SUBBUTEO
“Tu
non puoi capire. Non puoi.”
“Ma
sei scemo?”
“Sei
una donna. Non puoi capire. Il Subbuteo per noi ragazzini era una
religione. Ogni tiro poteva essere l’ultimo, doveva essere
l’ultimo. Bisognava giocare a Subbuteo concentrati al massimo, non
erano ammesse distrazioni.”
“Per
dare su un panno verde da quattro soldi dei tiri ad una biglia
colorata come un pallone?”
“Lo
vedi? Non capisci. Era in gioco l’onore, la reputazione, la vita.”
“Seeee...”
“La
mia squadra di giocatori era composta solo da virtuosi. La mia
specialità era il tiro a effetto, con le dita riuscivo a fare
parabole da miracolo di San Gennaro. Ero il drago dell’8. Oppure il
tiro a punto interrogativo, con questa forma “?”. Modestamente
nessuno ha mai capito come facevo. Bisognava mettere l’unghia in un
certo modo.”
“Insomma
quegli omini regalavano gioia e felicità.”
“Gioia
pura. Ricordo ancora quando mi regalarono a Natale tutta la squadra
dell’Inter del Subbuteo colorata a mano. Ero il bambino più felice
del mondo... fino al giorno funesto, in cui ne compresi l’ingiustizia
profonda.”
“Che
successe?”
“Uno
stronzo di 20 anni senza pensarci calpestò i miei giocatori,
piegandoli irreparabilmente. Io li tenevo come una reliquia e ne fui
sconvolto. Lui disse “scusa” ma rideva per i fatti suoi e non se
ne curò più di tanto.”
“E’
la vita, Luchino.”
“Io
rimasi lì, in ginocchio e col labbro tremante, a guardare lo scempio
che avevano fatto quegli scarponi. Nessuno bada alle lacrime di un
bambino di 11 anni.”
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