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martedì 31 ottobre 2017

STARE BENE
L'ho sempre sospettato e man mano che passa il tempo è una convinzione che si radica in me: CONDIZIONI TROPPO FAVOREVOLI NON SONO AFFATTO FAVOREVOLI ALL'ESSERE UMANO. Molti per esempio usano il benessere come? Per ingrassare così tanto da usare come negli USA una sedia a rotelle per spostarsi. O giovani ricchi che sciupano la loro vita chiudendosi a riccio oppure....vabbè avete capito.
Insomma, l'han fatto per il mio bene. "Dovevi passare attraverso esperienze come la malattia per crescere e capire il valore di ciò che ti circonda altrimenti era troppo facile."
Però volevo anche dire a chi mi ha messo in modalità Difficult: "adesso basta, eh, dammi tregua. Ho capito ho capito" 😏
CADAVERINO

“Ragazzi, oggi parleremo di un argomento divertente, visto che il proprio oggi 31 Ottobre è Halloween, simpatica festa di origine americana dedicata ai morti. Ho una notizia per voi!”
“Quale, Prof?”
“La nostra avventura su questa terra non finisce dopo che siamo morti, c’è ancora qualcosa... A proposito, avete già preparato il vestito da paura?”
“Sì si sì, prof lei ha già preso i dolcetti? Attenzione che questa sera busseranno i mostri alla sua porta.”
”Mostriciattoli, direi. La mia bella scorta di caramelle è già pronta, il primo anno ero senza e mi hanno spruzzato l’inchiostro sulla giacca. Maledetti.”
“Ahahah!”
“I genitori però non hanno riso molto quando gli ho portato lo scontrino della lavanderia.”
“Ma lei è un bastardo Prof!”
“Chi è che ha parlato? Nessuno eh? Comunque, torniamo a bomba all’argomento di oggi. Iniziamo da una domanda: secondo voi cosa si fa del cadavere di una persona dopo che è morta?”
“Io lo so. Quando è morto mio nonno c’è stato il funerale in chiesa e dopo l’hanno SEPPELLITO sotto terra al cimitero.”
“Giusto, questo è quello che succede nella maggior parte dei casi. Una persona morta viene seppellita sotto due metri di terra oppure in mare, come è accaduto con Bin Laden. Però…però a volte si fa altro con un corpo morto. Forza, fate lavorare la fantasia.”
“Mio zio dice che vuole farsi bruciare.”
“Cioè vorrà essere CREMATO si dice, è una pratica sempre più diffusa. Il corpo viene ridotto in cenere e poi conservato in una scatola speciale detta “urna” oppure dispersa.”
“Dispersa dove?”
“Al vento, in un campo, sul mare, addirittura nello spazio. E poi ci sono altri modi meno comuni di trattare un cadavere.”
“Ancora?”
“Nell’antico Egitto il cadavere dei Faraoni e dei ricchi veniva MUMMIFICATO, togliendogli gli organi interni, poi lo si fasciava e si metteva in un sarcofago. In certi rarissimi casi, soprattutto se si tratta di personaggi che hanno fatto la storia come Lenin o Mao o alcuni santi, il cadavere può venire IMBALSAMATO e messo sotto vetro,  così possiamo vederlo.”
“Che schifo. Perché, c’è qualcuno che va a vedere un morto?”
“Oh molta gente, vi assicuro. E anzi una volta in Russia era obbligatorio per gli sposini visitare la salma di Lenin in viaggio di nozze e rendergli onore. Oppure, se andate a Parigi, potete ammirare la tomba di Napoleone, che è stato TUMULATO.”
“Cioè?”
“Messo dentro una tomba visibile. E non è finita qui.”
“Con un morto si possono fare altre cose?”
“Certo. Nelle montagne del Tibet per esempio, dove la terra è troppo dura per essere scavata e non ci sono tanti alberi per bruciarlo, la salma viene ESPOSTA in torri o montagne sacre. Il cadavere viene lasciato lì, ci penserà poi l’aria a essiccarlo o gli avvoltoi a papparselo.”
“Hiiii!”
“C’è chi ha pensato invece a far CONGELARE il suo corpo morto, come Walt Disney, nella speranza che un domani lo riportino in vita perché han trovato una cura. In molti laboratori poi, se la persona in vita ha dato il suo consenso, la salma viene SEZIONATA ed espiantati gli organi ancora utili. E forse ce ne sono altre, ma queste sono le più importanti. Come vedete, con la morte non è finito tutto, possiamo scegliere che sarà di noi anche dopo morti. C’è sempre una scelta.”
“Prof, c’è anche un’altra possibilità per fare sparire un corpo morto!”
“Ah sì? Dimmi.”
“Il cadavere può essere MANGIATO.”

“Vero. Ok ragazzi, cosa pensate di fare dopo morti?”

lunedì 30 ottobre 2017

VOLARE UN PO’

“Senti, ma è vero che sei psicologo?”
“Certo.”
“Allora sai un  sacco di cose su di me.”
“Se vuoi ne parliamo.”
“Senti, ma tu hai poteri psichici speciali? Leggi nel pensiero? Secondo me tu fai delle magie.”
“Mi spiace, ma all’Università l’esame di lettura del pensiero non l’ho mai dato, mi sono iscritto troppo tardi. Il corso di Telepatia, come la chiamano loro, era già strapieno. In compenso ho frequentato il corso nella stanza accanto, lì c’era ancora posto.”
“Ah sì, quale?”
“Non sono riuscito a leggere il cartello, c’era troppa gente. Ricordo che iniziava con Tele qualcosa. Nell’aula un professore stava parlando e tutti stavano zitti a bere le sue parole. Entrai e mi sedetti in silenzio nel primo buco libero.”
“Che tipo era il professore?”
“Un 50enne con la barba, alto e magro. Stava mostrando a tutti come sollevare una palla da tennis con il pensiero.”
“Cosa?”
“Era la Telecinesi, ecco cosa c’era scritto sul cartello, fenomeno a cui tra parentesi io non credo. Appena ho capito di cosa parlava rimasi soprattutto per scoprire i suoi trucchi ma lui spiegava che non c’era alcun trucco, bastava sforzarsi e orientare la mente in maniera speciale. Ed era lì per insegnarcelo.”
“E funzionava?”
“La palla di gomma in effetti volteggiava nell’aria e tutti gli studenti la guardavano a bocca aperta ma come ti ho detto pensavo ad un sotterfugio. Quando mi passò vicina non mi lasciai sfuggire l’occasione e afferrai al volo la palla.”
“Cosa pensavi di scoprire?”
“Che ne so, un filo, un magnete, qualche diavoleria. Adesso le inventano tutte. La esaminai rapidamente ma ammetto che non scoprii nulla, così la scaraventai fuori dalla finestra aperta. Il professore tranquillamente arrestò a mezzaria la palla e senza toccarla me la ridiede. Poi mi guardò severo.”
“Hi, l’avevi fatto incazzare!”
“Neanche tanto a ripensarci. Doveva essere abituato. “Lei non crede alla Telecinesi”, disse. “No non ci credo –risposi-, ci deve essere un trucco”. “Qui non facciamo trucchi –rispose lui tranquillo-, faccia pure tutti i controlli che vuole. Anche lei può spostare gli oggetti ma dovrà imparare. Anzi guardi, le regalo questa palla per esercitarsi. Se vuole la porti pure a casa”. Lo ringraziai e mi rimisi la palla in tasca. La lezione era finita.”
“E poi ti sei portato la pallina a casa?”
“Certo! E ricordo anche che appena arrivato a casa non ho resistito alla tentazione, la aprii ma non trovai niente di niente. Era una normale pallina da tennis. La ricomposi e la osservai bene. Ero stupefatto.”
“Ma poi sei riuscita a sollevarla?”
“Poco, e adesso mi rendo conto che sono un po’ fuori allenamento. I risultati migliori ai tempi li ottenevo con un sassolino, scoprii presto che più l’oggetto era pesante più era difficile muoverlo. E altre cose ho scoperto di me stesso, molto più importanti della telecinesi. Arrivai presto ad una importante conclusione.”
“E quale?”
“Che la mente ha poteri straordinari. Non sottovalutarla mai, ha potenzialità enormi. Ti può far volare o sprofondare.”
“Io voglio volare! Ma è così difficile…”

“Vieni da me allora, scoprirai che si può volare un po’. Non importa se la vita ti tiene legata, tu hai i tuoi sogni.”

domenica 29 ottobre 2017

UN ESPERIMENTO POETICO

Oggi per non morire mi sono buttato in esperimento poetico, provare a descrivere questa domenica in 12 Haiku. La sfida era quella di trasformare il dolore in qualcosa di bello, di sopportabile.

L’Haiku è una piccola poesia di origine giapponese, con regole rigide al suo interno (nessun titolo, solo tre versi con 17 sillabe in tutto, scansione 5-7-5), di solito dedicata alla natura ma anche al mondo interiore. Sembra ma non è facilissimo comporre un Haiku, obbliga ad esprimersi in forma molto concisa.

Che lunga notte
Pensa, l’ora legale
Ne aggiunge un’altra

Il primo caffè
Da bere la mattina
Sempre in silenzio

Questo armadio
Di tutte le tue cose
È ancora pieno

Troppi ricordi
In questo cellulare
Quanta vita c’è

Un vento freddo
Entra dalla finestra
Che non ho chiuso

Rassegnatevi
Imparassi sbagliando
Sarei un genio

La tua vita è un film
In cui cerchi l’amore
A che punto sei?

Comunicare
Orribile se usare
solo parole

Grazie vicine
Che passate a trovarmi
Non sono solo

Guardando il piatto
So che dovrei nutrirmi
Ho un’altra fame

Non provo schifo
Pulendo la lettiera
Della mia gatta

Foto sbiadita
Un bellissimo sogno
Pieno d'amore


INTANTO MI PORTO AVANTI

Sul davanzale della mia finestra che si affaccia sul cortile interno, davanzale a portata di bambino, accanto al vaso di ciclamini ho messo una zucca trasparente di plastica con dentro tante caramelle. Tra poco è Halloween, no?

Dato che la sera del 31 sarò fuori casa, voglio che i piccini che vanno in giro per le case facendo "dolcetto o scherzetto?" ricevano lo stesso qualcosa. La delusione dei bambini deve essere terribile (mi sembra di ricordare qualcosa a proposito).

Già adesso è bello vedere i bimbi passare e fissare la zucca con dentro le caramelle. I più intraprendenti tirano la manica e indicano alla mamma la zucca.



Chissà come mi vedono. "Il signore col bastone che vive con la gatta e ci dà le caramelle". Un mostrino insomma :)

sabato 28 ottobre 2017

...Le mani del padre gli stringono la bocca. Dal figlio erompe un urlo lungo di rabbia che a poco a poco diventa un mugolìo di dolore. I suoi occhi sono bagnati di lacrime. Il padre si è commosso e a tratti è scosso da singhiozzi.
"Sì, quanto dolore dentro di te, figlio mio, che anni di vita hai avuto! E che tu pianga è il segno che vuoi guarire."
Il dolore e la rabbia passano dal figlio al padre e viceversa...."
(Non vedo non sento non parlo - Michele Zappella)
Uno dei più bei libri sull'autismo infantile. Dall'autismo forse non si guarisce, ma quanti passi in avanti si possono fare.
28 OTTOBRE

Oggi è il 28 ottobre e mi torna in mente un ricordo.
Una volta il mio maestro, un antifascista che era stato incarcerato e malmenato (il suo naso era storto dalle  botte ricevute), mi spiegò che nel carcere dove era detenuto la pastasciutta veniva data tre volte l'anno, a Natale, Pasqua e il 28 di Ottobre.
"Perché il 28 di ottobre? Cadeva qualche ricorrenza particolare?", chiesi io stupito.

Lui mi guardò e rispose: “Ho combattuto nelle montagne perché un giorno ci fosse un giovane che me lo chiedeva”.

venerdì 27 ottobre 2017

IL SOGNO DELLA TIGRE

Il campanello della porta trilla mentre sto dormendo e mi sveglia. Chi sarà mai? Non aspetto nessuno. Incuriosito mi alzo, vado ad aprire la porta e mi trovo davanti un uomo che non ho mai visto, un domatore da circo. Ha la divisa classica: i baffoni bianchi, la giacca rossa con i bottoni d’oro, un frustino e… ha portato con sé una grossa tigre al guinzaglio! La visione dell’animale mi terrorizza e mi lascia senza parole ma il domatore mi rassicura bonario: non è feroce e lui la controlla bene.
Intanto entrano in casa. Ho una paura terribile della bestia. Mi siedo nervoso sul divano mentre il domatore lascia camminare la tigre. Approfittando però di un mio attimo di distrazione il domatore se ne va lasciandomi da solo con l’animale! Impaurito, mi chiudo dentro lo sgabuzzino. La porta dello sgabuzzino ha una finestrella di vetro ondulato e io percepisco la sagoma della tigre, con le sue strisce arancioni e nere, che va avanti e indietro.
Poi però penso “no dai, non posso restare chiuso qui dentro per tutta la vita. Perché mi nascondo? Questa è casa mia!” Mi faccio coraggio, apro risoluto la porta dello sgabuzzino e…vedo ai miei piedi un gattino che miagola! Lo prendo in mano e inizio a ridere a crepapelle mentre lui mi fa le fusa. Mi sveglio ridendo.

Pur risalente ad un pisolino estivo di quando ero ragazzo, ricordo ancora molto nitidamente questo sogno. Sento in maniera oscura che è importante. Freud diceva, e non con tutti i torti, che di un sogno riletto dopo tanto tempo capiamo subito il significato… ma trent’anni dopo c’è ancora qualcosa di poco chiaro in me, magari mi potete aiutare voi.
Avevo 25 anni ed ero da poco andato a vivere da solo. In teoria doveva essere tutto bello (e lo era), la casetta era giusta, le speranze tante. Ma la tigre allora cosa potrebbe simboleggiare? Una figura edipica, la parte selvatica di me, le mie paure inconsce, la mia sessualità, altro… qualcosa insomma di ingestibile che mi faceva paura, mi poteva far molto male, poteva rovinarmi la vita ma era comunque dentro di me (la mia nuova casa). In ogni caso la affronto e… scopro che non era così temibile, anzi penso proprio che ci faremo compagnia.
Alla fine il sogno forse poteva significare questo: non temere, troverai il coraggio per affrontare le tue paure. E magari scoprirai che in fondo si trattava di ben piccola cosa.


UNA CANZONE SCRITTA 30 ANNI FA

Senza soldi
Come potrò sposare te?
Che dalla vita vuoi le cose belle
Le carrozzelle e le damigelle

Ma se mi alzo e poi lavoro
Amore, ti coprirò d’oro
Ti chiedo solo di ascoltare la notte
Queste vittorie da Don Chisciotte

Tu cosa vuoi veramente da me?
Dimmelo, io non riesco a capire
Vuoi un santo o un innamorato?
Giurami amore che non sono l’uomo sbagliato
“Luca, non esiste amore sprecato”

Papà, per favore
Parlami dei tuoi amori
Delle cicatrici, delle ferite
Non farmi ripetere i tuoi errori

Cosa vuoi sapere da me?
Dimmelo, io non riesco a capire
Vuoi un figlio o un disperato?
Giurami che non sono il figlio sbagliato
Per me vuoi un futuro o ancora il passato?

Che caldo che fa
In questa città…

(non ho idea della musica)



Arrivato a questa età, posso tranquillamente affermare che, tranne rarissimi casi, le persone religiose che ho incontrato nella mia vita non erano migliori delle altre

giovedì 26 ottobre 2017

L’ELEFANTE ROSA

“Fiorella, vieni che bisogna andare via.”
“Uffa, mamma.”
“Non fare tante storie che hai solo 5  anni. Dai, vieni che ti copro. E non protestare come al solito, obbedisci alla mamma.”
“Ma cosa c’è?”
“Bisogna andare a prendere la macchina e c’è da coprirsi che fuori piove. Vieni qui che ti metto il cappottino.”
“No!”
“Fiorella, dopo ti bagni e ti viene il raffreddore. Il cappotto.”
“No!!
“Fiorella, obbedisci!”
“Noooo!”
“Guarda che te le do, eh?”
“NOOOO!!”
“Fiorella!! Vieni qui!”
“Noooooooo!”
“Se ti prendo…vieni qui!”
“Noo! No!”
(Lucas ha ascoltato la scena in silenzio, facendo finta di leggere una rivista; alla fine decide di intervenire ma prima chiede il permesso)
“Scusa, posso provarci io?”
“Fai pure. Guarda, non ne posso più, è una battaglia tutti i giorni.”
“Grazie, vado… Fiorella, la sai la storia dell’elefante rosa?”
“No.”
“Allora, c’era una volta un elefante tutto rosa che viveva in una caverna. Dormiva, mangiava ed era bello, grasso e tutto pasciuto con la sua proboscide rosa (intanto Luca mima l’elefante). Un giorno ebbe voglia di uscire e farsi un giretto. Allora per prima cosa mise la proboscide fuori dalla grotta per vedere che tempo faceva (Luca allunga il braccio)… _Oddio ma piove! Se esco così, io che son rosa, mi sciolgo tutto! Presto presto mettiamoci il cappotto! (Luca prende il cappotto e veste la bambina che continua ad ascoltarlo)… Ma mi devo proteggere anche il collo, dov’è la sciarpa? (mette la sciarpa)… Ehy, aspetta un momento, se esco così però rischio di sporcarmi anche le zampe, presto devo indossare anche gli stivaletti di plastica! (Tocca agli stivaletti)… Vediamo, ho dimenticato qualcosa prima di uscire? Ma sì, il cappellino! Rischio di bagnarmi i miei capelli rosa! Dov’è?”
“Eccolo qui.” (Fiorella si mette il cappellino, Luca lo sistema)
“Sei pronta adesso per uscire? Sei coperta bene?”
“Sì.”
“L’elefante rosa ha dimenticato niente? Tutto a posto?”
“Sì sì.”
“Va bene, brava. Allora adesso prendi per mano la tua mamma e portala fuori. Poi lei ti porterà alla macchina.”
“Andiamo mamma.”
(la mamma la prende per mano e se ne vanno tranquille)

Morale: se nutrite la loro mente con una storia poi i bambini vi seguiranno senza capricci.



domenica 22 ottobre 2017

1099

Non è sempre facile raccontare la verità. Voi, Altissima Maestà, volete meglio conoscere il nostro nemico e perciò io, Rinaldo di Torre Mozza, Principe di Acri, sono stato autorizzato dallo stesso Goffredo di Buglione a raccontarvi un episodio mai descritto prima sulla nostra Crociata, episodio sul quale si è sempre mantenuto il più rigoroso riserbo. Voi sapete che, secondo le sante parole del nostro Papa Urbano II, lo scontro doveva essere totale e che nessun accordo poteva mai essere raggiunto con i miscredenti turchi, emissari del demonio.
Ma questo non è vero. Un tentativo di accordo ci fu. E noi giurammo solennemente su Sant’Andrea che non ne avremmo mai fatta menzione.

Dopo tre anni di cammino all’inizio del mese di giugno del 1099 eravamo finalmente accampati sotto le mura di Gerusalemme, ma in un terreno arido e sotto un sole cocente. Il caldo era intollerabile e si viveva giorno per giorno. I numerosi pellegrini che erano al nostro seguito morivano come le mosche e anche se gli abitanti all’interno della città dovevano soffrire non poco. Ma l’esercito turco resisteva comunque ai nostri attacchi e i loro guardiani parevano incorruttibili. L’arsura ci torturava peggio della sabbia e solo la fede in Nostro Signore, costantemente rinnovata da Frate Pietro Desiderio, ci era di conforto.
Un pomeriggio assolato, con gran strepito di catenacci e chiavistelli, si aprì una porticina nel lato sud delle mura, quella meno controllata. Ne uscì un loro ambasciatore con un piccolo seguito, che in un latino rudimentale spiegò che portava un messaggio dal Gran Visir. Venne condotto a mio avviso assai sgarbatamente (ma non erano temi semplici) nella tenda centrale. L’uomo, dalla pelle olivastra come i suoi simili, si ripulì dalle ferite e ci parlò: la città e gli abitanti di Gerusalemme erano allo stremo, il calore cocente aveva ridotto le scorte d’acqua (l’acqua è l’annoso problema della città) e si erano verificati molti…episodi spiacevoli. Sapevamo dai nostri informatori che la situazione del piccolo popolo era oltre la disperazione. A tutte le donne, per ordine del sultano, era stata tagliata una natica per nutrire soldati e sentinelle. E in verità, l’aspetto stesso dell’ambasciatore, smunto e sofferente, era il miglior segnale di verità nelle sue parole.
Occorreva raggiungere una tregua e il sultano proponeva per questo di incontrarsi la sera dopo in una petraia fuori le mura della città a est, un terreno pieno di serpenti che non interessava a nessuno. L’ambasciatore venne rispedito indietro e nella tenda la discussione si fece subito durissima. I crociati erano persone forgiate nel miglior ferro della cristianità, più avvezzi all’azione che ai discorsi. Il più contrario ad ogni compromesso sembrava Buscario di Assisi, che poi sarebbe perito nell’assalto finale, uomo dalla grande energia ma sin troppo impetuoso: menava gran fendenti nell’aria e diceva che avrebbe sbudellato il primo figlio di madre sconsacrata che parlasse di tregua.
Senza saperlo l’ambasciatore dei turchi era giunto in un momento delicato: poche ore prima l’ordigno della catapulta, nostra unica speranza di risolvere presto l’assedio, si era rotta nel collaudo. Il legno di queste parti non è come quello cui siamo abituati, si piega troppo. E il pensiero di un altro assedio di otto mesi come ad Antiochia era intollerabile.
Dopo tre anni di marce e pericoli la nostra meta, pur a portata di mano, pareva ancora irraggiungibile. I nostri sguardi si volsero allora verso Goffredo da Buglione, che insieme a Raimondo di Aguilers comandava le nostre truppe. Ci fu un attimo di silenzio, poi Goffredo parlò: “Il tempo non è dalla nostra parte. Uomini e animali stanno morendo, la metà del nostro esercito è malata. Abbiamo condiviso il pane in questi anni di marcia ma non possiamo fermarci proprio adesso, altrimenti come Mosè non entreremo nella Terra Promessa -si alzò in piedi e notai alla luce delle candele che era il più alto di tutti-. E io non sono venuto qui per guardare, voglio esplorare ogni minima possibilità. Andremo. Siamo in una posizione di forza, ma aspettare ancora costerebbe altre vite. Forse come per Betlemme riusciremo a conquistare la città santa senza spargere altro sangue e sarebbe bello.”

Entrando mano sulla spada la sera dopo nella gran tenda del sultano rabbrividii, Dio perdoni il mio debole cuore. Le pareti erano tutte imbrattate con i loro ricami che sembrano opera del demonio, stregonesche pitture. Sul sultano, che ci aspettava dentro la tenda, erano già fiorite molte leggende: si raccontava come fosse un uomo crudele, che si divertiva a torturare e poi divorare i cristiani su cui riusciva a mettere le mani. Sono un peccatore –mi dicevo- sono solo un peccatore, Signore pietà, abbi pietà del tuo servo Rinaldo. Ammetto che lo temevo, inutilmente mi ripetevo che era solo un uomo che moriva con il ferro della spada. Lo temevo meno di quanto amassi la Croce di Nostro Signore, ma abbastanza da confondermi la mente.
Non ci furono formalità inutili. Rifiutammo ogni offerta di cibo e ogni cuscino, rimanendo in piedi. Gli ordini erano stati precisi, nessuno doveva accettare alcunché. La tenda era molto grande e aperta in più parti da ogni lato, così che dall’esterno si potesse vedere dentro. Notavo che ogni più piccolo ordine del sultano, vestito con una tunica dorata, veniva immediatamente eseguito da servi e notabili con la testa bassa. Aveva il potere.
Padre Pietro intanto diffondeva fumi di incenso nella tenda, mormorando devoto il miserere a cui noi crociati rispondemmo in coro con un poderoso Amen! Il sultano intanto guardava beffardo l’operazione, non so cosa gli passasse per la mente. Poi Boemondo di Tolosa fece un passo avanti e lesse a voce alta il documento di sottomissione in latino, in cui si intimava al sultano di riconoscere e accettare il Cristianesimo come unica religione e accettare il Papa Urbano II° di Roma come sola fonte per la legge umana. “E se qualcuno non è d’accordo –aggiunse perentorio Buglione- si faccia avanti che lo affronterò con le mie armi!”
“Siamo noi dunque pronti a morire per Cristo Nostro Signore?”, esclamò Padre Pietro.
“LO SIAMO!”, rispondemmo in coro.
“Sia dunque così nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.”
“AMEN!!”
“Inginocchiatevi, infedeli! Abbracciate la nostra fede, servi del demonio, e avrete salva la vostra anima!”
Il sultano non perdeva una sillaba di quanto detto, facendosi ripetere tutto dal suo traduttore. Man mano che Boemondo leggeva l’atto di sottomissione si era fatto più cupo ma davanti alle nostre grida era rimasto impassibile. Poi si alzò e iniziò a parlare in tono mellifluo, e anche da questo riconobbi il demonio tentatore che era in lui.
“Avete coraggio e forza, cristiani, ma non è una sorpresa per me. Vi invito però a lasciar riposare le armi e ascoltare la mia proposta per una soluzione pacifica. I pellegrini potranno venire a visitare la Basilica del Santo Sepolcro liberamente e in ogni periodo dell’anno, anche se ovvio dietro un modesto compenso. In fondo sapete bene che le nostre armi e le vostre sono di pari qualità e che un combattimento prolungato garantisce sicura sofferenza ma non sicura vittoria. Non siete ancora entrati in Gerusalemme.”
“Di pari qualità? Di pari qualità?” L’impetuoso Buscario intervenne rabbioso e offeso. La tensione saliva ed eravamo tutti pronti a combattere. Goffredo, certo illuminato dal Signore, fece un cenno deciso a Buscario che uscì dalla tenda imprecando, dirigendosi verso un palo che sorreggeva una vicina tenda. Un grosso palo, che vedo ancora adesso con la mia mente, più grande della coscia di un uomo. Il franco estrasse il suo spadone, lo fece roteare e con un urlo inferse al palo un terribile fendente. Certo fu Cristo Re a guidare le sue mani, perché il colpo fu spaventoso e la sabbia sembrò tremare sotto i nostri piedi. Ma il nero tronco si spezzò in due. Con un colpo solo!
Come un miracolo la tenda, non più sorretta da quel pagano palo, si afflosciò in una nube di polvere, dalla quale emerse la figura tozza ma possente di Buscario, che ancora impugnava la spada. Mentre la rimetteva sicura nel fodero aveva due occhi azzurri e terribili. Ci congratulammo con lui. Con un simile campione la vittoria era nostra, mai mi son sento più sicuro come in quel momento. Volgemmo gli occhi verso gli arabi, sicuri di averli impressionati con questa dimostrazione di fede e forza. Dio è con noi!
Ma il sultano, al contrario dei suoi cortigiani che avevano seguito la scena e ora mormoravano mute preghiere, non sembrava affatto stupito. Il suo sguardo era beffardo come quando Padre Pietro aveva sparso per la tenda l’incenso.
Con un gesto silenzioso prese dalla manica un fazzoletto di seta e lo lanciò per aria. Usando l’altra mano estrasse la sua affilata scimitarra e con un soffio tagliò il fazzoletto mentre ancora volteggiava in aria. Due lembi di tela sottile caddero lenti per terra mentre il sultano rimetteva la sua scimitarra a posto. Noi eravamo ammutoliti dallo stupore, non avevo mai visto un portento simile. Il sultano rivolse delle parole al suo interprete che subito le tradusse.
“Allora, cristiano, qual è la spada che taglia di più?”

Questa volta fu Goffredo da Buglione ad uscire dalla tenda e tutti noi gli andammo dietro. Inutile dire che non venimmo mai a patti con i saraceni. E fu un bene: quale meschino risultato per la cristianità! Veramente sarebbe stata una vergogna, dopo così tanto cammino, entrare in tal guisa in Gerusalemme!
E l’unica macchia, se così si può dire, della nostra strepitosa vittoria di un mese dopo, che tanto tripudio ha portato alla Cristianità intera, e della strage di infedeli che ne seguì, è che non riuscimmo a catturare il sultano, che non ho mai più rivisto. Quando raggiungemmo le sue stanze io stesso riuscii a catturare un suo servo che con un ghigno disse che non l’avremmo mai preso. Poi si lanciò in avanti verso la mia spada sguainata e si tolse la vita, mormorando oscure parole di odio. Non dimenticherò mai la sua smorfia.
Ormai è calata la sera, sto scrivendo al lume delle candele. Da tempo non scrivevo una lettera così lunga e qui c’è sempre molto da fare. Abbiamo un intero regno cristiano da costruire qui in Terra Santa, per la gloria di Dio, del Papa e di Vostra Altezza.
Dio ci protegga
il suo umile servitore Rinaldo di Torre Mozza, principe di Acri



PARLANDO CON UNA BAMBINA

“Luca, Luca!”
“Oh ciao, Giada. Dimmi.”
“Vuoi sapere qual è la mia favola preferita? Quella che c’è in questo libretto!”
“Fa’ vedere, Giada. Ah ma è la storia di una favola da cui hanno tratto un film a cartoni animati. Non la conosco, deve essere nuova, come si chiama?”
“La Principessa e il Ranocchio!”
“Deve essere bella. Sfogliamo il libretto insieme? Io lo tengo, tu giri le pagine e intanto me la racconti.”
“Va bene. Allora, parla di una ragazza che trova un ranocchio che una volta era un Principe e allora lo bacia per farlo diventare un Principe, no? Solo che lei non è una vera Principessa, era solo vestita così, e allora è lei a diventare una ranocchia! Poi succedono altre cose, scappano nella palude dove si fanno tanti amici ma c’è un cattivo che li vuole catturare e c’è un inseguimento!”
“Ah ma… è ambientato nella Louisiana degli anni ’20…che interessante. Poi cosa succede?”
“Che dopo tutti e due con un incantesimo vudù di Mamma Odie ritornano umani e poi lei lavora finché realizza con il Principe il suo sogno, che è quello di aprire con sua sorella un ristorante dove si suona la musica jazz!”
“Ah ma guarda, è tutto spiegato in questo libretto di Walt  Disney. Che belle queste figure.”
“Sai cosa mi piace in questa storia? Che lei lavora tanto e riesce a realizzare il suo sogno.”
“Brava. Hai capito il segreto della storia. Che malgrado le difficoltà per concretizzare un sogno bisogna svegliarsi e lavorare sodo.”
“I sogni non vengono da soli!”
“Brava Giada, è proprio così. Guarda per esempio il tuo papà e la tua mamma. Per comprare questa bella casa dove vivi tu, loro hanno lavorato sodo. Solo così hanno realizzato il loro sogno.”
“E’ vero!”
“Adesso che classe fai Giada?”
“Ho 7 anni. Faccio la 2° elementare, classe C alla scuola Sandro Pertini. La mia maestra è la signora Piera.”
“E’ simpatica o severa?”
“E’ molto buona, a me piace tanto. Mi piace andare a scuola.”
“Brava. I bambini devono andare a scuola, così imparano mentre si divertono. E un domani impareranno anche un lavoro.”
“Così i loro sogni diventano realtà. Luca, lo vuoi sapere il mio sogno?”



venerdì 20 ottobre 2017

ANDANDO A VIVERE DA SOLO

…Addio casa vecchia,
addio albero che stai davanti alla mia finestra e che dopo tanti anni ancora non so di che tipo sei,
addio palazzo che da quando ti hanno costruito mi rubi il sole nel pomeriggio,
addio asilo del quartiere,
addio bar Peck con i tavolini fuori,
addio campo giochi di periferia, sempre spelacchiato e puzzolente,
addio terroni del piano di sopra, che litigate sempre e avete un figlio che gioca a biglie anche alle 10 di sera,
addio rozza metallara che quando non c’è tua madre metti su i dischi degli Iron Maiden a palla,
pianoforte mio arrivederci, appena avrò un po’ di soldi mi raggiungerai,
addio salumiere Enrico, le casalinghe ti prendono in giro perché sei gay e con te lavora il tuo compagno ma tu te ne freghi e fai bene,
addio panettiere, con la bella figlia adolescente ogni tanto al banco,
addio amici del quartiere, vi porterò nel cuore per sempre,
addio cantina umida,
addio ragazze a cui non ho mai rivolto la parola perché ero troppo timido,
addio autobus 45 che non arrivavi mai,
addio a tutti a tutti
Me ne vado nella mia casetta nuova a vivere da solo. Si volta pagina.

(dalla mia Smemoranda dell’epoca, 30 Settembre 1986)