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domenica 21 gennaio 2018

(Seconda parte della mia avventura)

TRANSIBERIANA

C’è molto da osservare qui a Mosca. La varietà di gente è uno spettacolo più bello di tutti i monumenti del mondo. Le russe (purtroppo non tutte) hanno un taglio degli occhi ancora occidentale ma tendente all'asiatico. Da gatta. Bellissimo, molto molto intrigante. Non ho mai visto insieme tante donne così belle, delle bambole a grandezza naturale. Le Barbie esistono. E (ora parlo da italiano) camminavano normalmente per strada senza essere importunate da chicchessia. Poi ovvio ci sono donnoni tipo contadina di patate della Bielorussia con bicipiti e sederoni enormi.

L'occidente ha vinto, il comunismo ha perso. Me ne accorgo da tanti segni ma il principale rimane questo: l'ideale di vita è quello americano. Le scritte sono bilingui, tutti parlottano inglese, le pubblicità sono aggressive, il guadagno è la molla di tutto, di russo rimane sempre meno, quasi solo per i turisti. Dentro di me comunque io sento che... sono contento di essere arrivato nella stazione ferroviaria di Mosca. Forse davvero ce l’ho fatta. Sto per iniziare la transiberiana, è troppo grande. Tigre transiberiana, eccoci!

Partiamo con il treno della sera. Abbiamo prenotato per noi tre tutto uno scompartimento in seconda classe, spartano ma c’è tutto. La famosa toilette transiberiana è molto angusta, 1mq per 1mq, uguale alle toilette dei treni italiani con il noto lavandino grande mezza anguria. Saranno le 22.30 e ci corichiamo in cuccetta. Il treno mi culla, tutùm tutùm, mi addormento subito.

Risveglio collettivo mentre all'esterno sfila un ininterrotto panorama di alberi e cielo. E’ il momento di sguinzagliare i ragazzi per esplorare questo treno.
A mezzogiorno passa una ragazza che nel suo cestino vende per 100 rubli (3 euro) una bottiglietta di kvas, una sorta di chinotto leggermente alcolico molto bevuto in Russia, e frittelle con dentro non marmellata ma carne trita e cipolla. Molto buone.

Un muro di betulle a destra un muro di betulle a sinistra per tutto il giorno. Il treno continua la sua corsa verso est. Attraversiamo vari fusi orari, tanto che ogni giorno dura in media dalle 22 alle 23 ore (recupereremo tutto al ritorno con una giornata di quasi 30 ore). Sempre betulle. Non fa freddo.
In treno l'aria condizionata funziona a pieno regime e meno male, altrimenti questo nostro scompartimento diventava presto una camera a gas (chi ha figli adolescenti mi capirà).
Foreste, foreste. Semper domestica silva. Siamo quasi a Ekaterinemburg, dove la famiglia dello zar venne trucidata, e quindi siamo entrati in Asia! Alla stazione di Ekaterinemburg mio figlio scende per cercare qualcosa da mangiare.
Che spettacolo le persone nelle stazioni, vestite in 100 modi diversi. Ci sono babushke, soldati, belle donne, famiglie occidentali e asiatiche. C'è di tutto. Abbiamo già superato due fusi orari e non si capisce che ore sono. Comprendo l'usanza che hanno qui sul treno di mantenere l'ora di Mosca, si evita la confusione.

Il mattino dopo noto uno spiacevole dato. Dopo giorni di treno è inequivocabile: puzzo. Dovrò escogitare un modo per lavarmi, non essendoci possibilità di farmi la doccia userò le salviettine umide, ne ho portata qualcuna dietro saggio consiglio.
Dormono ancora tutti sul vagone. E' giorno pieno ma in realtà per noi è mattino presto. Che strano provare il jet lag su un treno. Che disorientamento questa sfasatura temporale, non si capisce che ore sono e tutto cambia in continuazione.
Il panorama è cambiato, siamo più a sud e si vede. Molto simile a quello italiano. Sembra di essere nella pianura padana, campi e alberi sottili. L'aria deve essere più calda ma non la sento, per via dell'aria condizionata i vetri sono bloccati. C'è molto sole e il cielo è bellissimo.

Il treno si ferma una decina di volte al giorno per soste brevi, circa un quarto d'ora o poco più.
Arriviamo dopo che è calato il sole a Novosibirsk, cuore della Siberia e dicono la più bella stazione del tragitto, degna di esser fotografata anzi studiata, Giacomo dorme e Ben si rifiuta di uscire a fotografare perché è buio e ha paura di perdere la strada al ritorno. E allora? E allora niente foto e testimonianze, rimarrò con la curiosità. Kz!! Addio bellezza, maledizione alle mie gambe e ai giovani che hanno tanto tempo e sciupano le occasioni.

Il treno prosegue verso est, siamo a quasi metà strada per il Pacifico. Il paesaggio dolce sembra quasi toscano, se non fosse per le betulle. Nel vagone ci sono due bimbe russe biondissime sui 5 anni che vanno avanti e indietro, i loro gridolini sono esattamente uguali ai nostri bambini, è una banalità ma pensarci mi rasserena. Dal finestrino entra un bellissimo sole. Foresta incendiata dal sole.

Arriviamo in serata a Zima -che in russo vuol dire inverno-, il triste capolinea per i prigionieri confinati in Siberia. Dostojevsky è passato di qui. Siamo in agosto ma il nome “inverno” è  assai meritato perché Giacomo, sceso a comprare delle bibite, risale dopo 2 minuti tremando per il freddo. Vado a sentirlo pure io, metto la capoccia fuori ma subito rimbalzo dentro per il vento ghiacciato

Siamo arrivati quasi al confine mongolo. Il paesaggio è cambiato, si vedono grandi prati, campi coltivati e del bestiame -il primo che vedo-. Costeggiamo un fiume pigro che è quasi una palude, il Solenga. Spazi infiniti.


Non è più possibile inviare sms in Italia, siamo troppo lontani e la carrozza è piena di asiatici ora. Dovremmo arrivare presto alla frontiera russo-mongola. Si parla di soste dalle 6 alle 11 ore. Decidiamo di riposare anche se il sole è alto. Ma dura poco. Il treno si ferma.
Improvvisamente dopo pochi minuti c'è agitazione e si sente "documenten! documenten!" e tutti sono trafelati. Controlliamo i passaporti, è tutto ok ma qui la Polizia fa paura.

Arriva l’arcigna funzionaria russa di frontiera insieme ad un poliziotto armato e silenzioso. La poliziotta controlla senza parlare i nostri passaporti. Fa scendere Ben dalla cuccetta. Scruta attenta i nostri volti per vedere se corrispondono alle foto.
Strana sensazione davanti a quella severa poliziotta. Avverto che sto passando vicino ad un pericolo che non si vede ma è grandissimo.
Se ne va risoluta con tutti i passaporti per mettere il visto di uscita. Poi ce li riporterà.

Ripartiamo ma per fermarci poco dopo. Arriva la sera. É il turno della polizia mongola che ripete la stessa trafila con i passaporti. La bella poliziotta mongola in impeccabile uniforme scruta a lungo Giacomo e dice in inglese "Siete molto cambiato dalla foto" (sfido, ora ha 20 anni e la barba, la foto risale a quando ne aveva 12). Passano dei soldati con tratti orientali e dei cagnetti che annusano da tutte le parti.

Il mattino arriviamo a Ulan Bator capitale della Mongolia, cuore selvaggio del nostro viaggio.

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