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venerdì 1 maggio 2015

IL FIORE DELLA MAGNOLIA

“E’ una pianta antichissima, fioriva già ai tempi dei dinosauri, placidi animali che si concedevano scorpacciate di magnolia –nel sogno il maestro si portò qualcosa alla bocca con un gesto armonioso, poi con le mani si mise a reggere una grande coppa invisibile-. E‘ un fiore tipico dei paesi caldi, dove la terra scota. Il fiore ha foglie grandi e lucide. Il tronco può alzarsi imponente oltre i dieci metri. Sa perché le parlo della magnolia? Perché il suo rapporto con gli esseri umani è speciale, nasconde una storia. La vuole sentire? Si sieda, che la racconto.”
“Non voglio stare seduto –dissi nel sogno-. Preferisco stare in piedi. Ho le gambe, uso le gambe.”
“Come preferisce. Molto ostinato. Lei mi ricorda proprio l’uomo di cui le volevo parlare, un inglese di origini tedesche. E’ vissuto, parola impegnativa, molto tempo addietro. Nel 1881 questo botanico inglese, mentre era in India a compiere il servizio militare, manco a farlo apposta vide una pianta di magnolia nel giardino di un marajà e se ne innamorò. Fiori grandi, virginei, stupendi. Per lui era una novità, e pensò di trapiantarla a casa sua, per poterla offrire un giorno alla Regina Vittoria, e ottenere la gloria scientifica, la fama perenne.”
“Un uomo di sicuro ambizioso”, commentai.
“Cosa sarebbe la professione di ognuno senza un poco di ambizione? Un obiettivo porta a vivere veramente, non puramente passare i giorni. E David, questo giovane botanico inglese, si procurò molti semi che riportò nella serra della sua natia Brighton. Li piantò solennemente in una terra fertile e scelta con precisione una notte di luna crescente. Quante speranze si preparò per il letto quella sera! Con che intima gioia accese il camino per scaldarsi. Ritornava ogni giorno fiducioso nella sua serra, con cura innaffiava la terra e badava al suo tepore. Certo il clima inglese non è come quello indiano ma il botanico ci metteva tutta la cura. Eppure passavano i mesi e la magnolia non cresceva. Non fioriva! Grrr non fioriva! Il botanico tentò tutti i trucchi che conosceva, cambiò la composizione del terriccio, aumentò l’umidità dell’aria, non la innaffiò per nulla, la espose al vento, arrivò a sputarci e pisciarci sopra, la lasciò perdere.”
“Addirittura pisciarci sopra! Poco inglese”, commentai.
“Lei non conosce gli inglesi. Non mi interrompa più con questi sciocchi commenti, la prego. Per molti anni il botanico le provò tutte. Aveva le più grandi cure per quei semi, anche per gli aspetti secondari che non si notavano subito, perché la natura ha occhi dappertutto. Ma ormai la Regina Vittoria era morta, lui stava invecchiando e la magnolia continuava a non fiorire. Si vede che era destino. Tragedie silenziose, semi muti. I vasi a poco a poco vennero relegati nell’angolo più lontano e disagevole della serra. E lì dimenticati, dato che il lavoro quotidiano avanzava i suoi diritti. Un giorno il botanico, passandoci per caso davanti, si mise a parlare al terriccio arido. Non si sa cosa disse, non me l’ha mai spiegato, posso immaginarlo. Poi prese i pochi semini che gli erano rimasti e li gettò stizzito fuori dalla serra, il più lontano possibile. Era un gesto di rabbiosa sconfitta, con quel lancio finiva la sua vita vera. Andò al pub del paese e per la prima volta, da quando aveva terminato il militare, si prese una vera sbornia. Era talmente poco abituato all’alcol che bastò qualche sorso della loro birra, scura e forte. Tutte le domeniche in chiesa. E, stravagante come sanno esserlo gli inglesi, non si prese mica la sbronza triste, ma quella allegra. Si sentiva libero adesso. Si mise a cantare a voce sempre più alta, ma sapeva solo canzoni di chiesa o vecchie marce militari. Non tollerando l’alcol si vomitò addosso. Venne trasportato da alcuni paesani a casa dalla moglie. In un giorno solo rischiò di rovinare una reputazione che aveva impiegato anni a… a coltivare, se mi permette il verbo. Siamo grandi come i nostri sogni, e nel nostro intimo riusciamo a sopportare tutto… Quasi tutto…”
Io rimanevo zitto. Non ricordo bene cosa stava succedendo. Ricordo una nebbia bianca che mi avvolgeva. Deve essere successo qualcosa in quei momenti, ma non ricordo i dettagli. Ormai i particolari di questa scena per me sono inafferrabili, sempre più lontani e perduti man mano che passano i minuti. Altre immagini incombono, e ne prenderanno il posto. Dopo qualche istante comunque il maestro davanti a me riprese a parlare, con un tono più alto di prima.
“Il tempo sanò le ferite del botanico. Gran dottore il tempo, anche se non ha ricette precise e alla fine uccide i suoi pazienti. Aveva ripreso gli studi accademici senza grandi speranze. Come molti poeti mancati prima di lui, divenne un grigio professore vestito in tweed, che insegnava agli alunni la complessità e la bellezza crudele del creato.”
“La bellez…”, feci per commentare ma poi ricordai l’ammonimento di prima e rimasi zitto. Non era così importante. Mio Dio, quando imparerò a tenere chiusa questa boccaccia?
“Poi… e poi accadde il miracolo. Una domenica in chiesa Hucker intravide una vedova con uno strano cappellino, ornato in stile floreale. Era uscita da poco dal lutto e si notavano alcuni colori nell’abbigliamento. Tra i fiorellini gialli e rosa che le ornavano la tesa del cappellino, e che lui esaminava con occhio esperto, notò un grande fiore bianco. Insolito. Non lo riconobbe subito. Solo quando la cerimonia era quasi finita, poco prima dell’Ite, Missa est, realizzò che assomigliava tanto ai fiori che aveva visto anni prima in India nel giardino del marajà, quando era giovane. Cercando di controllare la sua emozione, sottobraccio alla moglie si avvicinò con gentilezza alla vedova, e le chiese dove avesse trovato quel fiore. Il resto lo immaginate. Alcuni tra i semi lanciati lontano erano fioriti, al freddo e in silenzio, la pianta era cresciuta e aveva iniziato a fiorire e prosperare. Non c’era bisogno di cure, la libertà era l’unica acqua di cui aveva bisogno.”
“Stupefacente!”, l’espressione mi uscì dalla bocca.
“Sì, veramente, degno di meditazione. Oggi la magnolia cresce in tutti i giardini, e tutte le piante in Europa derivano da quei semi scagliati lontano in un momento di disperazione…. –il maestro rimase in silenzio per qualche istante, è evidente che pensava a qualcosa di personale-. E se devo essere sincero, mi accorgo di riflettere spesso su questa storia quando mi espongono complesse teorie pedagogiche per i miei allievi, molto strutturate, in cui ogni intervento viene calibrato con esattezza e chiaramente, e si tende a riempire il mondo interiore del bambino con luce razionale. E a tralasciare quanto di oscuro, fecondo, imprevedibile succede nella testa di ognuno. La bellezza profonda dell’oscurità.”
Decisi tra di me che era il momento per un intervento di stampo accademico (non riesco sempre a fermarmi): “un atteggiamento complessivo il suo che richiama l’igiene mentale del non intervento”, dissi io senza accorgermi che mi stavo contraddicendo.
“Sì, penso che lei abbia ragione –l’uomo sopportò il mio commento intellettuale con molta pazienza-. O come dicevano gli orientali, il precetto zen del non-fare. Ai miei ragazzi di periferia lo ripetevo sempre, di conservare la fiducia nonostante le esperienze passate. Alcuni provenivano da famiglie disperate, disastrate. Ho sentito storie orribili lavorando con quei bambini. Mi rendevo conto che rischiavano di essere alla loro età già delusi, incattiviti, sfiduciati.”
“Noi diremmo che erano già in burn out.”
“Ne è sicuro? Non conosco bene quella parola, non si riferisce al lavoro? Francamente, non mi interessa molto dare una etichetta a questo malessere. Quando incontravo i loro occhi di bambini feriti sprofondati nell’abisso, diversi dagli occhi di un normale bambino che ha fiducia nella vita, cercavo con dolcezza di dire: potete crescere lo stesso, diffondervi nel mondo. Siete venuti a contatto con la parte oscura della vita troppo presto, avete provato già l’esistenza del male, ma la notte non è cattiva. Non si vince la gara al primo giro, l’importante è arrivare in fondo, e anche l’oscurità, i semi abbandonati sotto terra, le grotte senza sole hanno una loro bellezza, suoni gocciolanti nel buio. Cercavo di esporlo con sicurezza ai bambini, ma senza usare un tono rivendicativo, o l’arma trepidante del ricatto, o quella minacciosa del dovere. La mente dei giovani è ancora in formazione, bisogna stare attenti anche al tono che si usa.”
“E al botanico inglese poi che è successo, quel David…”.
“Sì, l’ex soldato britannico di sua maestà. Quel botanico inglese non era uno stupido. Capì cosa era successo e fece le sue mosse. Ci furono onori e gloria, il che per uno scienziato ha una valenza diversa da quella che si pensa, per lui significava soprattutto essere pubblicato, riconosciuto e tramandare ai posteri la propria fama. Scoprire una nuova specie è il sogno di molti studiosi, lo sa? Ma la sera poi, mentre accendeva il caminetto, spesso gli capitava di ripensare al suo ritrovamento. Quel botanico era una persona a suo modo onesta, che tendeva a mettersi in discussione. Ripensava alla sua acclamata scoperta. Una scoperta avvenuta in definitiva per caso come altre, pensi solo a Cristoforo Colombo, o alla penicillina di Fleming. E il soldato non riusciva a decidere, al di là della fama raggiunta, se esserne veramente orgoglioso o meno. Era tutto avvenuto per una combinazione? Un lancio di dadi? Forse un caso fortunato, in cui lui entrava in maniera non molto onorevole a dir la verità. Come il nostro genovese che scoprì l’America, lui rischiava di passare gli ultimi anni della sua vita a tormentarsi amaramente… Un giorno, in quanto esperto, venne invitato ad una strana mostra, ecco qui volevo arrivare, un vernissage in cui un artista francese esponeva alcuni rami spezzati, forme insolite trovate nei boschi.”
“Mi scusi, non ho capito. Dei collage?”
“No, no. Questo bizzarro artista, mi sembra si chiamasse …., non mi ricordo più, la vecchiaia incombe. Beh, dopo aver dato loro un nome, esponeva mettendole su dei piedistalli proprio sassi, foglie, o frasche d’albero trovati nel bosco. Magari da lui notati ai fianchi del sentiero. E le presentava come opere sue! Ribadiva orgoglioso davanti al pubblico un filo sgomento le “sue” opere. Perché era stato lui per primo a intravederne la bellezza, lui ne aveva scovato la grazia, per questo firmava a suo nome forme naturali. Detta così pare banale, ma è più difficile di quanto si pensi notare la bellezza.”
“Sembra una pazzia –non potei fare a meno di commentare-. Si possono vedere forme dappertutto."
“Il fatto è che non le vediamo. Siamo ciechi davanti alla bellezza. La vera bellezza per molti è invisibile. E sembrava una pazzia anche allora, cento anni fa. E difatti quell’artista veniva deriso da molti. Ma il botanico inglese, che era stato invitato dai detrattori proprio per mettere in ridicolo quegli sgorbi, capì improvvisamente il significato di quell’arte. Entrare in risonanza e stupirsi per una roccia trovata per terra, il ramo spezzato di un albero, una foglia che cade lentamente a terra, il pulviscolo che entra nella camera da letto. Svelare la bellezza e il significato nelle cose quotidiane del creato, non inventare ma trovare nuove connessioni. Come lui stesso, che nel vedere una domenica mattina un cappellino in chiesa si era stupito. Questa non è la strada che avevo pensato, questo non è il mondo che avevo immaginato, questa porta non conduce alla stanza che volevo, la mia vita si sta svolgendo in maniera imprevista. Ma è un male?”


2 commenti:

  1. E' un magico accordo
    che spazza la polvere
    dalle corde di un liuto silente
    E' un tocco gentile
    una musica che carezza l'anima

    ..."La vera bellezza per molti è invisibile."...

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  2. Anche molti di quelli “capaci di vedere la bellezza” scorgono quella lontana e non vedono quella che hanno ad un palmo dal loro naso.

    Un po' come Jean Jacques Rousseau che, con l'opera “Émile, o dell'educazione “ (1762), gettò le fondamenta della moderna pedagogia, una vera e propria rivoluzione: il concetto della centralità del bambino. Nel frattempo Rousseau aveva affidato la cura dei cinque figli all'orfanatrofio ...

    Una sorta di presbiopia, una grandezza d'animo che si proietta nel mondo lontano, ma non si è capaci di agirla nel proprio piccolo universo quotidiano.
    Una cecità a ciò che di bello già ci appartiene e ci circonda che conduce a una perenne insoddisfazione e all'incessante ricerca di bellezze e felicità immaginarie e chimeriche.

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