alberico aveva preso un bastone senza farsi vedere, e mi diede un colpo in testa. O cercò di farlo, perché alzai il braccio e deviai il colpo sulla mia blusa. Io sono robusto, e forte. Non mi si può pigliare di sorpresa.

“Maledetto! Maledetto! Il demonio ti ha preso! Ma io lo farò uscire dalla tua bocca, come ci è entrato!”

Don Alberico aveva quarantanni, era un contadino forte figlio di contadini forti, ma mio nonno era un fabbro, e so come si usano i bastoni. E poi era ingrassato, e quando si muoveva respirava forte. Gli presi la verga con facilità, e gliela strappai di mano. Legno di pioppo, leggero. E mi voleva far male con quello? Mi misi a ridere. Lo buttai in un angolo.

“Stai fermo! Non ti muovere!”. Prese l’acqua santa e iniziò a benedirmi.

E lì io mi trasformai. Infastidito dall’acqua benedetta iniziai a ruggire, mi strappai la cmicia, divenni rosso.

Eavocai un oscuro demone dell’inferno, mi crebbero peli sul petto e corna sulla testa e sbranai il prete. Nel senso che proprio lo mangiai, masticando la carne e bevendo il suo sangue. Il tutto tra rutti e rumori.

Inorriditi, i presenti scapparono via e chiamarono i soldati, che però avendo chiuse tutte le porte a doppia mandata, bruciarono la casa con loro dentro.

Dio si diverte così, e noi scemi ad applaudire il principe rosso dell’inferno.



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