Visualizzazioni totali

venerdì 8 maggio 2015


UN UOMO IN CIMA AL MONTE

Oggi pomeriggio ho rivisto un amico, un vecchio amico. Un uomo –lo scrivo senza remore tanto so che non mi leggerà- molto più in gamba di me.
Ci siamo conosciuti parecchi anni fa, e tra noi si è sviluppata la tipica amicizia maschile in cui ci si sente poche volte l’anno e ci si vede ancora meno, ma ogni volta è un piacere vero incontrarsi e scambiare quattro chiacchiere sulla famiglia e altro. E’ un professionista stimato (nel settore è persona nota), lavora sodo e sta facendo, giustamente, carriera.
Con mia grande sorpresa però, mentre nel suo ufficio ci aggiornavamo sulle ultime vicende, mi ha rivelato con un certo imbarazzo “Sai che pensavo di telefonarti? Pensavo di essere malato…”.
Capita a volte che amici e conoscenti, sapendo che ho scritto sul biglietto da visita Psicologo, mi interpellino per motivi diciamo così professionali, per un semplice parere o qualcosa di più serio. Penso sia inevitabile, fa parte della esperienza di chiunque. Quante volte mi son sentito dire “Sei psicologo? Posso raccontarti un sogno?” Ad essere sinceri, una fetta non piccola della mia quota professionale.
Però devo dire che francamente da lui non me l’aspettavo. E’ un uomo posato e sposato con figli piccoli, con un grande equilibrio interiore e apprezzato per una serenità quasi “contagiosa” che gli invidio molto, niente a che vedere con la frenesia di certi rampanti che aspirano al successo. E’ la dimostrazione vivente, per me, che si può migliorare la propria condizione con calma e senza inutili cattiverie.
Insomma, una persona “normale”, per questo ero stupito. Cosa era successo? Con un certo imbarazzo, minimizzando in continuazione i suoi sentimenti (non è abituato a parlare di sé in questo modo), mi ha raccontato di un cattivo umore subentrato dopo la morte di alcuni cari parenti a cui era molto affezionato. Morti forse prevedibili, dato che erano anziani, ma sempre dolorose. All’inizio sembrava averla presa bene, ma dopo alcuni mesi, verso l’estate, erano iniziate “…le… le paturnie…
C’erano mattine in cui mi chiedevo tutto questo che senso aveva, e facevo in continuazione pensieri sulla morte.. che stupido eh?… pensavo che la vita sfugge e che alla fine finisce… continuavo a lavorare ma rendevo molto poco. Avevo miliardi di robe da fare e non riuscivo a completarne nemmeno una. A volte queste fisime duravano tutto il giorno, non mi uscivano proprio dalla testa.
Avendo l’età del sottoscritto aveva collegato subito i suoi problemi all’età e alla “vecchiaia” che avanzava, anche se un vero anziano potrebbe sorridere di tali pensieri. La giovinezza che inizia a diventare un ricordo, e che ormai appartiene ai figli, le responsabilità eccetera eccetera.
Ogni tanto volgeva lo sguardo alle foto dei figli appesi con orgoglio dietro la scrivania, e sospirava. “Lo so che ora tocca a loro, e che è mio dovere essere un buon padre. Non ho mai messo in discussione questo, però mi sembrava che tutto il resto per me non avesse più senso, mi chiedevo in fondo cosa servisse andare avanti.
Se volessi fare l’accademico, la collocherei tra le depressioni reattive di grado leggero, con una elaborazione del lutto con prognosi fausta e senza strascichi, un leggero inizio di andropausa (horribile dictu), un disturbo di memoria sull’acropoli, una banale…... Questo però non era un paziente, ma un amico. Il mio ruolo in quel momento rimaneva quello di semplice ascoltatore, che parlava poco ed evitava banalizzazioni nel discorso.
Non vedo l’ora che arrivino le vacanze, per potere tornare nella fattoria dei miei. Io quando entro in paese mi sento a casa. Capisco il dialetto della gente, la loro mentalità, i loro discorsi... Quando tocco la mia terra divento più forte, come quell’essere mitico… com’è che si chiamava?
Uno dei titani mi sembra, boh chi si ricorda…
Sì, non è importante. Ne sono uscito da poco –continuava l’amico-, a dirti la verità. Sai cosa mi ha aiutato molto? Pensare che non sono stato l’unico che, nel mezzo del cammino della sua vita, si è perso. Bisogna cercare la strada per uscirne. Ho camminato, sono arrivato in cima al monte e però dopo mi sono sentito sperso, come se la mia vita non avesse più uno scopo. Ancora adesso a volte mi sento così. Strano, eh? Mi devo preoccupare?
In quel momento mi ha guardato disinvolto, ma si intuiva un timore non apparente.
In cima al monte, e poi si era fermato perché non c’era un posto più alto dove andare. Questo forse al lettore ricorda un’altra situazione. In ogni caso toccava a me dire qualcosa.
Mi fai pensare che arrivare in cima a quanto dicono è un momento cruciale. Dopo tanta fatica ci si ferma e ci si guarda intorno. Si osserva il panorama e si vedono le nuove possibilità. E’ lecito sostare un attimo e riflettere in quale direzione andare. L’immensità del panorama può anche sgomentare, ma in fondo si tratta solo di un nuovo inizio.”
Giusto. Hai ragione, hai ragione... Bello questo esempio, va proprio a pennello (peccato che non fosse tutta farina del mio sacco). Quando si arriva in cima al monte è un nuovo inizio. E in fondo il tempo scorre, ma lentamente. Ci sono ancora posti da vedere.”
Il tempo scorre, ma lentamente.


1 commento:

  1. Dopo tanto aspro andar
    Signore, sono stanco
    il passo è lento e affannato.

    Lasciami in questo generoso giardino
    Come brezza gentile sulle ginestre
    un tiepido fiato carezza la fronte
    il profumo del sole ubriaca i polmoni
    raggi d'oro ricamano l'orizzonte
    Un poeta narra la vita

    Daniela

    RispondiElimina