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lunedì 15 gennaio 2018


DEVO ANDARE

Giulietta ha avuto una partenza terribile. All’età di due anni si ammalò di poliomielite (anche se per fortuna non in maniera grave) e venne praticamente lasciata dai genitori in un collegio di suore, dove rimase sino alla maggiore età. Brutto il destino dei figli difettosi. “Non esiste amore tra le suore, sono poche e noi bambine eravamo troppe. Quando ero malata ricordo quei cameroni con 20 letti dove mi sentivo abbandonata. E quando a 18 anni uscii dal collegio ero timidissima, non avevo il coraggio di alzare gli occhi e guardare nessuno in faccia.”

Eppure, nonostante questo partire dal basso, Giulietta era riuscita a realizzare negli anni una vita quasi normale (una casa, due bambini, un lavoro…), anche se non sempre era andato tutto liscio, intendiamoci. Le ferite del passato si ripresentavano e non erano state dimenticate. Aveva per esempio molti incubi che la facevano piangere tutta la notte, tanto che ci scherzava sopra: “oh, se stanotte mi sentite piangere non vi spaventate”.

Conobbi Giulietta a casa di amici e incontrai una donna simpatica, tutta gasata dal fatto che sarebbe diventata presto nonna. Uno dei suoi desideri più autentici si realizzava. Rimanemmo a parlottare a lungo, quel sabato sera si fece tardi e decisi di dormire sul divano.

A notte fonda venni svegliato da qualcuno che piangeva e mi alzai nel buio. Devo andare.

Da ragazzo tenevo un cagnolino che talvolta aveva brutti sogni, scalciava e mugolava. In quei casi mi avvicinavo e iniziavo ad accarezzarlo in silenzio. In poco tempo il cagnolino si calmava e riprendeva a dormire tranquillo. 
Da quella esperienza, accarezzare un animale addormentato, imparai che non bisogna svegliare (svegliare chi dorme è un atto terribile, soprattutto in questi momenti di crisi), ora non è importante capire o interpretare, la cosa migliore è semmai rassicurare e “richiudere” i varchi dell’inconscio. Capiremo dopo.

Camminai sino alla camera di Giulietta ed entrai, stava piangendo nel sonno e intanto diceva qualcosa che non si capiva in pieno: “no, lasciatemi stare…vi prego…no, il dottore no!...no, no, no…” e giù lacrime. Mi sedetti sul bordo del letto e le presi la mano, accarezzandola e rassicurandola. Non avere paura Giulietta, è tutto finito, calma.
Ci vollero 10 minuti e alla fine Giulietta, che non si era mai svegliata dal suo incubo e non aveva mai aperto gli occhi, smise di piangere e si calmò. Quando vidi che la situazione era tranquilla, le lasciai la mano e ritornai sul divano.

Il giorno dopo davanti al caffè Giulietta ascoltò con stupore il mio resoconto, lei non si ricordava nulla



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