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venerdì 1 maggio 2015

MISTERI OCEANICI

Ogni tanto nella vita ci vuole. Sto parlando di un altro viaggio di nozze, per festeggiare qualcosa, perché si è ottenuta una promozione, perché la moglie aspetta un altro figlio, di motivi se ne trovano sempre. In genere quello che manca sono i soldi, ma era un momento fortunato e una sera tornai a casa con due biglietti (che uomo imprevedibile che sono). Una sorpresa, due settimane tutte per noi nel Mediterraneo.
In realtà ci pensavo da tempo. Proprio davanti all’ufficio una agenzia viaggi magnificava irrinunciabili offerte speciali. Spiagge, sole, cocktail con l’ombrellino… E in questa città è arrivato l’inverno, piovosissimo. Una crociera… massì, perché no. Lei se lo merita. Se lo merita veramente. Per una volta nella vita si può fare una sorpresa così.
Va bene, tutto per dire che siamo partiti una settimana fa e ormai ci stavamo abituando alla vita di mare. Non dirò la destinazione della crociera o la Linea per non fare pubblicità inutile, e poi sono cose nostre. Luci nel mare. Che bello.
L’importante per la nostra storia è che ogni sera, dopo cena, invece di partecipare allo spettacolino (mi hanno fregato la prima sera e adesso non mi fregano più), io e mia moglie ci concedevamo una lunga passeggiata sul ponte della grande nave, tranquilli e allacciati come due fidanzatini.
Il vento era sempre intenso, così diverso rispetto alla infuocata aria del giorno. Spesso si cercava una sdraio in un posto riparato, e ci limitavamo a stenderci, avvolgendoci sotto una coperta per strofinarci il naso e sentire il rumore del mare che, come dice Paolo Conte, “non si ferma mai, neanche di notte”. 

Senza dire nulla, felici insieme.
Lei era al quarto mese e non provava più nausee. Stava bene e facevamo spesso l’amore. Ce la stavamo godendo insomma, era proprio una seconda luna di miele. C’era molta complicità tra di noi. Il futuro era pieno di belle cose.
Una sera parlottavo con lei appoggiato con i gomiti alla balaustra, con il mare che scorreva sotto di me. Guardavo senza badarci tanto alle onde e intanto si parlava dei programmi del giorno dopo. La mattina si sbarcava ad Alessandria d’Egitto e si doveva decidere se andare a visitare le Piramidi o il Museo del Cairo. O magari, visto che le avevamo già viste anni prima, se non era il caso di perderci in qualche mercatino orientale. Tra le onde vidi qualcosa.
Una sagoma scura nel mare scuro. Sfrecciava sotto il pelo dell’acqua.
Alla luce della luna un ombra passava di fianco alla nave, come una macchia. Le luci erano fioche, non si capiva bene. L’ombra affiancava la nave, la superava. Teneva il ritmo dei motori con facilità, dava l’idea che potesse fare quello che voleva. Avvisai mia moglie, che si avvicinò a bordo nave. Anche lei intravide qualcosa nell’acqua. Seguimmo con lo sguardo quella apparizione misteriosa sino a quando divenne lontana e invisibile.
“Che cos’era?”
“Non lo so. C’è uno dell’equipaggio, aspetta che chiedo.”
 Passava dal ponte un graduato giovane, uno degli aiutanti del Comandante (in realtà visto molto poco, solo il primo giorno e alle ricorrenze speciali). Un giovane adulto dal passo deciso ma non aggressivo. Lo fermai senza difficoltà, erano tutti molto gentili con noi passeggeri. Gli spiegai cosa avevamo visto e lui non si scompose. Fortunatamente parlava italiano. La sua uniforme era impeccabile.
“Probabilmente sarà stata un’orca. Siete stati fortunati, nel Mediterraneo se ne vedono poche. Strano però, in questo periodo dell’anno di solito sono più a nord.”
“Mio Dio, un’orca? Quelle bestie gigantesche?”
Da ragazzino avevo visto un film insulso, che mi aveva molto spaventato, dal titolo “L’orca assassina” o qualcosa del genere, uscito nel periodo in cui andavano di moda le pellicole su squali e simili. Avevo imparato come le orche fossero mammiferi grandi come squali, feroci come e più di loro. Perché alla fame univano l’intelligenza. Si muovevano in branchi e riuscivano a mangiarsi addirittura le balene a morsi. Sapevo anche che in alcuni acquari della Florida le usano negli spettacoli, ma per me solo dei pazzi potevano rischiare la vita così.
Dopo quella notizia io e mia moglie ci sporgemmo dalla balaustra con molta più circospezione. La motonave filava come suo solito, lasciandosi una scia bianca dietro. Il mare scuro e freddo era lontano una ventina di metri sotto di noi, ma conteneva dei pericoli reali. Ebbi paura in quel momento, mi sembrava veramente di essere sospeso sopra un abisso nero.
La mia fantasia galoppava. Anzi, vista la situazione, guizzava. Forse un branco di orche aveva deciso di colpire la nave… e certo se non si facevano scrupoli nell’attaccare le balene magari con la sagoma di una nave potevano confondersi… si stavano già predisponendo per un attacco… come un branco di lupi. Immagini di un naufragio con uomini e donne caduti in mare e assaliti da mostri dentati emersero con una spontaneità facilissima nella mia mente.
“Non c’è pericolo, vero?” (a volte il bambino che è in me si nota subito, vorrei essere più freddo in certi momenti, svedese).
“Per le orche? No signore –il graduato sorrise, non voleva schernire, ma rassicurare-. Non è mai stato registrato l'attacco di un'orca marina ad un essere umano. Per qualche misteriosa ragione questo animale, gran predatore, ha deciso di lasciare perdere l'uomo.”
“Perché?”, chiese mia moglie.
“Esattamente non glielo so dire, mi devo informare dal Comandante. So solo che non c’è da preoccuparsi”, disse il graduato con il tono più rassicurante possibile. Conoscevo quel tono, perché anch’io lo usavo con i miei clienti dubbiosi.
“Solidarietà tra mammiferi, allora”, dissi, senza rendermi conto che dicevo una corbelleria.
“Beh, signore, non esattamente. L'orca non si fa scrupoli ad attaccare balene, delfini e foche, che sono mammiferi pure loro. Ed un essere umano che nuota, dal basso assomiglia pericolosamente ad una foca. Rispetto a loro in acqua siamo debolini assai, vi assicuro.”
“E allora se qualcuno di noi cascasse in acqua?”
“Verrebbe subito dato l’allarme e ripescato. Anche perché il mediterraneo di notte è molto freddo. Comunque stia tranquillo signore. In sette anni che lavoro su questa nave non è mai successo”.
“Ma come mai se è un orca non si vede la pinna?”
“A volte nuotano sotto le navi, si vede che a loro ne piace il flusso.”
“Senta –disse mia moglie con le mani sul ventre-, ho visto in un documentario che lo squalo prima di finire una vittima fa un morso preventivo per testare quanto è buona la sua preda. Forse per l’orca abbiamo un saporaccio.”
“Può darsi signora, ma se devo essere sincero ne dubito. Nemmeno in tempo di carestia o scarsità di prede c'è mai stato un attacco.”
“Forse è un patto di reciproca non-belligeranza, l’animale teme ritorsioni… –dissi io, però mi risposi subito da solo-. No, forse neanche questo va bene. Anche prima dell'invenzione di armi è stato mai registrato un assalto?”
“Mai.”

“Insomma –disse mia moglie-, malgrado l’uomo imprigioni orche per circhi acquatici, film stupidotti e qualche volta certo ne abbia uccise, pur essendo carnivoro, predatore e più forte di noi l’orca non ci attacca.”
“Sembra quasi che sotto ci sia una sorta di patto segreto tra l’orca e l’uomo –dissi-. Ma poi, chi e quando ha firmato questo patto?”
Ci fu un attimo di silenzio. Forse avevo volato troppo con la fantasia. In ufficio mi capita spesso, mi prendono in giro per quello.
“Non lo so, non riesco a trovare ragioni plausibili”, conclusi sconsolato.
“Non te la prendere, dai”, mi consolò mia moglie con una carezza.
“Scusate –intervenne rassicurante il graduato-, state forse dimenticando un aspetto più generale: i cetacei non attaccano mai l'uomo. Balene, delfini, orche e compagnia amano gli uomini, accettano il contatto, non li sfuggono malgrado la loro debolezza e la caccia che abbiamo dato loro.”
“Perdonano la nostra crudeltà -disse mia moglie sottovoce-, che li ha portati quasi alla estinzione. Che animali meravigliosi. Ricordo che da bambina in alcuni menù di Riccione c'erano bistecche di delfino. E ti ricordi di Franco, il medico? –Ora mia moglie si rivolse a me-. Quando è stato in Norvegia ha mangiato carne di balena in un ristorante.”
“Sì, mi ricordo. Si era stupito che fosse rossa. “C'è l'emoglobina dentro!" Ma allora –mi rivolsi al tenentino- i casi come quello di Moby Dick?”. Mi sembrava di ricordare che il romanzo fosse scaturito da un fatto realmente accaduto.
“Sono episodi isolatissimi e spiegabili. Spesso il Comandante ci racconta come durante la guerra alcune balene, confuse dai segnali radar delle navi, le attaccavano senza rendersi bene conto di ciò che facevano.”
E così il mistero permaneva. Perché i cetacei non attaccano l'uomo? Le balene si nutrono di plancton e i delfini di pesci, ma le potenti orche non disdegnano certo grossi animali. Eppure ci lasciano sempre stare. Che legame misterioso esiste tra noi e loro? Legame che questi animali conoscono, rispettano e noi no.
“E’ un vero mistero”, dissi.
“Beh, visto che vi interessano i misteri, ce ne sarebbe un  altro che mi ha sempre intrigato, e che riguarda i delfini. Anzi due. Il primo è questo: che se ne fanno i delfini del loro grande cervello, più grande in proporzione di quello dell'essere umano?”
“Il cervello è un organo costoso in natura”, disse mia moglie ridendo. Il tenentino se colse la maliziosa allusione non lo diede ad intendere. A mia moglie piace fare di questi scherzi. Ci sentivamo in vacanza.
“Certo –continuò il graduato- e si sa che in natura ciò che è inutile viene prima o poi eliminato. Per cui il loro cervello deve avere una funzione precisa, dato che i delfini esistono nella forma attuale da 80 milioni di anni. Solo che non sappiamo quale. Gli squali in fondo fanno le stesse cose dei delfini, mangiano, crescono, cacciano, si riproducono, ma con un cervello molto più piccolo. Che serve allora il cervello ai delfini se non hanno mani e non possono costruire nulla? Me lo sono sempre chiesto.”
“Forse per comunicare tra di loro.”
“Probabile, hanno un sistema di comunicazione molto complesso –disse il graduato-. Ma allora emerge un altro enigma.”
“Cioè cosa si dicono?”
“No, non solo. Ce n’è uno a mio parere ancora più grande: come mai l'essere umano non riesce a comunicare con i delfini, che pure hanno un linguaggio preciso? Penso a internet, ai segnali radio che avvolgono tutto il mondo, ai satelliti, roba complicata. Si vede che la loro comunicazione è troppo ampia e complessa per noi. Mentre ero alla Accademia di Livorno ho studiato quanto si era riuscito a comprendere sul loro modo d'esprimersi, ma in definitiva nie…”
Il cercapersone del tenentino si mise a squillare. 

“Scusate, mi stanno cercando, vi devo salutare. E’ stata una piacevole conversazione. Spero di esservi stato d’aiuto. Arrivederci!” Il tenente si toccò il cappello e se ne andò con il suo passo sicuro.
“Grazie mille. Arrivederci!”
E così alla fine il tenentino era più interessato ai misteri del mare di noi. Ci mettemmo a ridere e andammo nella nostra cabina.
Quella notte, mentre mia moglie dormiva, ripensai a quella conversazione. Spendiamo miliardi per tentare di parlare con ET, che non sappiamo nemmeno se esiste, dov'è e che intenzioni ha, mentre a orche e delfini -razze vicine, intelligenti e amichevoli che potrebbero darci molto- riserviamo solo briciole. Chissà cosa si dicono. Cosa potrebbero dirci.
Non lo so, non si può capire tutto. E’ vero anche questo, non posso comprendere tutto. Forse sarebbe bello capire tutto, o forse no. Magari in un’altra vita.
Misteri, misteri che tornano e ritornano. Misteri.


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