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giovedì 10 maggio 2018


LA PARETE D’ORO

Questo non è un bagigio pubblico, è destinato a rimanere personale. Lo pubblico però solo su questo Blog perché tanto qui siamo in quattro gatti, non c’è pericolo e voglio che resti comunque una testimonianza. Questa notte ho avuto un sogno inquietante.

IL SOGNO. Mi ricordo bene come è iniziato il sogno. Come a volte capita, “sapevo” che stavo sognando e avevo gli occhi chiusi, vedendo ovviamente solo nero. Ma l’aria davanti alle palpebre chiuse diventava sempre più luminosa, iniziai a percepire una luce giallina debole che poi diventava quasi d’oro. Che bello.
Sembrava quasi che qualcuno avesse acceso una lampada alogena. Ed era come quando si alzano gli occhi a guardare il sole con gli occhi chiusi. Pur avendo le palpebre serrate si percepisce una luce di un colore intenso, quasi rosso (uno scienziato mi spiegò che in quei momenti si vede il sangue che scorre nelle palpebre).
Quando aprii gli occhi -stavo ancora sognando, quindi in realtà li tenevo ben chiusi- vidi davanti a me una parete d’oro e su quella parete delle parole scritte in rilievo, con caratteri d’oro su oro. La storia della mia vita, la mia strana vita. Mi venne una tale paura di leggere qualcosa sul mio futuro che nel sogno chiusi gli occhi e la parete d’oro sparì.

INTERPRETAZIONE DEL SOGNO. Paura di conoscere la verità. Mi pentii molto nella notte della mia reazione emotiva di rifiuto, intrisa di vigliaccheria. Purtroppo non potevo tornare indietro ma mi consolai pensando, come Borges, che era comunque un sollievo sapere che da qualche parte nell’infinito questo scritto esistesse. Certo, era ben poca cosa, avevo avuto l’occasione di leggerlo e non l’ho fatto. Perché ho questa grande paura dentro? Da dove arriva questa vigliaccheria, questa paura di affrontare le cose, di agire.
Soprattutto fatti che riguardano me stesso, e questo so che è uno dei lati peggiori del mio carattere, mi porta ad una inconcludenza che ha segnato in malo modo la mia vita. Non mi piace ma è più forte di me. Sono inibito ad agire per me stesso. Se il gesto riguarda invece gli altri non c’è problema, sono quasi eroico, ma per me stesso… faccio ben poco. Tanta autoanalisi, certo, ma poi non concretizzo mai. E non-facendo resterò povero e senza aver combinato granché. Potrei portare tanti esempi.
Subito mi è balzato alla mente un ricordo infantile. Forse tra tutti quello più speciale, di certo uno tra i più antichi, quando ancora facevo fatica a parlare.

IL RICORDO. Primavera del 1963, non dovevo avere nemmeno due anni. In un parco di Milano giocavo con mio padre, mia madre con mia sorella appena nata era seduta sull’erba. Vidi un albero strano in riva al fiume e chiesi a mio padre che tipo di albero era.
Un Salice Piangente, chiamato così perché se qualcuno gli dava un calcio, lui per reazione lo inondava d’acqua -mio padre aveva questo tipo di humour nero, l’ho sentito parlare così altre volte-. Non ci credi? Con scherno (non usate lo scherno con i bambini), mio padre mi esortava a calciarlo “Provaci!”. Ricordo che io per 2/3 volte andai vicino all’albero per un calcio ma poi tornavo indietro impaurito. I miei genitori ridevano, mia sorella era neonata e dormiva.

INTERPRETAZIONE DEL RICORDO: ai miei occhi, oggi lo vedo come un ricordo che camuffava la mia grande aggressività nei confronti della sorellina appena nata. Ma anche la paura di farle male per timore di una reazione: poi lei piange e io le prendo. Non solo, ma vengo pure umiliato, cosa orribile per un bambino. Per cui meglio non fare nulla. E per tutta la vita l’ho pensata così, perdendo treni e occasioni, rimanendo anzi umiliato se ci provavo. Sentire qualcosa che non puoi esprimere, come capisco bene questo sentimento.
Asimov una volta scrisse che non va bene reprimere sempre l’aggressività nei bambini, ogni tanto bisognerebbe farla esprimere liberamente. Parole sante Demostene, parole sante.





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