ANCHE LUI E’ UN VIVENTE
Oggi si parlerà di un argomento triste, valutate se
proseguire o meno. Storie e tabù già sentiti ma sempre dolorosamente rinnovati.
I fatti: ieri siamo andati a trovare un vecchio zio all’ospedale
con più di 80 anni, pieno di metastasi. Il suo corpo sta cedendo, ogni mattina
c’è un pezzo che se ne va. Che non ne abbia per molto ne è cosciente lui stesso,
fortunatamente (o sfortunatamente, fate voi) è vigile e orientato, malgrado le
pesanti terapie riconosce e sorride ai suoi cari intorno al letto.
Uscendo dall’ospedale ho reagito al dolore a modo mio
(questa me la vedrò col mio supervisore), ho cercato di razionalizzare
l’esperienza oltre che viverla e mi sono chiesto se professionalmente -in
teoria sono psicologo- potevo fare qualcosa ma non per me, proprio per lui.
Ho scoperto subito in me una convinzione profonda: chi sta
morendo ha diritto di morire bene. Semmai ci si può interrogare su cosa voglia
dire “morire bene” ma su questo principio io non voglio transigere. Chiunque
sia il morente, qualunque siano state le sue colpe in vita questo è un suo
diritto. Lascio ad altri il piacere di immaginare una “morte schifosa” ma voi
capite la delicatezza del tema.
Assodato questo, qual è il modo migliore insomma per
assistere psicologicamente un morente? Come vorrei essere trattato io in punto
di morte? Ho cercato nella letteratura ma c’è ben poco. Si parla spesso della
elaborazione del lutto in chi rimane ma l’assistenza del morente è più campo di
medici e soprattutto di sacerdoti, che in questo delicatissimo campo hanno una
esperienza millenaria.
Io ho ricavato alcuni spunti in un campo che forse potrebbero
diventare suggerimenti. Magari sono banalità ma vanno dette: innanzitutto NON LASCIARE SOLO il morente con “sorella
morte”. Ritornare da lui (una volta mi sa che non basta), anche solo per
sedersi accanto in silenzio, in un clima sereno e di conforto. In quei momenti
la solitudine deve essere terribile, è importante essere circondati dai propri
cari e dai propri affetti.
Poi INFORMARE CON
ONESTA’ il morente su cosa sta accadendogli e sul
tempo che gli resta. Con le dovute maniere e le parole giuste certo ma io
vorrei sapere cosa mi sta capitando, non è più tempo di pietose bugie. Per inciso
questo significa anche evitare l’accanimento terapeutico, il dolore inutile ed
aiutare ad accettare l’inevitabile senza ritorno. Come è difficile a volte
tutto questo, passare dall’ars curandi all’ars dimittendi.
Non è il momento
delle polemiche, il morente desidera sapere che da morto sarà rispettato e conserverà
comunque la dignità. Percepire insomma negli altri un autentico RISPETTO
per le proprie convinzioni anche se si è deboli e in fase terminale è
fondamentale in quei momenti. Se voglio
essere cremato, seppellito, se voglio un funerale civile o religioso, l’estrema
unzione o altro devo essere sicuro che
le mie volontà saranno esaudite e le mie credenze rispettate, “perché io
rispetto più lei morta che tutti voi vivi” come diceva Peppone a proposito
della vecchia maestra che voleva sulla bara la bandiera del Re.
“La morte non è la
cosa peggiore. Vivere senza amore è sicuramente più brutto” (ultime parole di
un morente). Se siete arrivati sino a qui e vi viene in mente qualcosa ditemelo
per favore.
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