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mercoledì 10 giugno 2020

QUELLA VOLTA CHE NEIL YOUNG CI SALVO’ IL CULO
Per la serie: momenti top nei concerti che ho vissuto.
E questo l’ho vissuto veramente, sin da quando a inizio 1987 udii la grande notizia “Hai sentito? Forse Neil Young farà un concerto gratis a Milano!”. Entrai in una sorta di trance mistica. C’era da capirmi, avevo imparato a suonare la chitarra per imitarlo, avevo il suo poster sopra il letto, conoscevo le canzoni a memoria. Per me Neil Young era come per un fedele vedere Gesù schiodato dalla croce.
Per cui la sera del 6 maggio fui tra i primi ad entrare al Palatenda, enorme capannone da 10.000 posti all’epoca ribattezzato Palatrussardi (tranquilli, quel nome durò poco).
Mentre mi avvicinavo al Palatenda notai un fatto insolito. Forse attirati dalla bella stagione, dal nome o dalla gratuità dell’evento, accorrevano a frotte giovani di una razza che da anni non vedevo in giro:hippie, freak, “zecche”, capelloni, sconvolti barbuti in sandali, donne coi coi fiori nei capelli e camicioni. Non era più un semplice concerto, rischiava di diventare la nostra mini Woodstock, 3 ore di pace, canne e musica. Bravi ragazzi, dentro siamo sempre gli stessi.
Neil Young, accolto con un boato, iniziò a snocciolare le perle acustiche del suo repertorio: Helpless, After the goldrush, The needle and the damage done, Thrasher etc; chi conosce queste delizie capisce la gioia che stavamo provando.
Solo che... gli anni erano passati, non eravamo più nei mitici anni ‘60, in mezzo in Italia c’erano stati gli anni di piombo. Il terrorismo, la contestazione, le bombe etc. Un gruppo di persone (non fatemi commentare che mi comprometto) iniziò a far casino fuori dal tendone e a protestare, la Polizia rispose con cariche, lacrimogeni e la guerriglia esplose.
Presto un fumo bianco iniziò ad invadere la platea e si sentiva un rumore minaccioso provenire da fuori. Il concerto venne interrotto, fu un momento in cui poteva capitare di tutto. Che fare? Un’ondata di paura percorse il pubblico stipatissimo. Se scoppiava il panico finivamo tutti calpestati.
E fu allora che Neil Young dimostrò di avere i coglioni. Poteva fregarsene e andar via, abbandonandoci al nostro destino, ma decise di reagire. Dopo avere parlato qualche secondo col manager tornò in mezzo al palco, imbracciò la chitarra elettrica e sparò una schitarrata mostruosa.
Iniziò una versione di Mr Soul allo spasimo con tutta la band che lo seguiva. E dopo My my hey hey, Like an hurricane e tutto il repertorio elettrico più teso che gli veniva in mente, senza un attimo di interruzione. Il pubblico lo seguì subito in delirio, dimenticando tutto e concentrandosi su di lui.
Niente mi toglie dalla testa che se non c’era quell’uomo, quella sera poteva finire molto male.
“L’odio era una leggenda, non si conosceva la guerra
Il popolo sollevava grandi pietre, morendo lungo le strade,
trasportandole dalle pianure con le mani nude,
ma hanno innalzato quello che non riusciamo a fare ancora oggi”
(Cortez the killer)


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