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giovedì 30 novembre 2017

LA FALSA FELICITA’

“Tesoro, non c’erano alternative, lo sai bene. Andando da quell’altro ho compiuto una scelta d’amore.”
“Non dire stupidate, per favore. L’amore non c’entra nulla. Il tuo è stato un agito.”
“Eccolo, lo sapevo. Non iniziare a fare il Piero Angela e a usare parole difficili, tu non mi capisci veramente. Tu lo sai che da tanto avevo quell’uomo nel cuore, non te l'ho mai nascosto. Solo che ci avevo rinunciato perché era fidanzato con un’altra. Quando ho saputo che si era liberato, ho dovuto subito correre da lui anche se stavo con te da 10 mesi. Io voglio essere felice e ti rispetto, ma non mi fermerai.”
“Anch’io ti voglio felice. E quella verso cui sei andata non è la vera ma una falsa felicità.”
“Mi fai ridere, io sono veramente felice con lui. Certo ci sono difficoltà, ma una felicità così intensa non l’ho mai provata, mai ti assicuro. Nemmeno con te, scusa se te lo dico. Con te c’era una profonda intimità intellettuale ma il mio cuore batte forte solo con lui. E’ sempre stato così, io voglio spiccare il volo.”
“Tesoro questa volta rischi di farti male. Da queste altezze non ci si salva. Te lo dico più chiaramente, la tua non è stata una “scelta d’amore”, è stato un agito borderline. Torna indietro per favore, salvati.”
“Non essere melodrammatico.”
“So quello che dico, perché dell’agito borderline il tuo spensierato comportamento recente ha tutte le caratteristiche patologiche.”
“Ommadonna, ecco che fa lo psicologo menagramo. Caratteristiche patologiche? Non sarei così felice.”
“Se ti interessa te le dico, ma non dire che faccio il Piero Angela. E’ una cosa seria e se te ne parlo è perché ti voglio bene e sono preoccupato.”
“Sentiamo. Ti prometto che sto zitta e ti lascio dire.”
“Tu hai già di sottofondo tendenze borderline che a volte saltavano fuori, passavi da zero a mille in pochi secondi, sei sempre stata molto impetuosa, entravi nelle discussioni sempre a “gamba tesa” e ti arrabbiavi se ti moderavo. A letto ti scaldavi in pochi secondi.”
“Sì, anche la mia terapeuta me lo ripeteva questa cosa del borderline. Beh, non ti dava fastidio quando facevo così a letto. E allora?”
“Il pericolo maggiore in una personalità borderline sai cosa sono? Gli agiti.”
“Cosa sono?”
“I comportamenti impetuosi. Come la tua “scelta d’amore”, che è stata molto ma molto precipitosa. Nel giro di pochi giorni mi hai lasciato ed eri già che ti sbaciucchiavi tra le braccia di un altro uomo, facevi sesso con lui, vi siete fidanzati, parlate di sposarvi appena possibile etc. Tutto in frettissima. Troppo in fretta. C’è qualcosa di profondamente sbagliato.”
“Non vedo perché dobbiamo perdere tempo, siamo entrambi già sui 50, non abbiamo tantissimo tempo.
“Vero, motivo in più per usarlo bene questo tempo. Sai comunque qual è la molla dietro ad un agito precipitoso? La felicità, la promessa di una felicità intensissima. Come quella che hai provato tu volando tra le sue braccia.”
“Oh, finalmente ci sei arrivato. Sì è vero, ho provato una gioia incontenibile. Come vedi una personalità borderline non è così male se ti garantisce una felicità simile.”
“E invece lo è cara, è una falsa felicità, molto pericolosa. Perché ha due brutti segni distintivi per cui si fa riconoscere: innanzitutto costa cara (e nel tuo caso ti è costata il rapporto con me, che in 10 mesi abbiamo intrecciato le nostre vite e costruito qualcosa) e per secondo…”
“Per secondo?”
“E’ una felicità effimera, non duratura. Pensa ai tossici, che sono i tipici borderline. Il miraggio della felicità del buco li spinge a fare cose pazze e la loro felicità dura comunque così poco. Cosa succederà poi con te ho paura di pensarlo. ”
“Non me la tirare per favore, io ho intenzione di essere felice a lungo.”
“Guarda, mi consola il fatto che non sono l’unico a pensarla così. Tra noi altri spettatori anzi c’è il toto-amore su quanto durerà la vostra storia. Settimane? Mesi? Per una mia amica anzi è già finita. Avete caratteri troppo simili, avete bisogno entrambi di appoggiarvi a qualcuno e non siete in grado di sostenervi a vicenda.”
“Dici così solo perché sei invidioso. C'è tanta invidia nelle tue parole. Lui mi ha e tu no.”
“Oh aquilone mio, io resistevo, tenevo la corda ferma quando era tesa ma tu l’hai tagliata e ora io ti vedo volare via nel vento ma senza un legame l’aquilone non può continuare a volare. Mi vien da piangere, aquilone mio, ti avevo costruito con così tanta cura. Pensi di volare, che sei un’aquila ma prima o poi cadrai e rischierai di farti male. Addio, addio, sei tra le nuvole, sei solo un puntino, lontanissima oramai.”
"Perché allora ti sei messo con me se sapevi che pensavo a lui?"
"Perché ti amo, ti amo e speravo che il mio amore fosse sufficiente a fartelo dimenticare. con la costanza, la pazienza, la devozione quotidiana. Ma mi sbagliavo, mi sbagliavo duramente. L'amore non basta e ora ti vedo volare via lontana. Oh amore, che ne sarà di te?"




mercoledì 29 novembre 2017

GANDHI IN ITALIA

Buongiorno italiani, ecco a noi il notiziario Luce di oggi 13 dicembre 1931, IX° anno dell’era fascista. Il premier indiano Gandhi è giunto stamane a Roma per una breve e intensa visita. Impegnato nella sua rivoluzione contro l’impero inglese demoplutomassogiudaico della perfida Albione, il Mahatma ha visitato oggi la città eterna dove ovunque si recasse è stato accolto dalle festose manifestazioni di giubilo del popolo fascista.

Vestito con i suoi tipici e pittoreschi indumenti e nell’attesa di incontrare le autorità e il Santo Padre, il leader indiano ha manifestato il desiderio di vedere le massime espressioni dell’arte italica. E’ stato quindi accompagnato nei Musei Vaticani dove ha potuto ammirare la Cappella Sistina, massima espressione dell’italico genio di Michelangelo Buonarruoti e suprema vetta artistica universale.

Entrato nella grande sala meravigliosamente affrescata, la sua attenzione sembra sia stata però colpita, più che dagli affreschi di Michelangelo e dal Gesù forte del Giudizio Universale, da un crocifisso posto sopra l’altare rappresentante un Gesù magrissimo, dimesso e sofferente. Gandhi ha indugiato per parecchi minuti davanti al crocifisso ignorando le altre pitture, evidentemente stupito che il Dio da noi venerato potesse avere una immagine così tormentata, ed abbia esclamato infine: «Non si può fare a meno di commuoversi fino alle lacrime». Stranezze indiane!

Oggi intanto il Ministro degli Esteri Dino Grandi…


martedì 28 novembre 2017

VECCHIA TIGRE NELLA NEVE

Mi è piaciuto troppo questo dipinto, “Vecchia tigre nella neve”, l’ultima opera di Hokusai realizzata tre mesi prima di morire (1849). Appena l’ho visto l’ho fortemente voluto in casa mia e non mi stanco mai di guardarlo. Mi dà forza.

Una vecchia tigre, tutta malandata e con il pelo che ha visto giorni migliori, arranca sotto la neve, preparandosi per un ultimo balzo. Si nota dal suo occhio che ancora non si è rassegnata. Il paesaggio intorno a lei, a differenza dei dettagliati dipinti occidentali, è solo accennato, ha un che di mistico.
Guardando questo quadro, non ho potuto fare a meno di pensare “nonostante tutto non ti sei arresa, vecchia tigre, difficile ma hai conservato la tua dignità.” C’è molta solitudine ma anche tanta forza e nessuna disperazione in questa pittura. L’animale anzi sembra sorridere.

Conoscerete tutti Hokusai, il “vecchio pazzo per la pittura”. E’ sua la celeberrima Grande Onda con il monte Fuji come sfondo. 

Nella sua lunga vita il maestro giapponese ha dipinto migliaia di opere, spaziando in tutti i campi. Un giorno prese una scopa, la intinse in un secchio pieno di vernice nera e la passò sopra un grandissimo foglio di carta. Quando il foglio venne messo in piedi tutti ammirarono stupiti il volto del Buddha. Magia dell’arte.

Io mi sento come te, vecchia tigre. Sei sola e malmessa, arranchi nella bufera e nonostante tutto non ti arrendi. Vuoi ancora vivere ciò che ti resta. L’ambiente è ostile, il corpo debole ma lo spirito… lo spirito è ancora forte.
UN AMORE
Un anno fa esatto iniziava la mia storia d'amore intensa. Un paio di mesi fa il sogno ahimè si interruppe, comunque sono stati 10 mesi splendidi. Come mi mancano certe cose.
Siamo ritornati estranei, ma con dei ricordi in comune. Grazie.

domenica 26 novembre 2017

LORIS ‘U MECCANICO

“Ciao Luca, cosa succede?”
“Ciao Loris, mio meccanico preferito! Ho portato nella tua officina la macchina da controllare prima che arrivi il freddo. Voglio passare un inverno tranquillo.”
“Ok. Dai, intanto apri il cofano del bolide che do un’occhiata al motore…la batteria…l’olio…l’acqua, luci…gomme. Sì, ci sono un po’ di cosette da verificare. Tu intanto siediti lì.”
“Grazie Loris, sei una sicurezza. Sapevo di potere contare su di te per un lavoro ben fatto.”
“Eh ma tra 20 anni il mio lavoro non esisterà più.”
“Ma che dici? Di meccanici ci sarà sempre bisogno e tu sei ottimo. Avrai tanto da insegnare.”
“…aspetta che intanto controllo il livello dell’olio…c’è da rabboccare… fidati, guarda che a poco a poco stiamo sparendo tutti. Tra un po’ rimarranno solo le grandi officine dove effettuare le riparazioni. Anzi, neppure più quelle, solo lavori di manutenzione. Acqua, olio, quelle robine lì dove serve manodopera neanche tanto qualificata.”
“Non ci credo. E se il motore si guasta?”
“E’ proprio quello il problema. Ormai i motori sono sempre più computerizzati e stanno diventando un blocco unico. Finché è in garanzia magari si aggiustano ma dopo costerebbe troppo. Si butta via tutto e ti prendi un’altra auto. Adesso le macchine non si aggiustano più. Finirà così, guarda, “riparare” è diventato roba vecchia.”
“Non mi piace molto come idea.”
“Nemmeno a me….La batteria è a posto…aspetta che controllo le gomme…ho lavorato trent’anni per tirare su questo posto, se ci penso….”
“Si vede Loris. La tua officina sulle pareti è piena di foto e cimeli. Dove posi l’occhio vedi qualcosa. Sembra un museo.”
“Sì, il museo degli orrori ahahah…c’è un pneumatico da gonfiare…occhio che qui c’è un tubo piegato. Hai preso una botta?”
“Ma andavo pianissimo!”
“Eh ma 700 chili di auto anche a 10 all’ora sono un bel colpo. Stai attento a non prendere altri tonfi qui, sennò rimani a piedi.”
“Gulp! Va bene.”
“…i freni, sì sì…ho lavorato come un negro per tutta la vita per questa officina, l’ho tirata su con le mie mani e sai cosa succederà? Che quando vado in pensione, qui si chiude baracca e burattini.”
“Un mondo senza l’officina di Loris sarà più povero.”
“Ce ne faremo una ragione. Sai che lavoro andrà alla grande invece? Il tuo, Luca! Fare lo psicologo, qui stanno andando tutti fuori di testa ahahah!”
“Non credere, anche noi dobbiamo combattere contro stregoni e magheggi vari, sul popolo hanno un fascino incredibile. Anzi se va male, mollo tutto, mi infilo un cappellone con le stelline e vedo, prevedo e stravedo. Con la sola imposizione delle mani mi faccio pagare un fiocco e mi sa che otterrei più riscontri. Senti, fammi respirare bene l’aria della tua officina se i giorni sono contati, si sente che questo è un posto dove si lavora bene. Mi piace questo odore di benzina.”
”Vengono apposta i pullman da Lourdes per respirare la mia aria! Ok, chiudi pure il cofano e vai tranquillo. Vaya con Dios, è tutto a posto. Domani ti mando la fattura.”
“Grazie Loris, sempre sul pezzo, sei il migliore. Senti, hai qualche ultimo consiglio da darmi?”
“Lavala!”





sabato 25 novembre 2017

Quando uno è un bambino è acerbo, è verde chiaro. Poi si cresce e ci si chiede dove è finito quel colore


VERDE CHIARO

Ogni giorno da adulto è una fatica nuova
Ogni giorno il bambino che ho dentro
si ripettina il ciuffo che aveva verde chiaro
Ogni giorno è un pericolo triste
Il mattino è una lama d'aratro
che ferisce le labbra al mio verde chiaro
Voglio essere anch'io come i sogni
Traboccare di vita, di volontà
E tornare al mio acerbo frutto amaro verde chiaro

Ogni giorno è una tasca piena
Ogni giorno è una scatola vuota
Ogni giorno è un costume in scena
Che costringe le forme del mio verde chiaro

Voglio essere come i ricordi,
Innocente nell'invincibilità
Voglio spazio per questo frutto raro

Voglio essere anch'io come i sogni
Traboccare di vita, di volontà


E tornare al mio acerbo frutto amaro verde chiaro
UNA CANZONE DI GUERRA

Chi ha visto il recente film Thor-Ragnarok avrà notato che nelle scene della epica battaglia il sottofondo musicale è un brano heavy metal potente: “Immigrant Song” dei Led Zeppelin. Mai canzone fu più adatta. Ragnarok è l’equivalente dell’Apocalisse per i cristiani, lo scontro finale tra le forze del bene e quelle del male.

Immigrant Song è un raro esempio di canzone cattiva, politicamente scorretta. Una canzone di guerra in cui si adotta il punto di vista degli invasori vichinghi, che terrorizzarono le coste europee per tutto il medioevo. Pur essendo stata scritta ormai da quasi 50 anni non ha perso un briciolo della sua potenza, sia musicalmente (una progressione per ottave; per ottave, musicisti!) che per il testo, scritto rapidamente da un ispirato Robert Plant (all’epoca 22 anni) in stato di grazia, parole che hanno influenzato molti successivi testi heavy metal:
“Siamo il martello degli Dei, siamo venuti in queste nuove terre per combattere e conquistare, cantare e piangere, Valhalla sto arrivando! Abbiamo remato per tutta la notte per giungere alle vostre spiagge occidentali…”

Le origini del brano si perdono nella leggenda, come spesso accade con i Led Zeppelin: durante una tournèe in Islanda, bang!, il brano venne ideato e suonato per la prima volta in un concerto in cui si calcola ci fosse almeno il 2% di tutta la popolazione giovanile islandese.


Eccolo qui allora. L’urlo vichingo con cui si apre il brano è… non ci sono parole. Provate a rifarlo.

venerdì 24 novembre 2017

IL GIORNO CHE NON ACCADDE NIENTE
(colonna sonora: Bringing down the light)

Stamane ho acceso la radio per sentire le ultime notizie. Una voce molto professionale annunciava come nel deserto di Atacama si fosse raggiunta una temperatura dii 58° gradi mentre milioni di insetti brulicavano nella giungla e negli oceani del nord erano iniziate le altee maree. Venne interrotto da un collegamento urgente: nel polo nord stava soffiando un vento artico intenso e gelido. Il professionista ringraziò e continuò a leggere il notiziario: l’universo continuava ad espandersi e branchi di meduse utilizzavano le correnti per spostarsi più a sud, come 5000 anni fa. Sull’Himalaya aveva iniziato a nevicare e ieri in Argentina si poteva ammirare un tramonto stupendo. Come ultime notizie, milioni di persone stavano in questo momento bevendo il primo caffè della mattina mentre in Asia stava piovendo su una foresta tropicale. Infine, tanti bambini si preparavano per andare a scuola.


Il mondo sembrava proprio indifferente a quello che sentivo dentro. O forse no, a modo suo mi stava lanciando un messaggio: non ti affannare, non ti preoccupare, le cose importanti sono altre.

domenica 19 novembre 2017

BAMBINA

Bambina, bambina mia
come avrei voluto continuare a proteggerti
rassicurarti e farti addormentare
sfiorandoti i lobi delle orecchie

Come vorrei tornare indietro
ai bei momenti vissuti insieme
per darti ancora più baci
Il mio cuore si ricucirà, ma non so quando.

martedì 14 novembre 2017

Oggi mentre pulivo col Vim
Le orme lasciate dal mio cane Tim
Ripenso all’estate, la tenda nel fango
Serate passate ad apprendere il tango
Guardo le orme cancellate e rim-

piango.
IL GIARDINO DELLA MENTE
(Mind garden)

(Il bellissimo testo di una canzone di David Crosby, dedicata a tutti quelli –innanzitutto me stesso- che con la scusa della malattia cercano di vivere in un perfetto comfort pensando così di evitare la realtà. E per la “sicurezza” accettano addirittura delle ingiustizie. Purtroppo la realtà prima o poi arriverà, il sogno finirà e bisognerà prendere una decisione. In queste notti in cui la insonnia mi perseguita penso molto a queste parole: non saranno tempi facili, soprattutto per quelli che vorrebbero evitare ogni scomodità. Buona fortuna.)


Un tempo c’era un giardino su un’alta collina
Verde e frutti lo circondavano al cospetto del mare
Poi sole e pioggia vennero a riversarsi
Il giardino crebbe e fiorì
Sprizzò colori sulla terra e la vita intorno prese forma

Ma arrivarono venti furiosi, vennero tempeste
E io temetti per il giardino
Così costruii un muro e un altro ancora
E misi un tetto spesso e resistente
Che riparasse dalle fiondate e dalle frecce dell’avverso destino

Il freddo maligno non poteva entrare
Ma quando arrivò il sole e la dolce pioggia di primavera
Nemmeno esse riuscivano a superare quei muri
Sarebbe morto in perfetto comfort
Ma io compresi, abbattei i muri tutt’intorno
E il giardino ancora vive

(David Crosby, 1967)




LA SCOPATA D’ADDIO
“Perché non rimaniamo amici?”
“Perché ti amo, lo sai che non riuscirei mai a vederti come un’amica.”
“Ma io ci tengo a te, non voglio perderti.”
“Figurati io. Quando ti vedo mi viene voglia di stringerti e baciarti come ho fatto sempre. E non poterlo fare perché sei diventata una amica mi strazia dentro. No, non sarai mai una semplice amica per me. Ecco perché se ci lasciamo preferisco non vederti e non sentirti, soffrirei troppo.”
“Mi dispiace che ti senti così, mi dispiace tanto. Ma sai che devo andare e seguire il mio cuore.”
“Lo so, me l’hai già detto sin troppe volte. Ma io non mi sono ancora rassegnato a perderti, ci deve essere un modo, maledizione! Ci deve essere!”
“Devi capirlo, se mi vuoi vedere felice mi devi lasciare andare. La soluzione è questa.”
“No! Non posso, non voglio! Io ti amo, non sarai mai una semplice amica per me.”
“Senti e se venissi a trovarti? Come amica, si intende. Magari possiamo parlare. Se vuoi mi fermo anche a dormire, così abbiamo più tempo.”
“Cosa intendi dire?”
“Quello che ho detto.”
“Tu sai benissimo cosa succede se dormiamo insieme.”
“Accada quel che deve accadere.”
“E allora farsi la scopata d’addio? Compri la mia pace in questo modo? Guarda, non ci sto. L’ho fatta a 20 anni la scopata d’addio e dopo ho provato dentro una tale ripugnanza che già ai tempi mi sono detto basta, non l’avrei più fatta.”
“Come preferisci, ricordati però che sei stato tu a non volerlo.”
“Non mi incanti, basta! Non voglio più essere illuso, la dignità vale più di un orgasmo. Ma adesso sono solo, solo, solo!”

IL MESSAGGINO DELL’EX

“Ah amore mio, tesoro, che bello passare la domenica pomeriggio da soli a letto, senza nessuno che ci disturba.”
“E’ vero cara, vieni qua e dammi un bacio. Non c’è cosa più bella.”
“Caro, che ne dici se poi stasera usciamo e mangiamo fuori?”
“D’accordissimo, oggi lo sai è pure un anniversario speciale.”
“Quale?”
“Mia cara, oggi è il nostro complimese. E’ giusto 10 mesi che stiamo insieme.”
“Tesoro, te ne sei ricordato!”
“Ma certo, cara, dopo ci facciamo la doccia e ci prepariamo per quel ristorantino delizioso. Ma prima voglio un bacio…”
“E io te lo do, caro…con tutti gli annessi e connessi. Adoro il colorino giallo dei tuoi occhi dopo aver fatto l’amore.”
“Come non essere d’accordo…che è ‘sto suono?”
“Mi è arrivato un messaggino.”
“Uffa, proprio adesso. Di chi è?”
“Oddio, è del mio ex! Quello con cui ho avuto una storia di anni.”
“Ah sì me ne hai parlato, quello che era fidanzato con un’altra e ti teneva come ruota di scorta. E tu dietro a soffrire e piangere fino a quando ti sei stufata e l’hai lasciato.”
“Non dire così! Tu non hai mai capito quanto c’è stato tra noi. Anni e anni. Lui amava solo me, solo che a lei aveva fatto delle promesse e non poteva mollarla.”
“Che situazione di… va beh non aggiungiamo altro, sai come la penso. E che vuole adesso ‘sto stronzo?”
“Oddio non ho il coraggio…leggi tu per favore…”
“Dammi qua. Vediamo cosa ha il coraggio di scrivere… Allora… “Ti avevo promesso di dirtelo. Io e la fidanzata finalmente ci siamo lasciati e ti voglio parlare. Il mio sentimento ancora c’è”. Ma tu guarda che stronzo! Ma tu guarda che stronzo! Ma come si permette?”
“Oddio è tornato…è tornato!”
“Beh, che ti succede?”
“Non puoi capire l’emozione che mi sta scoppiando dentro…oddio sto male…è libero! E’ libero! Ho aspettato anni questo momento.”
“Sei impazzita?”
“E’ il Signore che l’ha mandato da me finalmente libero. E dopo un anno che non lo vedevo! Basta, basta col fare i clandestini, con i letti nei Motel, con le bugie!”
“Amore, non pensare più al passato, sarebbe una minestra riscaldata.”
“Non è vero, non si è mai raffreddata! Io ogni tanto pensavo ancora a lui. E tu lo sai, perché te ne parlavo.”
“E’ vero, ma intanto noi siamo stati insieme alla luce del sole. Nella realtà che è andata avanti. E mi hai fatto delle promesse e io ho preso degli impegni con te che mai con nessun’altra. Ti amo, per me tu sei l’unica e sei l’ultima, te l’ho sempre detto. Voglio vivere e amarti ogni giorno, renderti felice..”
“Se mi vuoi rendere felice lasciami andare da lui, ti prego. Devo essere libera e vivere questa cosa con lui. Non avrò altre occasioni, è troppo importante per me. Io DEVO andare, inizierei presto ad odiarti se non lo faccio.”
“No amore, ma cosa dici? E poi io avanzo i miei diritti su di te. Non posso lasciarti andare così, abbiamo costruito qualcosa di serio in questi 10 mesi. Abbiamo convissuto, passato le vacanze insieme, fatto progetti, vissuto bei momenti. Tu mi hai presentato la tua famiglia e io la mia. Non è possibile che un maledetto sms sgretoli tutto questo. Non restare intrappolata in un sogno.”
“Ci devo pensare. Ci devo pensare! Oddio mi vien da piangere. Lasciami solo qualche giorno per pensarci sopra, ti prego. Se mi ami per favore lasciami qualche giorno. Domani prendi il treno e torna a casa. Poi te lo dirò.”
“Amore, ma io ti amo. Senza di te non è vita, lo sai che per me sei l’ultima. Come puoi dirmi una cosa del genere?”
“Ci devo pensare, ci devo pensare!”


Non l’ho più rivista, né francamente voglio rivederla. Entrambi mi rendo conto che non ci facciamo una bellissima figura. E’ vero che non esiste amore sprecato ma dentro di me una lucina gialla si è spenta. Magari qualcuno ha una idea di cosa è successo.

lunedì 13 novembre 2017

UNA BRUTTA ESPERIENZA

“Cos’è quello?”
“Quello cosa?”
“Quella sorta di…di pallone azzurro di plastica sopra il tuo letto.”
“Ah quello. Si chiama Ambu, è il mio polmone di scorta. Lo uso ogni mattina per la ginnastica respiratoria.”
“Ah perché, esiste la ginnastica per respirare?”
“Certo. L’Ambu soffia l’aria dentro i polmoni e me li allarga. Che bello sentirsi dilatare i polmoni, la gente normale non ci fa più caso ma respirare è bellissimo.”
“Come mai questa ginnastica?”
“La insufficienza respiratoria è uno dei regali della mia malattia. Con la sclerosi multipla respiro male, ho sempre “fame d’aria”. L’Ambu mi serve appunto per evitare l’inferno.”
“Eh?”
“La settimana scorsa, mentre ero solo in casa, ho passato una esperienza indimenticabile.”
“Indimenticabile? Interessante, racconta.”
“E’ iniziato tutto banalmente. Mi era andato di traverso qualcosa ma anche se sforzavo non riuscivo a tossire, la malattia proprio in quel momento mi aveva bloccato la gola. Non riuscivo più a respirare, non avevo più aria ed ero entrato in apnea. Mi è arrivato addosso il panico, ero diventato in pochi secondi un fascio di nervi.”
“Come negli attacchi d’asma.”
“Una cosa simile. E’ stato terribile, non ci crederai ma ho creduto seriamente di morire. Ho pensato “muoio soffocato, oddio muoio, mi ritroveranno freddo”. L’aria mi circondava ma non riuscivo a farla entrare dentro.”
“Te la sei vista brutta insomma. Ma è un pericolo immaginato o è qualcosa che è già successo?”
“Purtroppo è già successo. Non dimenticherò mai quei pochi metri in apnea per andare al divano, prendere l’Ambu, ficcarmi il tubo in gola e finalmente respirare. Se in quei momenti inciampavo e cadevo ero morto.”
“Ma non c’era nessuno ad aiutarti?”
“La gatta, che chissà cosa pensava vedendomi annaspare e rosso in faccia. Nel suo mondo la sclerosi multipla deve essere una malattia da prede.”
“Beh, anche se abbacchiato comunque sei ancora tra noi a romperci le balle. Dai, è finita.”
“Sì, sono vivo. Ma da allora tengo l’Ambu sul letto a portata di mano. Ho avuto troppa paura quel giorno, pensavo veramente che la mia ora fosse arrivata.”
“Senti, ma si rivede tutta la propria vita?”
“Dopo ci ho pensato. No, non ho rivisto niente però ricordo che un pensiero è arrivato come un lampo: ciò che è stato è stato, non ti affannare più, il tempo è finito. Con le ultime forze ho afferrato l’Ambu, ho respirato ancora e la vita è tornata.”
“Meno male, dai, tutto è bene ciò che finisce bene.”
“Dante aveva ragione, sai? I gironi dell’inferno sono tanti.”
“Milioni di milioni.”
“Tu ci scherzi, ma con questa malattia l’inferno in forme sempre diverse lo sperimento ogni giorno. E meno male che in questi casi ho  l’Ambu, l’amico fedele che dorme accanto a me.”







Dr. LUCA TARTARO

Psicologo e Psicoterapeuta, specialista in Mediazione Familiare per coppie conflittuali e nel trattamento di depressione e ansia.
Studio in Milano, via Gaffurio 5 (MM2 Caiazzo)
Riceve su appuntamento: tel 333.7754233

domenica 12 novembre 2017

LO SPACCIATORE
Oggi, mentre iscrivevo mia madre (76 anni), a facebook mi sentivo come quei sordidi figuri che spacciano droga davanti alle scuole.
"Guarda mamma ora sei connessa al mondo."
"Sono cosa?"
"Puoi metterti in contatto con la zia a Vicenza, tua figlia in Inghilterra, tuo nipote in Olanda e tutto gratis!"
"Sono già stanca."
"Guarda, mio figlio, il tuo nipote in Olanda, ha già risposto."
"Ah bravo, allora è vivo ero tanto preoccupata."
"Non hai una foto tua che la mettiamo come foto profilo?"
"Mettiamo quella lì in cui ero giovane e tanto bellina!"
"Ehm sei sicura? Guarda che poi i malintenz..."
"Sì sì quella."
Oh cazzo.
IT-ALY

“…pssst bambino? Bambino?”
“Eh, chi è che mi chiama? Di chi è ‘sta voce?”
“Bambino, guarda qui sotto, nel tombino. Avvicinati senza paura, dai.”
“Oddio… ma c’è qualcuno nelle fogne!”
“Luchino, lo vuoi un palloncino rosso? Te lo regalo, ne ho tanti qui.”
“Chi è lei? La ringrazio per il Luchino, ma ormai ho una certa età.”
“Ma sei rimasto un bambino dentro, lo sappiamo. Allora, lo vuoi il palloncino?”
“Mi scusi un attimo, non vorrei che fosse successa una disgrazia. Cosa ci fa sotto il tombino?”
“Io vivo qui, ho tutto a disposizione, anche gli abiti e tanti palloncini.”
“Lei è vestito come un pagliaccio, Che, è arrivato il circo in città? Ora le inventano tutte per farsi pubblicità.”
“No Luchino, io vivo qui tutto solo, sto bene qui. Ho tanti giochi e un cagnolino. Ti piacciono i cagnolini?”
“Preferisco i gatti, son più diffidenti.”
“Luchino, perché non vieni a trovarmi? Facciamo amicizia. Mi sento tanto solo qui sotto.”
“Eddaje con questo Luchino, aspetti che chiamo i pompieri così la tirano fuori. Va bene che c’è la crisi degli alloggi ma dormire nelle fogne mi sembra eccessivo. Vado a chiamarli. Non mi ha ancora detto chi è lei.”
”No, non andare via, non mi lasciare solo. Ho tanta paura quando sono solo.”
“Pagliaccino mio bello, certo che a vivere lì sotto ha ben poca vita sociale. Chissà che ambientino lì dentro sempre al buio. Vado, vediamo se riusciamo a tirarla fuori.”
“No, non andare, non chiamare nessuno. Restiamo da soli noi due. Voglio darti il palloncino rosso, avvicinati.”
“Che barba. Non ne ha di un altro colore?”
“Oh, tutti i colori che vuoi. Vieni qui sotto dai, così lo scegliamo.”
“Qui c’è qualcosa di strano. Un pagliaccio sotto un tombino che regala palloncini…”
“Oh non essere così razionale. E’ la magia. La magia esiste, esiste veramente, se vuoi ti faccio vedere qualche trucco. Ascolta il bambino che è in te.”
“Più che magia mi sembra un film horror americano. Non le fa schifo vivere in un film dell’orrore?”
“Perché sei così cattivo con me? Io ti volevo solo regalare un palloncino.”
“E io vorrei solo tirarla fuori da lì e farla vivere alla luce del sole. Qui siamo in Italia, il sole può essere meraviglioso. Facciamo uno scambio, io prendo il palloncino se lei esce fuori, va bene anche se è vestito strano.”
“Bambino, tu non sai cosa stai rischiando. Tutta la città è infestata e se esco da qui sotto… questa volta la tartaruga non ti salverà.”
“Lo dicevo io che bisognava bonificare meglio le fogne. Guardi pagliaccino, una cosa ho imparato nella mia vita. Che i mostri quando vengono alla luce del sole poi svaniscono e magari tornano utili. Bisogna avere solo il coraggio di tirarli fuori. San Giorgio nelle prime versioni non uccideva il drago, lo addomesticava. Esca fuori, dai. Parliamone almeno.”
“Luchino, sei il primo che mi tratta bene, sai? Però non voglio uscire, vieni tu qui.”
“E così siamo ad un impasse. Una sola cosa le chiedo allora: per adesso non chiamerò i pompieri per estrarla ma per favore stia buono, i bambini si spaventano quando la vedono, stasera poi le porto un panino e parliamo.”
“Va bene, alla mortadella! A dopo Luchino.”
“A dopo, pagliaccino. Bisogna scendere sempre a patti con le cose brutte che si nascondono, anche loro devono vivere.”
“Grazie, ma proprio non lo vuoi un palloncino?”