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venerdì 1 maggio 2015


IL PAZIENTE PIU’ SCONOSCIUTO DI FREUD

In pochi lo sanno, ma Freud ebbe tra i suoi pazienti un autentico vampiro. Probabilmente il viennese decise di non divulgare nel dettaglio questo suo caso clinico per la delicatezza della vicenda e anche, diciamolo, per evitare complicazioni: all’epoca della cura –il primo ‘900- la psicoanalisi doveva ancora acquistare uno status riconosciuto, e un caso simile avrebbe certo attirato molte perplessità (per fortuna oggi le cose sembrano cambiate).
Recentemente però in un locale notturno milanese è stato notato proprio questo suo antico paziente. Il tempo non pareva averlo cambiato molto, si presentava come un signore brizzolato, con una eleganza antica. Appena seppi durante la conversazione -è un piacevolissimo commensale- che era stato un paziente dello stesso Freud ne approfittai subito, da studioso del campo, per saperne qualcosa di più.
Oltre ad alcuni gustosi aneddoti sull’Herr Professor, che riferirò in sede più adeguata, ho colto l’occasione per conoscere più da vicino, e finalmente di prima mano, qualcosa sul metodo e sulla personalità di una persona così importante per me e la mia vita.
Il nostro ospite conservava ancora parecchi ricordi sulla sua analisi, e non dovette farsi pregare molto per descrivere la sua esperienza. Si era rivolto a Freud per alcuni seri problemi interiori che lo tormentavano “oltre la vostra immaginazione”, e ancora dopo un secolo gli era grato per averlo aiutato e, in definitiva, guarito.
Ma andiamo con ordine. Dato che per la sua patologia (chiamiamola così) l’uomo non è mai riuscito nemmeno in passato a sopportare la luce del sole, per molto tempo fu l’ultimo paziente della lunga giornata lavorativa di Freud. L’uomo rammentava ancora bene come fosse lui stesso, e non la sua domestica, ad andare ad aprirgli la porta di via Bergasse 19 sul finire della giornata, e di come il viennese lo accompagnasse chiacchierando del più e del meno verso lo studiolo che si affacciava sul giardino interno. Con il suo paziente si comportò sempre in maniera molto affabile e urbana, erano stati entrambi educati nell’800 e si trovavano naturalmente in sintonia.
Anche ora l’uomo ricordava bene e con affetto il tono della voce di Freud e la punta luminosa del suo sigaro che diventava spesso l’unica fonte di luce nello studio mentre esponeva le varie disavventure.
Una volta, passando davanti allo specchio dell’anticamera dopo la seduta, l’uomo riuscì a scorgere una vaga ombra sul vetro, e questo fu per lui il commovente segnale che l’analisi stava per finire. Non era mai riuscito a cogliere il riflesso della sua corporeità nel mondo. Qualcosa in lui stava cambiando, e in meglio.
“Capite? Stavo diventando una persona come le altre. Finalmente. Sarò sempre grato a Herr Professor”, concluse entusiasta.
“Davvero? –dissi, mentre cercavo di scorgere il suo riflesso nel mio bicchiere- Lei sente di essere diventato una persona normale?”
“Non nel senso che forse intende lei –mi rispose squadrandomi severamente-, da quel punto di vista io ero già a posto.”
Dato che sapevo come qualche sera prima avesse, ehmm… prosciugato una delle sue vittime, gli chiesi se era ancora un… un… (non trovavo il coraggio per dirlo).
“Forse lei si sta interrogando se ho cambiato la mia natura, lo si intuisce dalla sua faccia, incerte emozioni trascinano sorrisi incerti. Purtroppo sono costretto a risponderle no, non sono cambiato. E meno male. Herr Professor fu molto chiaro sin dall’inizio su questo punto. Il mio carattere non sarebbe stato toccato.”
“Ma lei prima ha detto di essere guarito.”
“Certamente! Dopo l’analisi non mi sentivo più in colpa. Forse farà fatica a credermi, ma ho un personalità onesta, e talvolta i miei comportamenti mi ripugnavano. A modo mio ritengo di essere una persona virtuosa. Non mi mescolo certo alla teppaglia che anche ora sta scorrazzando nel mondo. Ho sempre usato le posate quando mangio, cosa crede?”
“Ci scusi”, disse uno degli ascoltatori, che aveva capito che si stava mettendo male.
“Fortunatamente –disse l’uomo mentre sorseggiava il suo drink- Herr Professor aveva un carattere più aperto del vostro. Non badava a ricominciare tutto daccapo. Era una persona eccezionale. Dopo non ho più incontrato un altro come lui.”
“Cosa intende allora per curato?”, gli chiesi.
“Come ho spiegato prima, i miei dubbi e i miei tormenti erano finalmente svaniti. Ho lavorato molto su me stesso, sul mio temperamento, cosa ben diversa dal carattere.”
“E che differenza c’è?”, chiese uno dei commensali.
“Lei non intuisce la diversità? –sembrava veramente stupito, ma dopo un momento si riprese-. Ah già, voi non usate più queste parole, oggi si parla di inconscio e Io -sorrise-, un’altra vittoria di Herr Professor. Per farla breve, dato che non dovrei certo essere io a dirvi queste cose, il carattere di una persona è connaturato, mentre il temperamento lo si forgia durante la vita. E su quello, e l’armonia intima che sapevo di avere in me, abbiamo lavorato. Dovreste rileggervi Senecius.”
“Chi?”
“Oh, uhm… Seneca, come dite in italiano? Giusto?”
“Giusto. Ma questo carattere allora, come lo ha presentato lei, diventa una sorta di immodificabile imprinting”, disse uno degli ascoltatori.
L’uomo sorrise: “sì, potete chiamarlo così. E’ strano oggi per me sentire questo termine dappertutto. Ricordo ancora le discussioni con Konrad Lorenz, durante le pause del suo lavoro di chirurgo durante la Seconda Guerra Mondiale. Altro uomo di levatura eccezionale. Io lo aiutavo nel suo lavoro, ero… l’anestesista. Un giorno ebbe una violenta crisi di nervi, uscì dalla baracca dove si operava e iniziò a prendere a calci tutto, svolgere il chirurgo in guerra è una esperienza orribile. Riuscii a calmarlo con fatica. Abbiamo lavorato molto insieme. Voi come lavorate adesso?”
“Beh –disse un mio amico collega- innanzitutto nel nostro lavoro di terapeuti cerchiamo di delimitare il campo del nostro intervento posizionando dei paletti, è importante…”
“Di frassino, immagino. Sì, non siete cambiati molto, vedo. I pregiudizi che erano usciti dalla porta sono rientrati dalla finestra.”
“Cosa intende dire?”, chiese una ragazza.
“Mia cara, lei cosa ne pensa del mio carattere?”
“Beh, è molto interessante… -la ragazza con lo sguardo cercava aiuto, ma nessuno sapeva come-. Sì, interessante. Cioè.”
L’uomo distolse la testa, stava pensando a qualcosa. Non sorrideva più. “A proposito… -disse guardando l’orologio (non me ne intendo, ma sembrava un modello antico)-, scusate, ma adesso devo proprio andare. Mi sono appena ricordato di un appuntamento importante. Mi ha fatto piacere parlare con voi, spero che prima o poi ci rivedremo.”
Devo confessare che mi sembrò una velata minaccia, ma facemmo buon viso a cattivo gioco e lo salutammo più cordialmente possibile. Forse troppo.

“Arrivederci dunque –disse mentre si alzava. Doveva essere abituato ad essere trattato così, perché si notava una certa tristezza sul volto-. Lasciatemi dire una ultima cosa, ho imparato molte nozioni nella mia lunga vita. A volte belle, a volte no. Ma su questo penso di essere conclusivo. Credetemi, lavorate su voi stessi.”

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