IL BAMBINO CIECO
Durante
il mio Tirocinio, tanti anni fa, capitai per qualche tempo in un
asilo pieno di bambini starnazzanti. Incontenibili nei loro giochi e
urlanti, le maestre avevano un bel daffare per tenerli buoni.
In
un angolino al sole però era seduto un bambino di 4 anni immobile.
Era cieco e le maestre avevano per lui una attenzione particolare. Mi
dissero che, se volevo relazionarmi, dovevo mettermi alla sua altezza
e toccargli le mani mentre parlavo.
Così
ho fatto e ricordo che quel bambino, che teneva sempre gli occhi
chiusi, rispondeva cortesemente ma non dava mai confidenza. Non era
espansivo come altri bambini, stava sulle sue. Nei giorni seguenti
passavo a trovarlo ogni volta, riconosceva la mia voce ma non diceva
mai nulla.
Lo
stesso atteggiamento lo notai anni dopo in un altro cieco. Stava
camminando sul marciapiede, spazzando davanti a lui col suo bastone
bianco come usuale. Ma stava arrivando un pericolo.
Improvvisamente
si imbattè in una transenna messa lì da un operaio. Sarebbe bastato
spostarsi di un metro a destra per superarla ma lui non poteva
saperlo.
Evidentemente
non se l’aspettava, per un paio di volte ci andò contro e poi si
fermò con gli occhi sbarrati.
Mi
avvicinai a lui e dissi: “Ha bisogno d’aiuto, signore?”
“Sì,
grazie.”
Gli
presi un braccio e, con tutta delicatezza, lo spostai quel tanto
sufficiente perché potesse proseguire.
“Ecco,
adesso può andare, la strada è libera.”
Se
ne andò senza ringraziare o altro, muovendo davanti a sé il suo
bastone bianco.
Rispetto.
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