(terza e ultima parte)
MONGOLIA E CINA
Mongolia, terra di Gengis
Khan, loro eroe nazionale. Dal finestrino intravedo questa nazione alle prime
luci dell'alba. Il paesaggio quasi lunare e sconfinato di prima aveva lasciato
il posto ad una periferia di città disordinata, poco armonica. Enormi altiforni
sbuffano dense colonne di vapore vicinissimi alle gher, le tende tipiche mono
familiari che affollano ovunque il terreno.
L'impressione che ne
ricavo non é francamente bella. Sembra di arrivare in una baraccopoli.
Alle 6.10 puntuali
-dopo un viaggio di 8.000 km!- arriviamo alla piccola stazione di Ulan Bator.
E' mattina presto e fa molto freddo, ma qui d'inverno si arriva anche a meno
45°. Addio treno Mosca-Ulan Bator, qualche volta tornerai nei miei sogni.
Di UB noto subito due
cose, che c'è una certa confusione linguistica (le scritte pubblicitarie
alternano cinese, mongolo, russo e inglese; 4 lingue, 4 caratteri alfabetici
differenti) e soprattutto che è una città orribile. Sembra di stare in una
periferia industrializzata.
Casermoni, baracche,
strutture in cemento armato malconce o lasciate a metá, tutto grigio e nero,
insegne penzolanti, auto scassate, strade squallide... E siamo in pieno centro
della capitale. Oddio ma dove ho portato i ragazzi? È così che si riduce un
popolo nomade quando si stabilizza? Il nostro hotel sembra un fiore nel
deserto, in stile neoclassico bianco con una grrrrande scalinata per accedervi.
Senza rampa e nemmeno maniglie, te pareva.
Mentre salgo piano
piano con la stampella questa scalinata pseudo viennese ho una sorpresa, sento
distintamente delle campane. Non è una allucinazione, le sento veramente. Delle
campane cattoliche in Mongolia? Mistero.
Alla sala ristorante
avrò modo di osservare l'hotel. È evidente la volontà di compiacere il turista
occidentale facendolo sentire come a casa, ma i risultati sono spesso
imbarazzanti. Avete presente un albergo mongolo che cerca di sembrare
occidentale? Ecco, avete indovinato.
Oltre a noi ci sono
pochi clienti e gli unici stranieri sono una attempata coppia ...italiana che
parla in veneto! Per evitare la solita figura da italiani all'estero che quando
si incontrano fanno la tarantella ci teniamo reciprocamente distanti. Se siamo
andati in Mongolia in fondo è perché NON vogliamo incontrare connazionali e
penso che questo valga anche per loro, perché ci ignoriamo.
...Che strade
dissestate da fare con la sedia sa rotelle e parlo di strade perché i
marciapiedi non esistono. Qui in Mongolia è ancora tutto da pensare per i
disabili, sempre che lo si voglia. Lo si capisce anche dal fatto che nei giorni
in Mongolia non ho incontrato nemmeno una sedia a rotelle. Qui se sei disabile
non esisti più.
E io cosa dovrei
fare? Nascondermi? Non ci penso nemmeno. Il cielo è azzurrissimo, UB pur così'
congestionata e inquinata (è la terza città più inquinata al mondo) è
circondata da montagne verdissime e disabitate. Che strano. Le pianure e le
montagne sono distese verdi, ma di erba o steppa. Pochi gli alberi,
probabilmente il gelo invernale è tale che non resistono. Non è un paesaggio
alpino insomma.
La nostra guida Nami
è una seguace dello sciamanesimo anzi una believer, suo fratello è uno
sciamano e tutta la sua famiglia è seguace di questa religione. Loro credono
negli elementi naturali aria vento terra fuoco. Lo spirito di una antenata di
2000 anni fa si è introdotta nella sua famiglia e li guida. Il loro animale è
il cavallo e lei ha vissuto molto in Corea dove lavorava come esperta in
cavalli.
Dopo la visita alla
città si va tutti a mangiare al "Mongolian Barbecue, self service
all-you-can-eat!" (scritto proprio così, e mi sento triste a
pensarci). All’interno tutte le giovani cameriere indossano una t-shirt con la
scritta "Kiss me, I'm mongolian!".
Tornato in albergo
accendo la tv. Incredibile tra 100 canali disponibili trovo anche RaiAsia!
Mi guardo un paio di
telegiornali italiani, da dieci giorni dell’Italia non so più nulla. Ma avverto
una sensazione fortissima: che meschinità le vicende italiane viste da qui. Che
squallore, che…che pochezza. Sembrano formichine che si credono importanti. E’
un senso di nausea talmente forte che passerà del tempo prima che riveda un
altro tg.
Il mondo è più vasto
di quel che pensavo, che impressione vedere tutti quei canali asiatici mentre
sono EFFETTIVAMENTE in Asia. Ci sono tantissime culture e valori di cui non sospettavo
nemmeno l'esistenza. Ripeto, un conto è saperlo un conto è viverlo. È pur vero
che la mia esperienza da malato è parziale, parzialissima, da un finestrino di
un treno, da una finestra di un albergo o di un auto o una tv satellitare,
sempre seduto.
Notte. Domani il
treno per la Cina parte presto. Mentre mi sto per addormentare sento ancora le
campane. L'ideale per i cavalli immagino, praterie d'erba sconfinate.
Ore 6.00: sveglio i
ragazzi, questa mattina bisogna prendere il treno che da UB ci porterà a
Pechino. E’ la famosa linea ferroviaria transmongola, ricalcata sui sentieri
della antichissima Via della Seta.
Il nostro
scompartimento è ancora più spartano dell'altro e pieno di briciole, ma si sa
che in Asia il concetto di “igiene” è differente da quello europeo. Non c’è
l’aria condizionata ma un rumoroso ventilatorino attaccato al soffitto
(benedetto e santo, scopriremo poi).
Ah caro tutûn tutûn
come mi mancavi. Questo treno transmongolo è molto più scalcagnato dell'altro
transiberiano, si odono anche un sacco di stridori inquietanti. Stiamo
attraversando il deserto dei Gobi, che non è di sabbia come il Sahara, ma una
immensa pianura di erba secca.
L'aria condizionata
come detto non c'è ma il provvidenziale ventilatore per tutta la giornata farà
il suo rumoroso dovere.
Un insettino prova ad
uscire dal vetro, ci proverà tutto il giorno. Mi commuove. Non ci sono
distinguo per lui, incertezze tra bene e male, lo fa e basta. Sbaglia, riprova,
dà una capocciata al vetro, cade, riprova ancora. Non uscire insettino, sei
attirato dalla luce ma ti troveresti in mezzo al deserto. Però è un lavoratore
capatosta, penso che assomiglio a lui.
Questo deserto dei
Gobi è vastissimo, desolato, torrido. Una immensa pianura di erba secca senza
vita bruciata dal sole. Piatto, piatto, piatto. Fa caldo, caldissimo, sudiamo e
puzziamo e stiamo immobili.
Lunghe ore in cui
solo il treno si muoveva. Una giornata intera ha impiegato il treno per
attraversare questo deserto, non finiva mai. Tra tutti i posti visti in questo
viaggio questo è quello che mi ha impressionato di più. È la prima volta che
sono a contatto con un deserto e mi ha colpito per la sua vastità e
inospitalità, il deserto nulla ha di umano. Alle 19.00 di sera finalmente
arriviamo alla frontiera mongolo cinese. Prima viene la poliziotta mongola a
ritirarci i passaporti. Il treno riparte ma si ferma quasi subito a Erlian, il
confine cinese.
Anche qui una
poliziotta cinese (sempre donne, chissà perché) rifà la solita trafila e come
al solito è il passaporto di Giacomo, che ha una foto in cui è ancora bimbo, a
destare perplessità.
Dopo i controlli il
treno resta fermo per altre due ore a cambiare le ruote. I paranoici russi
avevano adottato uno scartamento diverso dal resto del mondo per non essere
invasi via treno, di conseguenza OGNI vagone deve essere sollevato, bisogna
smontare le ruote e metterne di nuove.
Detta così sembra
facile ma sono state due ore notturne di martellamenti, operai che gridavano,
vagono che aveva dei sobbalzi pazzeschi e rumori di metalli che stridono. E
questo per ogni vagone del treno. Che impressione sentirsi su un treno
sollevato per aria.
Guardiamo gli operai
che si affannano sotto il vagone e che martellano le rotaie del treno, è
pericoloso e dantesco. Hanno impiegato comunque solo due ore, il che fa capire
come questo delicatissimo lavoro di ingegneria sia diventato quasi routine, ma
routine proprio non è.
Siamo in Cina dunque.
Lo si capisce da tanti segni che non è più la povera Mongolia. Passa un cinese
a darci i ticket per colazione e mensa (che organizzazione!) e ridendo fa dei
gesti a Giacomo, che non capisce. Gli spiego io "dice che ti devi far
la barba, barbún!", ma tanto so che non se la farà. Anzi in un paese
dove la "faccia" (intesa come reputazione, onore etc) è così
importante lui lo fa apposta ad essere un bastian contrario. Un bambino cinese
lo guarda incuriosito mentre fa un solitario con le carte e fa finta di niente.
Così pelosi in un paese di persone lisce, mi sa che sembriamo una sorta di yeti
in libera uscita.
Il treno riparte ma
con rammarico è arrivata la notte. Con rammarico perché perderemo la Grande
Muraglia che supereremo nel sonno. Così, sfrecciando il confine con la Cina ci
addormentiamo. Gengis Khan ha sterminato milioni di persone per attraversarla,
io l'ho fatto sognando.
Il mattino dopo si
vede subito che siamo entrati in un paese ricco: edifici più robusti, strade
più curate, campi coltivati. Come passare dalla povera Polonia alla ricca Germania.
Dopo l'esperienza di
ieri, in cui per tutto il giorno abbiamo attraversato il piattissimo e desolato
Gobi, la Cina è uno stravolgimento. Montagne, fiumi, campi coltivati, boschi,
paesi abitati, strade diritte, macchine normali e non più TIR mastodontici che
solcano il deserto...è un altro pianeta.
Dopo Nankou
(Nanchino?) e una serie di gallerie arriviamo finalmente in vista di Pechino,
l'antica Cambaluc di Marco Polo. A poco a poco il paesaggio montagnoso diventa
agricolo poi sempre più di paese, urbano, di città, di metropoli, di mega
metropoli! Ci avviciniamo a qualcosa di importante e si vede.
Pechino anzi oggi
Beijing è grande da sola come metà Belgio e non finisce mai. La stazione della
metropolitana è futuristica. Si nota che stiamo arrivando anche dal fatto che
inservienti cinesi passano e fanno piazza pulita negli scompartimenti di tutto.
Il viaggio in treno più importante della mia vita, la mia transiberiana, sta
per finire. Alle 14.10 dopo una lunga frenata il treno si arresta. È finita, la
transiberiana è finita. Sono triste.
Purtroppo i miei
impedimenti motori hanno messo il carico da 11. Ma...in ogni caso l'ho fatta.
Ci sono riuscito e nessuno potrà portarmelo via. Sono andato in transiberiana
con una disabilità seria (per i tecnici, il mio punteggio edss è 6.5) da Mosca
a Pechino. Non so se nelle mie condizioni sono il primo, sicuramente non siamo
stati in molti.
Ho rinunciato a
tanto, mi è costato di soldi parecchio, le cose sono andate diversamente da
come previsto ma sono arrivato in estremo Oriente. Marco Polo ci ha impiegato
tre anni, io dieci giorni. Ho qualcosa da raccontare e conosco tante persone
che, pur essendo sane, per timore ci rinunciano. Lo so che sto cercando di
compensare qualcosa ma lasciatemi essere orgoglioso.
E comprenderete la
mia tristezza quando è il treno si è fermato a Pechino.
(Per
commenti, insulti o lodi sperticate: luca.tartaro@gmail.com)
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