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venerdì 18 agosto 2017



ANCHE LUI E’ UN VIVENTE 

Oggi si parlerà di un argomento triste, valutate se proseguire o meno. Storie e tabù già sentiti ma sempre dolorosamente rinnovati.

I fatti: ieri siamo andati a trovare un vecchio zio all’ospedale con più di 80 anni, pieno di metastasi. Il suo corpo sta cedendo, ogni mattina c’è un pezzo che se ne va. Che non ne abbia per molto ne è cosciente lui stesso, fortunatamente (o sfortunatamente, fate voi) è vigile e orientato, malgrado le pesanti terapie riconosce e sorride ai suoi cari intorno al letto.

Uscendo dall’ospedale ho reagito al dolore a modo mio (questa me la vedrò col mio supervisore), ho cercato di razionalizzare l’esperienza oltre che viverla e mi sono chiesto se professionalmente -in teoria sono psicologo- potevo fare qualcosa ma non per me, proprio per lui.

Ho scoperto subito in me una convinzione profonda: chi sta morendo ha diritto di morire bene. Semmai ci si può interrogare su cosa voglia dire “morire bene” ma su questo principio io non voglio transigere. Chiunque sia il morente, qualunque siano state le sue colpe in vita questo è un suo diritto. Lascio ad altri il piacere di immaginare una “morte schifosa” ma voi capite la delicatezza del tema.

Assodato questo, qual è il modo migliore insomma per assistere psicologicamente un morente? Come vorrei essere trattato io in punto di morte? Ho cercato nella letteratura ma c’è ben poco. Si parla spesso della elaborazione del lutto in chi rimane ma l’assistenza del morente è più campo di medici e soprattutto di sacerdoti, che in questo delicatissimo campo hanno una esperienza millenaria.

Io ho ricavato alcuni spunti in un campo che forse potrebbero diventare suggerimenti. Magari sono banalità ma vanno dette: innanzitutto NON LASCIARE SOLO il morente con “sorella morte”. Ritornare da lui (una volta mi sa che non basta), anche solo per sedersi accanto in silenzio, in un clima sereno e di conforto. In quei momenti la solitudine deve essere terribile, è importante essere circondati dai propri cari e dai propri affetti.

Poi INFORMARE CON ONESTA’ il morente su cosa sta accadendogli e sul tempo che gli resta. Con le dovute maniere e le parole giuste certo ma io vorrei sapere cosa mi sta capitando, non è più tempo di pietose bugie. Per inciso questo significa anche evitare l’accanimento terapeutico, il dolore inutile ed aiutare ad accettare l’inevitabile senza ritorno. Come è difficile a volte tutto questo, passare dall’ars curandi all’ars dimittendi.

Non è il momento delle polemiche, il morente desidera sapere che da morto sarà rispettato e conserverà comunque la dignità. Percepire insomma negli altri un autentico RISPETTO per le proprie convinzioni anche se si è deboli e in fase terminale è fondamentale in quei momenti. Se voglio  essere cremato, seppellito, se voglio un funerale civile o religioso, l’estrema unzione  o altro devo essere sicuro che le mie volontà saranno esaudite e le mie credenze rispettate, “perché io rispetto più lei morta che tutti voi vivi” come diceva Peppone a proposito della vecchia maestra che voleva sulla bara la bandiera del Re.

“La morte non è la cosa peggiore. Vivere senza amore è sicuramente più brutto” (ultime parole di un morente). Se siete arrivati sino a qui e vi viene in mente qualcosa ditemelo per favore.


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