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martedì 26 maggio 2015

QUELLI CHE

Quelli che sanno cosa vuol dire “nistagmo”, oh yeah
Quelli che scrivono su Facebook, oh yeah
Queli che hanno provato l’interferone, il copaxone, il cortisone, il novantrone e dopo… e dopo se sa no, oh yeah
Quelli che “non me lo meritavo”, oh yeah
Quelli che non dicono niente e gli altri fanno finta di crederci, oh yeah
Quelli che “stavo facendo carriera”, oh yeah
Quelli che vendono le mele, oh yeah
Quelli che hanno origini sarde, oh yeah
Quelli che preferiscono le polo alle camicie “perché non ci sono i bottoni”, oh yeah
Quelli che hanno raggiunto la pace dei sensi, oh yeah
Quelli che si sono incattiviti, oh yeah
Quelli che danno un nome ai bastoni, oh yeah
Quelli che cadono in casa, dicono “non mi sono fatto niente” e poi vanno a ululare in bagno, oh yeah
Quelli che hanno il pass invalidi, oh yeah
Quelli che non chiedono perché si vergognano, oh yeah
Quelli che prendono l’antidepressivo per stare allegri, oh yeah
Quelli che ce l’hanno con l’Aism perché “è tutto un magnamagna”, oh yeah
Quelli che si fidano dell’Aism, oh yeah
Quelli che raccolgono anche i trafiletti sulle nuove cure, oh yeah
Quelli che “non mi innamorerò più”, oh yeah
Quelli che ci sperano ancora, oh yeah
Quelli che hanno tanti progetti “ma mi manca la forza”, oh yeah
Quelli che hanno paura del futuro, oh yeah
Quelli che alla domanda “come va?” ti rispondono “bene grazie”, oh yeah
Quelli che ti chiedono “come va?”, oh yeah
Quelli che “il mio amore mi ha mollato/a perché mi è venuta la sm”, oh yeah
Quelli che vedono la gente dal basso, oh yeah
Quelli che “siamo in un mare di merda”, oh yeah
Quelli che chiamano fisio la fisioterapia, oh yeah
Quelli che “con questa malattia sono diventato più saggio”, oh yeah
Quelli che da bambini giocando al dottore facevano sempre il malato, oh yeah
Quelli che si dimenticano le cose, oh yeah
Quelli che sentono dire trigemino e pensano a tre gemelli, oh yeah
Quelli che sentono dire dalla zia “quando c’è la salute c’è tutto”, oh yeah





MIO DIO!

Dopo una vita piena di sesso e stravizi, in cui ha realizzato tanto e fatto del bene a tutti, T. muore a 106 anni nel sonno circondato dalle sue concubine piangenti e 68 nipoti. Le sue ultime parole furono: "un attimo, poi ricomincio... ah!", e poi perse conoscenza per sempre e cadde nel buio.
Si risvegliò e uscì da un tunnel per entrare in un prato bianchissimo, circondato da nuvolette candide. Più proseguiva nel prato, più la sua sensazione di pace interiore aumentava. Dentro non si era mai sentito così, nemmeno a 9 anni. "Però, è bello qui, che bel posto." Davanti a lui intravide una immensa scalinata, e in alto una grande scritta luminosa: "Paradise".
"Oh kz -pensa- ma è lunghissima! Barriere architettoniche anche qui? Vabbè, tanto di tempo ne ho..."
Anche lì T porta gli occhiali e si muove col bastone. Si rivolge a uno che sta correndo verso la scala e gli chiede: "Scusi, sa mica se c'è l'ascensore?"
"No, non lo so -risponde quello senza fermarsi mentre inizia a salire-, provi a fischiare, magari vengono a prenderla!"
"Fisch... ma non ho mai imparato!". Inutile, il tipo è già andato. A T allora viene l'idea, estrae il telefonino ma è muto. "Non c'è campo! Non c’è campo nell’aldilà! E adesso?"
Non sapendo che fare si mette a gridare "C'è qualcuno? Hey, venitemi a prendere!". Ma non c’è nessuno…aspetta vedo qualcosa…
Il cielo si squarcia e arriva un enorme angelone tutto biondo, simile a Robert Plant dei Led Zeppelin. Le sue gigantesche ali che sbattono forte allontanano le nuvole.
"Robert! Grazie a Dio!"
"Vieni con me. Sono stato promosso di grado e ora ti porto da Pietro"
Raccoglie con le sue forti braccia T, con bastone occhiali e tutto e volando lo porta su, verso una grande luce.
"Che bello! Sto volando! E' come quando mi son lanciato col paracadute, solo che qui si va su!"
E dato che il viaggio è lungo e la grande luce serena, T alla fine si addormenta beato e sicuro cullato dall'angelo Robert, sicuro che nulla può accadergli di male.
Si risveglia davanti ad un omone con un barbone bianco e un gran mazzo di chiavi alla cintura. Dietro di lui si intravede la scritta luminosa "Paradise" che lampeggia a intermittenza.
"San Pietro immagino. Buongiorno. Dove mi mettete?"
L'omone lo guarda, apre un librone e poi dice sottovoce "T... T... eccolo qui. Quarto cielo, quello dei gaudenti per amore. Vada di là, e buona eternità." Gli mostra una strada lunghissima, che si snoda in salita sino a perdersi nell'orizzonte luminoso.
"Ah, bene -esclama T-, non ci sarebbe un servizio pullman?"
"No, ci deve andare con le sue gambe"
"Scusi, ma qui in Paradiso abbiamo ancora le gambe il corpo e tutto l'ambaradan?"
"Certo, che domande mi fa?"
"Pensavo di no. Sa, io da vivo ero malatino, e in tutto il corpo."
"Vedo, vedo... vada vada, che ho da fare."
"Forse non mi son spiegato bene, in vita avevo la sclerosi multipla e camminavo maluccio. Pensavo che almeno qui..."
"La sclerosi multipla progressiva? Penserà mica di farne a meno... La sclerosi multipla fa parte di lei"
T è stupito e tace, sconvolto dalla rivelazione di Pietro. Farfuglia qualcosa, si vede che non se l’aspettava.
Quando riprende la parola esclama: "mi scusi, non mi verrà mica a dire che la progressione della sclerosi multipla continua anche dopo la morte?"
San Pietro è stupito da tanta ingenuità, ma spiega con pazienza ad uno sconsolato T: "le ferite inferte dal corpo all'anima di voi malati hanno lasciato segni indelebili, che fan parte di voi e della vostra anima."
T sembra addolorato ma si riprende presto. Una vita da malato gli ha insegnato a non lamentarsi troppo, meglio usare le sue residue energie per cercare una soluzione. "Insomma, ho capito và... son malato anche qui... Manco qui è arrivato il miracolo delle staminali... –T mentre dice queste parole abbassa il capino e piange, è troppo anche per lui- Malato per l'eternità..."
San Pietro rincuora T, gli accarezza la capa e gli sussurra "Vai adesso, vai adesso, ti abituerai...", e T si incammina sulla strada con la sua andatura zoppicante, tirando su col naso.
Ma... miracolo! La strada è mobile! Ed è pure tutta in discesa, altro che salita! Aveva sbagliato la prospettiva! Oh che sollievo, pensa T, questa strada è un lungo tappeto mobile, come quello visto in certi aeroporti. Solo che questo è musicale e profumato. E solo quando arriva alla fine nota un vecchio seduto che lo sta aspettando, circondato da angeli sorridenti.
"Mio Dio! Ma chi sei?"
"Ciao T, ti stavo aspettando. Benvenuto!"
"Ma... ma sei tu? Il capo della baracca? E’ bellissimo qui."
"Certo -risponde lui avvicinandosi con la sua carrozzina-, vieni di fianco a me"
"Ma... ma tu sei in sedia a rotelle!"
Dio lo guarda, si avvicina e lo bacia. “Problemi?”
"Mio Dio!"

lunedì 25 maggio 2015

LA MALEDIZIONE A QUATTRO RUOTE

“Oh, potente Demonio, mio signore e padrone, concedimi di realizzare un desiderio.”
“Parla, piccolo uomo.”
“Perdona la mia superbia, se ho osato disturbare il tuo regale riposo, ma solo tu puoi risolvere il mio infimo problema, e finalmente ho trovato il coraggio per parlarti.”
“Sei fortunato, piccolino. Sono di buon umore, una guerra sanguinosa è appena iniziata e prevedo tanta….freschezza. Chiedi pure.”
“Tu sai che io voglio essere ricordato come un grande personaggio, e che il mio nome venga ripetuto nei secoli.”
“Non sei il primo.”
“Concedimi dunque di ottenere la felicità per il mio popolo. Solo tu, o Bassissimo, mi puoi aiutare.”
“Vuoi vincere una guerra ed espandere i tuoi dominio? Vuoi costruire un impero?”
“No, voglio di più.”
“Addirittura. E… sentiamo, cosa vorresti esattamente? Felicità è un poco vago come termine. Cerca di essere più preciso se non vuoi irritarmi.”
“Voglio la gioia per tutti i miei sudditi nel mondo, potente Demonio.”
“Questo non è difficile, caro. Un morbo mortale chiamato Gioia si diffonda per tutto il globo!”
“No, aspetta. Non così.”
“Vuoi forse che abbia un nome tedesco? Il tedesco incute paura.”
“No no. Io  volevo… qualcosa che diffondesse la gioia, la prosperità. Che unisse i popoli, riducesse le fatiche. Che salvasse le vite. Che aiutasse l’amore.”
“E’ una richiesta molto onerosa la tua.”
“Sì, mio padrone di tutto ciò che si mormora. Prendi la mia anima, anche ora. E’ immortale, fanne ciò che vuoi.”
“Quanta retorica. Non mi interessa, ho tutte le anime che voglio. Io desidero ben altro.”
“Chiedimi. Sono pronto. Un tuo cenno, e tutto il mio regno venererà per sempre la tua immonda immagine.”
“Sei banale. Da tempo non voglio parole e canti. Voglio il sangue, il dolore, la morte. Io voglio centomila vittime ogni anno. E feriti, e relitti e lacrime. E le voglio scelte a caso queste persone, nessuno potrà sentirsi al sicuro, anche se il mondo è grande. Nemmeno tu.”
“Centomila vittime? Ma.. ma è tantissimo! E come fare?”
“Con la stessa invenzione che diffonderà la gioia, è ovvio. Ho qui giusto qualcosa con quattro ruote che pare fatta apposta. E perché il suo motore funzioni si potrebbe ricorrere ai sedimenti petroliferi. Lo sapevo che mi sarebbero serviti prima o poi. Si scatenerebbero altre guerre per… Mmm, sì sì va bene, ci penserò dopo. Allora, accetti, piccolo uomo?”
“E… questo tributo di sangue, solo una volta?”
“Ogni anno.”
“Ma darai ciò che ho chiesto alla mia gente? Ci saranno prosperità e benessere?”
“Oh sì, e per sempre, te l’assicuro. Nessuno vorrà tornare indietro.”

Si calcola che circa una famiglia italiana su dieci sia stata coinvolta in un grave incidente stradale. Nemmeno la mia famiglia è rimasta immune a questa statistica, e per fortuna ci è andata bene. Guidare un’automobile, a pensarci bene, è molto pericoloso, è come girare con una pistola carica e la tua vita può cambiare in pochi istanti.
Eppure nessuno rinuncia al piacere e alla comodità dell’automobile o di qualche altro mezzo a benzina. Al massimo si rinuncia a guidare, e allora si fa guidare qualcun altro. Non si rinuncia, anche se conosciamo benissimo il prezzo, il dolore, l’inquinamento, l’impoverimento che causa tutto questo. E avendo lavorato in passato nelle ambulanze so benissimo cosa può accadere negli incidenti.

Ma nemmeno io rinuncio, nemmeno io voglio tornare indietro. Sono così pazzo? Sono così dipendente? Sono così… moderno? 

domenica 24 maggio 2015

LA DITTA DI SGOMBERI

“Buongiorno signora, è lei che ha chiamato?”
“Si sono io. Avete portato il camion?”
“Certo, è quello qui fuori. Guardi.”
“Pensavo almeno a un tir, mi sembra piccino. In casa mia ci sono troppe cose, volevo far pulizia a fondo.”
“Non si preoccupi, dentro la camionetta c’è tutto il necessario. Dovrebbe bastare e se non basta ne chiamiamo un’altra. Da dove cominciamo?”
“Da dove volete. Sa, ho compiuto 50 anni e volevo fare un po’ di spazio in casa mia. Da sola non ce la facevo. Mi prosciugava tutte le energie.”
“Siamo qui apposta. Ragazziii, venite su che incominciamo. Le presento i miei ragazzi, Sereno e Libero. Son giovani, hanno braccia di ferro e sono molto determinati. Sono un po’ inesperti, ma tanto li guido io. Signora, ma in questa casa non entra nemmeno la luce! E’ troppo piena.”
“Guardi, ho resistito tanto ma alla fine non ce la facevo più. Non riuscivo più a muovermi. Se potete, iniziate a portare via questa roba ingombrante in mezzo al salotto, è una relazione malsana che è durata sin troppi anni. Ma adesso voglio liberarmene.”
“Ai suoi ordini. Ci metteremo un po’ di tempo ma vedrà che daremo una bella ripulita alla sua casa.”
“Finalmente, grazie. Adesso fate voi. Mi spiace per il disordine.”
“Tranquilla signora, sappiamo fare il nostro mestiere. Ogni tanto le chiederò delle consulenze per vedere quali corpi estranei buttare e quali invece tenere. Anche se a occhio qui bisogna eliminare un sacco di roba. Vedrà che bello vivere in una casa sgombra, che si può pulire bene.”
”Non vedo l’ora guardi. Ho accumulato troppi pensieri nella mia vita.”
“Ma da quanto non si liberava delle cose?”
“Da troppo tempo. Io poi sono una che conservavo tutto. Ma alla fine proprio non c’era più spazio. Non riuscivo più a camminare tranquilla in casa. Troppi brutti ricordi.”
“Lo vedo. Quanta roba: telefonate, cene d’affari, programmi noiosi, ricordi dolorosi, gente che l’ha trattata male, litigate, delusioni sul lavoro, un diploma inutile. Quanta amarezza nella sua vita, signora, non mi stupisce che voglia liberarsene. Ah, non sapevo che avesse visto così tanti ospedali. Questo cassetto è pieno di lettere…che faccio, butto via tutto?”
“Butti via, butti via. Non mi hanno mai risposto.”
“Questi vecchi rancori?”
“Via via, non mi ricordo nemmeno chi devo perdonare. Ciò che è stato è stato.”
“E questo armadio? “Errori di gioventù” mi sembra di leggere.”
“No aspetti, quello mettiamolo da parte per il momento. Poi me lo vedo con calma.”
“Qui ci sono lacrime, abiti strappati, tante bugie di uno a cui aveva creduto, un tipo un po’ disturbatello, uno schiaffo... Lei non ha avuto molta fortuna con gli uomini, signora.”
“No, non molta. Ma penso che ero io che me li sceglievo male.”
“…Senta, uno dei ragazzi ha trovato un settore di amori sprecati, dolore inutile, giorni senza senso. Pensavo di liberare tutto, guadagnerebbe un bel po’ di spazio.”
“Ha pensato bene.”
“Qui c’è uno scatolone pieno di conti e bollette con su scritto “Difficoltà economiche passate”. Anzi, mi sa che ce ne sono tanti.”
“Li conosco, ce la fate a buttarli via tutti? Guardate che sono molto pesanti.”
“No problem, i miei ragazzi ci sono abituati. E nella camionetta abbiamo un tritarifiuti apposta. A proposito…Gino, porta su l’aspiraincubi!”
“L’aspiraincubi?”
“Certo, è un aggeggio di nostra invenzione, brevettato, che ripulisce l’aria della camera da letto. Lei non ha idea, l’aria di certe camere è una gelatina di spiriti.”
“Quali spiriti?”
“I sogni di tutte le notti della sua vita. I peggiori si materializzano e ritornano. Lei non ha mai avuto la sensazione di respirare male e soffocare durante il sonno?”
“Sì, ogni tanto.”
“Era uno di quelli, si sedeva sul suo petto e la schiacciava. Ma adesso con l’aspiratore ce ne sbarazziamo. Tranquilla signora, dopo potrà spalancare le finestre e far entrare il sole in camera.”
“Speriamo. Purtroppo…”
“Va bene. Ci pensiamo noi…Eccoli qua! Lo sapevo che c’erano.”
“Cosa?”
“I ricordi belli.”
“Ma io non ho ricordi belli della mia vita, è stata una vita difficile, di sacrifici.”
“Signora, scherza? Tutti noi abbiamo dei buoni ricordi, altrimenti non saremmo sopravvissuti. Guardi qui: una notte d’amore, il sorriso di una bambina, il sapore di una ciliegia, una giornata sulla neve, le parole del nonno…questi li teniamo. Ce l’ha uno scatolone?”
“Eccolo qua, bello e resistente.”
“Questo scatolone se lei è d’accordo lo chiamiamo “Momenti belli della mia vita”. Ce l’ha un pennarello? Grazie. Poi lo mettiamo sotto il letto, così quando vuol passare una bella serata lo apre e li sfoglia uno per uno.”
“Ma non è che si rovinano poi?”
“No signora, mi dia retta. Niente è più importante di un buon ricordo. Ognuno ha i suoi. Scaldano il cuore e danno un senso ai giorni. Bisogna conservarli e averne cura, e durano tutta la vita. E’ una ricchezza che le tornerà utile nei momenti difficili.”
“Senta, mi vergogno un po’ a chiederlo ma c’è anche un altro locale da sistemare.”
“Scommetto che è la cantina, vero?”
“Come ha fatto a indovinare? Sì in effetti guardi, è un tarlo che ho. E’ anni che non ci vado. Una volta la usavo di più, ma è pienissima, ci ho messo tutte le cose più orribili. Viene una puzza… e state attenti nello svuotarla. Forse c’è anche qualche animale, ogni tanto sento dei rumori strani.”

“Il lavoro sporco è il nostro mestiere signora, lasci fare a noi. Ragazzi preparatevi che andiamo da basso, bisogna pulire la cantina!”

mercoledì 20 maggio 2015

L’AMORE CHE CI CIRCONDA

"Dottore, ho un problema che mi tormenta e forse lei mi può aiutare, ho una domanda da porle."
"Dica"
"Come lei sa, io vivo da solo. Ogni tanto vengono a trovarmi i miei vecchi genitori, o qualche amica, ma alla fine sono rimasto signorino. E’ una scelta.”
“Oggi si dice single.”
“Ah non sapevo, sa sono all’antica. Però c'è un mistero che voglio risolvere."
"Quale mistero?"
"Ebbene, io non ho mai comperato un paio di calze e mutande in vita mia. L’intimo insomma. Eppure il mio cassetto è sempre pieno. Non mancano mai, ci sono sempre. Ma cosa fanno, si riproducono di notte?"
"Ma è mat...Scusi, questo sarebbe il problema che la tormenta?"
"Sì guardi, è così, io è da un po' di notti che resto sveglio per ascoltare il loro rumore mentre fanno sesso e si accoppiano. Se i miei calcoli son giusti, in quei cassetti la notte succede di tutto. Sono curioso, non dormo più. Appunto questo volevo chiederle, lei è più istruito e sa tante cose. Che rumore fanno due calzini che si riproducono? Fanno dei suoni durante il sesso?"
"Ma...è impazzito? Le calze non fanno sesso."
"Eppure qualcosa fanno, perché il cassetto delle calze è sempre pieno. E poi le calze vanno in coppia e son sempre abbracciate."
"...Senta, dorma la notte, è un consiglio professionale che le dò, ora le prescrivo un sonnifero che le farà tanto bene."
"E' sicuro? Perché questo miste..."
"Senta, lasci perdere queste sciocchezze e prenda due di queste pastiglie alle 22.00 Vedrà che non penserà più a calze e mutande."
"Va bene."
Il paziente in realtà sembrava perplesso, ma ho fatto dolcemente pressione e alla fine si era convinto, prese la ricetta e uscì. "Avanti il prossimo!" gridai. Certo che ce n'è di gente strana a questo mondo.
La sera a letto prima di spegnere la luce ne parlai con mia moglie.
"Vuoi ridere? Oggi allo studio medico mi è capitato un paziente stranissimo..." E le raccontai tutta la storia, cercando di caricare il lato buffo. Però vedevo che mia moglie non rideva.
"E tu cosa hai fatto?" 
"Gli ho prescritto dei sonniferi, almeno dorme e non pensa più a certe paturnie."
"E non gli hai spiegato perché ha il cassetto sempre pieno?"
"E cosa c'è da spiegare?"
Mia moglie si girò dall'altra parte. "Vuol dire che ci sono delle donne che lo amano. Che ci sono e ci sono sempre state. Donne che pensano a lui e che gli vogliono bene, anche nelle piccole cose. Ma perché voi uomini non ci pensate mai? Date tutto per scontato, eppure siete circondati da più devozione di quanto immaginate."
"Ah."
"Non vedete mai l'amore che vi circonda. E' invisibile come l'aria ma la cura e le attenzioni riempiono la vostra vita, i vostri giorni. Ma voi continuate ad ignorarlo e alla fine diventerete come il tuo paziente, diventerete matti. Siete circondati da così tanto amore che nemmeno te lo sogni. Apri gli occhi, amore."

Come dicevo tempo fa per Stephen King, da una battuta sciocchina (le calze fanno sesso?) si prende lo spunto per dipanare una storia più lunga e con risvolti più profondi. E certo si poteva anche andare avanti, ma per il momento mi sono fermato qui.

Questo piccolo dialogo è ovviamente dedicato a me stesso, che faccio tanto il superiore ma che non potrei vivere, e forse nemmeno sopravvivere, senza l’amore femminile che mi circonda e di cui non mi rendo a volte nemmeno conto. E insieme a me tanti maschietti, che danno tutto per scontato. Ma scontato non è. Grazie.

domenica 17 maggio 2015

Già che si parla di divinità, ho ripescato questa mia poesia su Plutone.
Ma non il dio dell'oltretomba, bensì il pianeta più lontano dal sole, talmente anomalo e distante che qualche scienziato ha proposto di retrocederlo ad asteroide, sassone vagante nell'universo.
A sentire tempo fa questa notizia ho avuto un moto di ribellione: è vero, non sarai come tutti gli altri, ma perché allontanarti? Chiare le connessioni alla mia situazione personale Emoticon smile che vi ho già spiegato. Insomma, o sei come gli altri o sei out. Eh no, anch'io voglio vivere, e adesso vi spiego perché.

L’AMORE PLUTONICO
Povero caro. Prima eri un pianeta
Simile agli altri, soltanto distante
Nelle figure eri sempre vagante
Tra un asteroide e una stella cometa
Ma per gli scienziati eri troppo diverso
Con la sua orbita così marginale
A nessun altro pianeta eri uguale
Un solitario nell’Universo
E’ troppo estraneo al sistema solare
Per lui il sole è solo un puntino
E poi non c’è vita, è troppo piccino
Non ha granché di particolare
Se l’è meritato il nome Plutone
Il dio non ammesso nel Paradiso
Per cui alla fine la scienza ha deciso
E sei diventato soltanto un sassone
Eppure io so che il pianeta è abitato
Da donne e tantissimi uomini in croce
Da quelli che si dice a bassa voce
“E’ plutonicamente innamorato”
Lì fare l’amore è una cosa proibita
Meglio celare la propria passione
Al massimo è lecita la dichiarazione
Purché dal bacio non sia seguita
Chi vive a Plutone assume il suo ruolo:
Ama tantissimo, fa grandi sospiri
Cammina da solo con dei lunghi giri
Poi scrive la sera che si sente solo
Bisogna pur dire che è molto isolato
Come pianeta, pardon, come sasso
Tiene un profilo umile e basso.
Così sono in molti che hanno scordato
Che vennero tutti a trovare Plutone
E dopo averlo in cuor visitato
Magari restarono e ci han pure abitato
Di sicuro in più di un’occasione
E non pensate che sia frequentato
Da giovinotti con l’aria patita
Ci si va in ogni età della vita
quando l’amore è appena sbocciato
Signori, di Plutone c’è la bisogna!
Non è inutile come hanno detto
Lo ricordano sempre nel letto
Tutti gli umani, quando si sogna.

venerdì 15 maggio 2015

IL GRAN GIORNO

"Forza, raccontami una storia.”
“Così, a freddo? Certo che sei un bel tipo. Dimmi almeno l’argomento.”
“Una che ti riguarda, del tuo passato che ti viene alla memoria. Ti sarà successa una storia nella vita no? La prima che ti viene in mente.".
"Uh... la prima? Una della mia vita? D’accordo, se vuoi ti racconto quella più importante, quella che riguarda il Grande Giorno del Matrimonio."
"Il tuo matrimonio?"
"No no, quella è un'altra storia, molto più piccola fortunatamente. Io intendo quella del Grande Giorno in cui tutti gli dei si sono sposati."
"Ah. E cosa c'entra con la tua vita?"
"Te lo spiegherò. La cosa importante ora da sapere è un'altra: che un bel giorno Giove, il capo di tutti gli dei, emanò un editto in cui c'era scritto che tutti gli dei dovevano prendersi una compagna e sposarsi. Aveva deciso così."
"E perché?"
"Non è bene che un uomo stia da solo, nemmeno se è un dio. E poi c'era troppa confusione, ed era ora che tutti crescessero, mettessero la testa a posto, si sposassero ed avessero dei bambini, una famiglia, così il mondo poteva andare avanti."
"Mi sembra giusto, e poi cosa successe?"
"Quello che era inevitabile. All’inizio molti presero la cosa sottogamba, ma una volta capito che Giove stavolta faceva sul serio tutti si cercarono la moglie migliore, quella della bellezza, della sensualità, della fecondità, della fortuna, della felicità... Insomma, tutti erano a caccia della moglie più adatta. Presto si sposarono e tutti formavano famiglie con bei bambini. Però c'era un guaio...."
"Vale a dire?"
"C'erano tre divinità che non riuscivano a sposarsi, perché nessuna dea li voleva, ed erano il dio della Malattia, il dio della Tristezza e il dio della Povertà. Per quanti sforzi facessero nessuna voleva fidanzarsi con loro. Figurarsi sposarsi e poi avere dei bambini, uh le ragazze non ne volevano nemmeno sentir parlare. E le capivo. Se questi tre qualche sera uscivano fuori in compagnia, loro chiudevano le porte, abbassavano le finestre e facevano finta di non essere in casa. "
"Allora non si sono sposati."
"Ah no. No no, dovevano sposarsi tutti, Giove non voleva sentire ragioni. Anzi, ti dirò un mio sospetto…”
“Quale?”
“Secondo me una delle ragioni per cui Giove aveva ordinato a tutti di sposarsi è perché voleva trovare anche a quei tre una compagna per la vita. Tutti hanno diritto a un poco di felicità, e se è facile per il dio della Forza, quello della Bellezza e quello della Ricchezza trovare una moglie…non tutti sono fortunati. Giove in fondo è fatto così, sembra brusco ma è un buono, in una coppa amara mette sempre una goccia di miele.”
“Vale anche il contrario?”
“Mi sa di sì. Non è mai esistita una vita completamente felice, qualche guaio accade sempre. Comunque torniamo alla nostra storia. Pensa che ti ripensa, Giove cercò tre dee che non aveva pigliato nessuno e una sera con un grande tuono emise il secondo decreto: il dio della Malattia avrebbe sposato la dea della Pazienza, il dio della Povertà avrebbe sposato la dea della Creatività e quello della Tristezza... qui la scelta si fece difficile perché ne erano rimaste pochissime, ma alla fine Giove decise di abbinare il dio della Tristezza alla dea dell'Intelligenza."
"Nessuno voleva sposare l 'Intelligenza?"
"Nessuno. Anche gli dei si spaventano se devono sposare una donna intelligente, in compenso la dea delle Oche si era sposata subito. Misteri divini, fortunatamente tra i mortali sembra non sia così. Comunque anche se brontolarono, e quanto pianse la Creatività nel sapere che si univa al dio della Povertà, Giove fece la faccia cattiva e si sposarono tutte e tre le coppie insieme, una bellissima cerimonia di nozze bisogna riconoscerlo."
"Sì?"
"Me la ricordo bene, tutti che gettavano fiori e coriandoli alle coppie e sorridevano. Fu proprio un Grande Giorno, tra parentesi cade nello stesso giorno in cui son nato io. La dea della Pazienza era visibilmente felice di aver sposato il dio della Malattia, si vedeva che alla fine si erano innamorati. Una bella coppia. Le altre due coppie un po’ meno felici ma mostrarono in ogni caso buon viso a cattivo gioco. Del resto la cerimonia fu solenne e commovente.”
“Ah, allora anche tra gli dei ci sono i matrimoni combinati.”
“Sicuro. Ma che io sappia è l'ultimo dei grandi matrimoni che sono avvenuti in cielo. Per festeggiare Giove mandò sul mondo un clima da favola, la terra per qualche tempo diventò un posto meraviglioso."
"Bello ma... ma tu, tu che cosa c'entri?"
"C'entro, c'entro. Dato che non sapeva dove mandarli ad abitare, Giove spedì tutte e tre le coppie a casa mia. A casa mia ti rendi conto? Mi ha fregato quello lì. Mi aveva detto che era solo per pochi mesi ma intanto io è anni che convivo con Malattia, Tristezza e Povertà. Deficienti, quante me ne han fatte passare. E meno male che si son portati dietro le compagne, altrimenti sai che casino!"

Chi mi conosce sa che è una vita che convivo con problemi di salute, più o meno seri. Adesso non vi ammorbo con il mio bollettino medico, vi basta sapere che quando in passato riuscivo a tacitarne una zac! me ne veniva fuori un’altra se possibile ancora più grave. Maledizione. Comunque sono sopravvissuto, sono arrivato alla mia età e –anche se giro con la stampella- ancora cerco di fare del mio peggio. Molti elogiano la mia forza d’animo ma in un certo senso sono obbligato a fare così, se mi lascio andare è finita. Fortunatamente ho scoperto poi di avere anche delle qualità belle, che vanno aldilà dei malanni e mi rendono una persona diciamo così migliore. Le ho coltivate per quanto possibile queste qualità e un giorno ho volute metterle tutte insieme, belle e brutte. Così è nata l’idea per questo raccontino.





IL CATTIVO GIOCATORE E IL BUON GIOCATORE

Esistono due tipi di giocatori nel gioco a carte del Poker, quelli buoni e quelli meno buoni. Un tipo di giocatore è quello che si fa mentalmente calcoli del tipo “se ho una coppia di fanti e sul tavolo ci sono un 8 e un 10, la percentuale di chi ha una doppia coppia è bassa a meno che qualcuno non abbia una scala che però è già uscita una mano fa, questo vuol dire che…” Etc etc. Un tipo di giocatore descritto bene da Dostojevsky, sempre in attesa spasmodica della carta buona, quella inviata dal cielo e che gli permetterà di vincere facilmente.
Questo è il cattivo giocatore, detto anche “pollo” dagli esperti, che lo riconoscono al volo e se lo spolpano piano piano. Il bello è che il “pollo” a volte manco se ne accorge e dà la colpa alla sfortuna, alla serata storta, al fatto che “stasera le carte non girano”.
E poi c’è il bravo giocatore, che invece indovina le carte che hai in mano e si regola di conseguenza. E’ inutile infatti avere in mano una scala reale se tutti mollano il colpo e ti lasciano a bocca asciutta. In compenso un tris o anche una semplice coppia può combinare sfracelli se ben gestita.
Ma come si fa ad indovinare il valore delle carte che ha in mano l’altro? Forse queste persone barano? No, non è necessario. Come ben sanno i professionisti, il corpo non mente: una esitazione, un tono di voce diverso, un gesto, una espressione rivelano molto di ciò che hai e delle tue intenzioni. Intuizione, empatia, sensibilità sono piantine che un buon giocatore alleva con cura. E contemporaneamente rimanere affabili, mantenere la grazia senza far trapelare nulla. Il corpo del tuo avversario invia tanti messaggi, saperli interpretare tutti è da grande giocatore.
Ognuno ha i suoi trucchi (che non rivela) e le sue strategie. Nel poker la fortuna non esiste e un professionista sa che per vincere dovrà metterci impegno nella lettura del comportamento dell’altro. E' ciò che rende così appassionante e coinvolgente (e pericoloso) questo gioco. E’ un lavoro mentale che implica tutti i sensi.
Insomma come scriveva Robert Stevenson, lo scrittore del Dr Jekill e Mr Hide, “nella vita non è importante avere buone carte, ma giocare al meglio quelle povere che hai”, e questo i buoni giocatori lo sanno bene.
Detto per inciso, è il motivo per cui il gioco on line è snobbato dai professionisti. Il poker su internet sta allevando una intera generazione di “polli” alla ricerca della carta buona. Gli esperti si stanno già fregando le mani. Se ti ritrovi fermo ad aspettare la carta buona non c’è niente da fare, sei un pollo.

giovedì 14 maggio 2015

LO SFASCIACARROZZE
Oggi vi parlo di un mio raccontino un po’ particolare, perché non esiste più. Non ho assolutamente idea di dove sia finito, sospetto fosse dentro uno scatolone e che si sia perso tra un trasloco e l’altro. Magari un giorno lo troverò ma ne dubito, è un bel po’ che non lo vedo.
L’avevo scritto anni fa, e me lo ricordo vagamente. Parlava di un ragazzo che passava per caso davanti ad uno sfasciacarrozze, intravedeva una macchina, se ne innamorava a prima vista e faceva di tutto per convincere il burbero proprietario a vendergliela per poco. Il racconto si concludeva con il ragazzo che usciva alla guida della macchinetta e si avviava felice verso casa.
Neanche una decina di paginette, scritte larghe e tutte da rivedere. Anche volendo essere generosi, non era niente de che. Lo misi dentro un cassetto e me ne scordai. Non una gran perdita.
Orbene, passò del tempo e un pomeriggio mi misi a leggere “Christine, la macchina infernale” di Stephen King. Fu una lettura sconvolgente, rimasi senza fiato. Non so se avete presente come inizia il romanzo. Con un ragazzo che passava per caso davanti ad uno sfasciacarrozze, intravedeva una macchina, se ne innamorava a prima vista e faceva di tutto per convincere il burbero proprietario a vendergliela per poco. Il primo capitolo si concludeva così, con il ragazzo che usciva alla guida della macchinetta e si avviava felice verso casa.
Sessanta pagine scritte fitte fitte, l’inizio di un romanzo con più di 600 pagine che aveva venduto un miliardo di copie e da cui avevano tratto anche un film, che aveva fruttato una valanga di diritti all’autore.
Cazzo. Io e Stephen King avevamo avuto la stessa idea, solo che io mi ero limitato ad accendere un fiammifero, lui aveva sviluppato un incendio che aveva distrutto l’Amazzonia. Non si era fermato, aveva sviluppato tutta una trama con personaggi, eventi, finale.
Quel giorno ho ricevuto una lezione che non ho più dimenticato, e Christine è diventato per questo il libro più importante della mia vita. Ricordati Luca: nessuna, nessuna idea è troppo piccola da essere scartata come insignificante. Cresci, espandila, trova connessioni. Sarai tu a renderla bella. Anche quella che sembra una minuzia può essere l’inizio di qualcosa di favoloso. Non ci credi? Ricordati di Christine.
Come giovin scrittore ricordo che ero sempre alla ricerca dello spunto bello, forte, originale, da cui dipanare uno scritto favoloso. La vita quotidiana mi offriva tante idee che scartavo come banali.
Ma no, non bisogna fare così. Stephen King –ingiustamente bistrattato dalla critica pura e dura, ma è uno dei pochi che resteranno- mi ha insegnato a dare dignità a tutte le idee, ad ascoltare con passione anche quelle che sembrano più sbilenche e deboli. Non devo certo star lì ad aspettare che venga “l’ispirazione”, sarebbe una scusa. Lavorare, l’importante è lavorare se vuoi creare qualcosa di significativo. Coltivare giorno dopo giorno quello che ho, poco o tanto che sia, con amore, cura, impegno.

venerdì 8 maggio 2015

E POI?

“Raccontami una storia, papà, dai. Una storia!”
“Samuele, non se ne ho tanta voglia. E poi dovresti già essere addormentato.”
“Voglio una storia!”
“Vediamo, una storia breve… Immagina un uomo che si chiama… si chiama… non mi viene. Com’è che si può chiamare?”
“Samuele!”
“Sì, bel nome. Noi però lo chiameremo Sam, d’accordo?”
“No. Sì.”
“Allora, Sam ha preso la macchina per andare a trovare la nonna che abita in un posto lontano lontano. A metà strada però rimane senza benzina, e la macchina si ferma. Oddio! Il paesaggio è sconosciuto, lui l’ha attraversato in macchina tante volte per andare dalla nonna ma non si è mai fermato lì. Non ci sono case, non c’è niente, solo campagna. Improvvisamente Sam sente dei rintocchi di campana. Sono fortissimi! BONG BONG BONG. E poi… e poi la storia finisce.”
“Vai avanti! Vai avanti!”
“Non so cosa succede.”
“Tu vai avanti lo stesso!”
“…Allora Sam decide di… di andare sopra una collinetta che c’è lì vicino per guardare il panorama meglio, e magari scoprire da dove vengono i rintocchi. E quando sale sulla collinetta… meraviglia! Vede un paesaggio stupendo davanti a lui. E’ il paradiso! C’è un bellissimo prato grande grande, alberi fiori. Ci sono due fiumi che si incrociano come una X, in questo grande paesaggio verde pieno di sole. In mezzo alla X dei fiumi Sam vede una chiesetta piccolina piccolina, era da lì che veniva il suono della campana. E poi… e poi la storia finisce.”
“Vai avanti! Ti prego, continua.”
“Allora, uhmm… Sam è lì che guarda lo splendido panorama, che a lui ricorda il paradiso, quando vede un monaco venire verso di lui. E’ un monaco delle montagne, con la tunica rossa e la zucca tutta pelata. Quando è vicino il frate lo invita a venire nel loro tempio di monaci zen, è da tanto tempo che non ricevono una visita. Sam segue il monaco, perché è curioso. E poi entra nella chiesa, che in realtà è un tempio buddista. E lì… meraviglia, vede una cosa che non pensava che ci potesse essere!”
“Cosa?”
“La chiesa fuori era piccolina, ma dentro era grandissima! Sam non riesce a vedere la fine della chiesa, è sterminata! E’ così alta che non si vede il soffitto. E’ piena di statue d’oro e ci sono migliaia di monaci che stanno pregando. Eppure da fuori sembrava così piccolina... E poi non so più andare avanti, la storia finisce."
"No! Vai avanti!"
"Ma non lo so, devo inventare!"
"Inventa!"
“Mmmm… e Sam allora vede che il monaco di prima va a chiamare il capo dei monaci. Il capo è un vecchietto, anche lui con la testa pelata ma con occhi molto intelligenti. E’ felice che un visitatore sia venuto a trovarli. “Sa –dice lui a Sam- nessuno si ferma mai in questo posto, preferiscono sfrecciare con le loro macchine e non guardano il paesaggio”. “In effetti –dice Sam un po’ imbarazzato- io mi sono fermato solo perché sono rimasto senza benzina, altrimenti penso che anch’io non avrei visto questo posto”: “E dove andava di così bello?”, chiede il monaco vecchio. “Stavo andando a trovare mia nonna all’Ospizio.” “Che cos’è l’Ospizio?”, “E’ il posto dove mettiamo i vecchi quando diventano troppo vecchi e non li teniamo più in casa”. “Voi non amate i vecchi?”, chiede stupito il capo monaco. “Ehm sì, li amiamo, ma noi pensiamo che stanno meglio lì che a casa”. “Ho capito –dice il monaco fissandolo- per cui adesso deve andare a trovare sua nonna perché non sta più in casa sua”. “Esatto, anzi se mi potesse aiutare a trovare della benzina, una telefonata… Sa, la mia macchina è rimasta ferma”. E allora il monaco dice… non so cosa dice.”
“Dì qualcosa tu. Forza.”
“Il monaco allora fa un gesto ad uno dei monacelli che stanno lì vicino. “Qui non abbiamo benzina –dice il vecchio con gli occhi intelligenti- però abbiamo una sostanza che penso le possa servire.” Uno dei monacelli si avvicina. Ha in mano una bottiglia. Boh, pensa Sam, forse è lì che tengono la roba simile alla benzina. Con il nuovo monacello, anche lui pelato e con la tunica rossa, vanno tuttiedue verso la macchina. Sam apre il tappo del serbatoio e fa cenno al monaco che è lì che deve mettere la benzina. Non è sicuro che lui capisca l’italiano, per cui si esprime a gesti. Il monaco fa un sorriso di assenso, si avvicina al buco per la benzina, apre il tappo della bottiglia e… ci parla dentro. E lì accade un’altra cosa straordinaria.”
“Cosa? Cosa?”
“Dal collo della bottiglia a poco a poco escono delle polverine coloratissime, che piano piano, come se fossero animate da sole, vanno a finire dentro il serbatoio. “Ecco –dice il monacello-, adesso il suo veicolo può ripartire”. Allora parla italiano, pensa Sam, che dopo aggiunge “Mi scusi, ma che cos’è quella roba che ha messo dentro?” “E’ uno speciale infuso ottenuto filtrando i mille fiori che nascono nella montagna. Vedrà che andrà meravigliosamente, adesso.” Mah sarà, pensa Sam, e poi la storia finisce.”
“Finisce così?”
“Sì.”
“No, vai avanti!”
“Beh, la storia finisce così. Che il monacello si allontana, e Sam rientra in macchina. Gira la chiavetta e… la macchina non parte. “Diavolo! –pensa lui- ecco cosa succede a fidarsi di quella gente. Probabilmente con quella roba mi ha rovinato anche il motore. Gesù…” E appoggia la testa sul volante. Urla rivolto alla macchina “Perché non parti, maledizione!” E la macchina fa un rombo. BRUM! Ellapeppa! Ma allora va! Benissimo! Allora la polverina funzionava! E tutto contento Sam parte di corsa. Ma dopo 100 metri…”
“Ma dopo 100 metri…”
“Si ferma. Esce fuori dalla macchina e dice “Ma come diavolo fa a funzionare?” E allora sente ancora la campana BONG BONG BONG. E si sveglia! Era tutto un sogno!”
“Tutto un sogno del mondo della fantasia?”

“Certo. E adesso, bel bambino, dormi anche tu.”