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venerdì 9 novembre 2018


IL BAMBINO CIECO

Durante il mio Tirocinio, tanti anni fa, capitai per qualche tempo in un asilo pieno di bambini starnazzanti. Incontenibili nei loro giochi e urlanti, le maestre avevano un bel daffare per tenerli buoni.
In un angolino al sole però era seduto un bambino di 4 anni immobile. Era cieco e le maestre avevano per lui una attenzione particolare. Mi dissero che, se volevo relazionarmi, dovevo mettermi alla sua altezza e toccargli le mani mentre parlavo.

Così ho fatto e ricordo che quel bambino, che teneva sempre gli occhi chiusi, rispondeva cortesemente ma non dava mai confidenza. Non era espansivo come altri bambini, stava sulle sue. Nei giorni seguenti passavo a trovarlo ogni volta, riconosceva la mia voce ma non diceva mai nulla.

Lo stesso atteggiamento lo notai anni dopo in un altro cieco. Stava camminando sul marciapiede, spazzando davanti a lui col suo bastone bianco come usuale. Ma stava arrivando un pericolo.
Improvvisamente si imbattè in una transenna messa lì da un operaio. Sarebbe bastato spostarsi di un metro a destra per superarla ma lui non poteva saperlo.
Evidentemente non se l’aspettava, per un paio di volte ci andò contro e poi si fermò con gli occhi sbarrati.

Mi avvicinai a lui e dissi: “Ha bisogno d’aiuto, signore?”
“Sì, grazie.”
Gli presi un braccio e, con tutta delicatezza, lo spostai quel tanto sufficiente perché potesse proseguire.
“Ecco, adesso può andare, la strada è libera.”
Se ne andò senza ringraziare o altro, muovendo davanti a sé il suo bastone bianco.
Rispetto.



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