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martedì 5 maggio 2015

COME SOPRAVVIVERE AD UN PEDOFILO

E’ frequente, scorrendo gli articoli di giornali, leggere brutte notizie di pedofilia, di incesti, abusi su minori. Discorso delicato, facile essere fraintesi. In Italia ogni settimana ormai ce n’è una.
Non ho una memoria storica abbastanza prolungata nel tempo per fare raffronti esatti, ma queste notizie negli ultimi anni pare siano aumentate di quantità. Forse è un bene che se ne parli, e che certi avvenimenti non restino più imprigionati nelle mura domestiche, o forse no, visto che spettacolare il dolore porta spesso a conseguenze dubbie.
Un concetto che per esempio talvolta si sente insinuare nei resoconti di cronaca è questo: un bambino o una bambina vittima di child abuse resterà traumatizzato/a e ne porterà in sé le conseguenze per tutta la vita.
E’ un commento lapidario, una legge che prevede per questi minori abusati un futuro d’inferno. Da adulto, secondo certi giornali, il bimbo abusato diventerà a sua volta una persona spostata, malata, psicologicamente fragile etc, che replicherà con altri minori quanto ha attraversato da piccolo. Un circolo vizioso insomma. Terribile.
La coscienza popolare è del resto molto severa con chi compie misfatti di questo tipo, e in prigione gli accusati di “infamità verso ‘e creature” devono essere rinchiusi nei reparti “protetti”. Protetti dagli altri detenuti.

L'esperienza clinica conferma tutto ciò? No. Questo automatismo non esiste, la regola abuso infantile - vita rovinata non è vera; succede spesso, nessuno lo nega, ma non sempre.
Ci sono persone, lo sappiamo dalla clinica, che hanno subito violenze da bambini ma poi riescono da adulte a condurre una vita normale, riescono a studiare, lavorare, sposarsi, costruire una famiglia, una casa etc, diventando persone a posto, cittadini comuni. Attenzione a stabilire leggi psicologiche del tipo elencate prima, non vendiamole come verità assolute.

Esempio non sessuale, tanto per essere chiari (il sesso rischia di incasinare sempre tutto): la guerra è un'esperienza orribile, e i bambini la subiscono nel modo peggiore. Diventeranno tutti degli spostati? Saranno traumatizzati e rovinati per sempre? No. Molti lo saranno, tanti, e andranno aiutati, ma fortunatamente non tutti. Molti di loro diventeranno adulti equilibrati e robusti. Qualcuno, non sembri una bestemmia, conserverà anzi della esperienza della guerra un positivo ricordo. Anche se a noi sembra una cosa impossibile, avviene.

L'equazione, per ritornare al discorso iniziale, child abuse = trauma indelebile, rischia di ritorcersi contro di noi, soffocando la speranza. Si arriva con sofferenza a pensare: "è stata violentata dal padre? allora è rovinata per sempre". Ma questo, è bene ripeterlo, non è vero, molte bambine sappiamo che trovano la forza per superare quanto hanno vissuto e crescere ancora. Crescere ancora. Il loro futuro non è automaticamente guastato. Trovano in se stesse la forza per andare avanti, la fiducia per una vita migliore.
La capacità di alcuni bambini nell’assorbire senza conseguenze gravissimi traumi anzi è stupefacente. “Qualcuno è più dotato di altri, è un mistero ma è così”, dirà qualcuno. Questo è vero, è una scorciatoia classica che però personalmente mi lascia insoddisfatto.

Winnicott non è solo stato un grande psicoanalista inglese, era anche un uomo buono, un  galantuomo nel senso migliore della parola. Dopo aver lavorato con i bambini traumatizzati dagli eventi della guerra, si accorse nel 1948 di una caratteristica, che dava una concreta speranza a molte persone, prima condannate ad una vita segnata. Lo espresse così: non era tanto il trauma in sé ad essere pericoloso o fatale, ma come esso veniva vissuto dal bambino.
Per “resistere” ad un episodio traumatizzante (elaborarlo, superarlo, digerirlo mettiamola come vogliamo) l’inglese aveva infatti rilevato come fosse fondamentale l’ambiente nel quale esso veniva vissuto e i messaggi che venivano passati alla giovane vittima. Se cioè dopo –e non era mai troppo tardi- si teneva viva nel bimbo la speranza che tali brutti episodi non avrebbero avuto esiti irrecuperabili e indelebili, che la perdita poteva essere rimediata e il lutto consolato, allora ci si poteva augurare il superamento di un evento altrimenti terribile.
Ciò vale anche per il suo contrario purtroppo: un evento banale, qualora sia caricato di ansia e disperazione, diventa sin troppo facilmente per un giovanissimo uno choc sconvolgente. “Le persone che tolgono la speranza dovrebbero essere allontanate dai bambini perché sono come dei killer”.

Non sono, per farla breve, farmaci, interventi punitivi ed esemplari nei confronti dei responsabili, vendette, preghiere, viaggi e balocchi ad essere determinanti e curativi, ma qualcosa di più antico e profondo: la fiducia o meno di chi lo assiste nella sua inevitabile crescita (si cresce anche se non si vuole), la forza dell’amore (grande terapeuta), un affetto non soffocante e che non vuole educare ma che consola e lascia crescere, il non lasciare il minore da solo.
Paradossalmente diventa molto ma molto peggio per un bambino togliere con la sfiducia qualsiasi speranza in un cambiamento futuro, in un domani diverso, stroncando la crescita di qualcosa, piuttosto che un trauma cosiddetto “indelebile”.

Da quando mi è sorto il sospetto sulla importanza della fiducia nei rapporti umani, non solo con i bambini, ho sempre posto molta attenzione a questo sentimento. “Ma io provo fiducia in te?”, mi chiedo talvolta. Stando poi attento ai tranelli della speranza finta, l’irritante buonismo, l’ipocrisia del politically correct, la retorica in cui andrà tutto bene.
E a volte viene da ridere, perché parlando di fiducia sembra di avere scoperto l’acqua calda. Però in un mondo di docce fredde che gelano la speranza è consolante. Come dicono i cinesi “il momento migliore per piantare un albero era vent’anni fa, il secondo momento migliore è adesso”.


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