UN UOMO IN CIMA AL MONTE
Oggi pomeriggio ho rivisto un amico, un vecchio amico.
Un uomo –lo scrivo senza remore tanto so che non mi leggerà- molto più in gamba
di me.
Ci siamo conosciuti parecchi anni fa, e tra noi si è
sviluppata la tipica amicizia maschile in cui ci si sente poche volte l’anno e
ci si vede ancora meno, ma ogni volta è un piacere vero incontrarsi e scambiare
quattro chiacchiere sulla famiglia e altro. E’ un professionista stimato (nel
settore è persona nota), lavora sodo e sta facendo, giustamente, carriera.
Con mia grande sorpresa però, mentre nel suo ufficio
ci aggiornavamo sulle ultime vicende, mi ha rivelato con un certo imbarazzo “Sai che pensavo di telefonarti? Pensavo di
essere malato…”.
Capita a volte che amici e conoscenti, sapendo che ho
scritto sul biglietto da visita Psicologo,
mi interpellino per motivi diciamo così professionali, per un semplice parere o
qualcosa di più serio. Penso sia inevitabile, fa parte della esperienza di
chiunque. Quante volte mi son sentito dire “Sei
psicologo? Posso raccontarti un sogno?” Ad essere sinceri, una fetta non
piccola della mia quota professionale.
Però devo dire che francamente da lui non me
l’aspettavo. E’ un uomo posato e sposato con figli piccoli, con un grande
equilibrio interiore e apprezzato per una serenità quasi “contagiosa” che gli
invidio molto, niente a che vedere con la frenesia di certi rampanti che
aspirano al successo. E’ la dimostrazione vivente, per me, che si può
migliorare la propria condizione con calma e senza inutili cattiverie.
Insomma, una persona “normale”, per questo ero
stupito. Cosa era successo? Con un certo imbarazzo, minimizzando in
continuazione i suoi sentimenti (non è abituato a parlare di sé in questo
modo), mi ha raccontato di un cattivo umore subentrato dopo la morte di alcuni
cari parenti a cui era molto affezionato. Morti forse prevedibili, dato che
erano anziani, ma sempre dolorose. All’inizio sembrava averla presa bene, ma
dopo alcuni mesi, verso l’estate, erano iniziate “…le… le paturnie…”
“C’erano mattine
in cui mi chiedevo tutto questo che senso aveva, e facevo in continuazione
pensieri sulla morte.. che stupido eh?… pensavo che la vita sfugge e che alla
fine finisce… continuavo a lavorare ma rendevo molto poco. Avevo miliardi di
robe da fare e non riuscivo a completarne nemmeno una. A volte queste fisime
duravano tutto il giorno, non mi uscivano proprio dalla testa.”
Avendo l’età del sottoscritto aveva collegato subito i
suoi problemi all’età e alla “vecchiaia” che avanzava, anche se un vero anziano
potrebbe sorridere di tali pensieri. La giovinezza che inizia a diventare un
ricordo, e che ormai appartiene ai figli, le responsabilità eccetera eccetera.
Ogni tanto volgeva lo sguardo alle foto dei figli
appesi con orgoglio dietro la scrivania, e sospirava. “Lo so che ora tocca a loro, e che è mio dovere essere un buon padre.
Non ho mai messo in discussione questo, però mi sembrava che tutto il resto per
me non avesse più senso, mi chiedevo in fondo cosa servisse andare avanti.”
Se volessi fare l’accademico, la collocherei tra le
depressioni reattive di grado leggero, con una elaborazione del lutto con
prognosi fausta e senza strascichi, un leggero inizio di andropausa (horribile dictu), un disturbo di memoria
sull’acropoli, una banale…... Questo però non era un paziente, ma un amico. Il
mio ruolo in quel momento rimaneva quello di semplice ascoltatore, che parlava
poco ed evitava banalizzazioni nel discorso.
“Non vedo l’ora
che arrivino le vacanze, per potere tornare nella fattoria dei miei. Io quando
entro in paese mi sento a casa. Capisco il dialetto della gente, la loro
mentalità, i loro discorsi... Quando tocco la mia terra divento più forte, come
quell’essere mitico… com’è che si chiamava?”
“Uno dei titani
mi sembra, boh chi si ricorda…”
“Sì, non è
importante. Ne sono uscito da poco –continuava l’amico-, a dirti la verità. Sai cosa mi ha aiutato
molto? Pensare che non sono stato l’unico che, nel mezzo del cammino della sua
vita, si è perso. Bisogna cercare la strada per uscirne. Ho camminato, sono
arrivato in cima al monte e però dopo mi sono sentito sperso, come se la mia
vita non avesse più uno scopo. Ancora adesso a volte mi sento così. Strano, eh?
Mi devo preoccupare?”
In quel momento mi ha guardato disinvolto, ma si
intuiva un timore non apparente.
In cima al monte, e poi si era fermato perché non
c’era un posto più alto dove andare. Questo forse al lettore ricorda un’altra
situazione. In ogni caso toccava a me dire qualcosa.
“Mi fai pensare
che arrivare in cima a quanto dicono è un momento cruciale. Dopo tanta fatica
ci si ferma e ci si guarda intorno. Si osserva il panorama e si vedono le nuove
possibilità. E’ lecito sostare un attimo e riflettere in quale direzione
andare. L’immensità del panorama può anche sgomentare, ma in fondo si tratta
solo di un nuovo inizio.”
“Giusto. Hai
ragione, hai ragione... Bello questo esempio, va proprio a pennello (peccato
che non fosse tutta farina del mio sacco).
Quando si arriva in cima al monte è un nuovo inizio. E in fondo il tempo
scorre, ma lentamente. Ci sono ancora posti da vedere.”
Il tempo scorre, ma lentamente.
Dopo tanto aspro andar
RispondiEliminaSignore, sono stanco
il passo è lento e affannato.
Lasciami in questo generoso giardino
Come brezza gentile sulle ginestre
un tiepido fiato carezza la fronte
il profumo del sole ubriaca i polmoni
raggi d'oro ricamano l'orizzonte
Un poeta narra la vita
Daniela