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mercoledì 19 ottobre 2022

 FARE IL PANE IN CASA

Ero giovane, da poco vivevo da solo in un bilocalino a Milano e c‘era in me una voglia matta di sperimentare. Tutto nella mia nuova vita doveva essere nuovo e perfetto. A pensarci è durato poco questo momento ma è stato indimenticabile, provavo finalmente la indipendenza dalla famiglia. Ricordo come era strano vivere in una casa in cui tutte le porte erano aperte (sfido, ci vivevo solo io).
Volendo buttare le mie energie in qualcosa di nuovo un giorno mi dissi: “ma perché il pane non me lo faccio io?”. Detto, fatto. Gli ingredienti (acqua, sale e farina) li avevo, il forno pure. Dalla panettiera sotto casa mi procurai una zolletta di “lievito”, indispensabile per l’impasto. Dai che si comincia.
La preparazione era semplice: impastavo acqua tiepida, farina 0, un cicinino di sale e verso la fine univo il famoso lievito. Poi mettevo tutto in una pentola e coprivo con un panno. “Mi raccomando, non deve prendere aria fredda!” si raccomandava la panettiera. Questa era la parte più
divertente
: infatti ogni mezzora andavo a sbirciare l’impasto e vedevo che si GONFIAVA! Credetemi, sono soddisfazioni.
Nel giro di poche ore aveva quasi raggiunto il bordo della pentola. Quando non cresceva più prendevo l’impasto, lo dividevo nelle forme che volevo (dal panone unico ai panini piccoli), spennellavo d’olio e lo mettevo nel forno già caldo a 200 gradi per 40 minuti. Quand’era finito lo estraevo e vualà, ecco il tarta-pane!
Lo offrivo a tutti i visitors dicendo “Questo l’ho fatto io” e all’inizio notavo la diffidenza nei loro occhi ma poi si ricredevano. Il tarta-pane era buono! Non solo, ma mi accorsi di un fatto strano: mentre il pane preso in panetteria il giorno dopo è già secco, il mio anche dopo una settimana era ancora morbido come appena sfornato.
Quella che ho descritto prima era la ricetta base, poi presto iniziai a sbizzarrirmi. Cambiando farina per esempio (oggi va di moda la kamut, proveniente da una antica tomba egiziana), mettendo nell’impasto anche lo zucchero, le uova, il miele, le olive, l’uva passa (molto buona), le noci, di tutto. Per non parlare delle forme che sono innumerevoli, libero spazio alla fantasia. Una volta non misi il lievito e ottenni una sorta di focaccia, un’altra esagerai col sale ed era immangiabile.
Dato poi che sono un crapone mi interessai sull’argomento e scovai un libro che divenne per me una Bibbia, talmente era ben scritto e rivelatore: “Seimila anni del pane” di H. Jacob. Libro del 1944 ingiustamente dimenticato e che da allora vive nel mio cuore e nella mia libreria.
“E adesso il pane non lo fai più?” No e mi dispiace, ma è un’arte che richiede pazienza, la natura ha ritmi lenti poco compatibili con la vita frenetica che presto mi arrivò addosso. Ma il ricordo di quando da giovane facevo il pane è dentro di me.


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