UNA CANZONE FUORI DAL COMUNE
“D’yer Mak’er”
è una canzone talmente lontana dagli standard dei Led Zeppelin che è
sempre stata un mistero per me.
Sesta traccia di
Houses of Holy, è canzoncina reggae assolutamente insignificante,
nella musica nel testo nell’arrangiamento nell’esecuzione. Sembra
scritta e suonata da un complessino di serie C.
Piange il cuore
sentire Bonzo sprecato pestare in sottofondo mentre Jimmi Page suona
il più banale degli assoli.
Mai un colpo d’ala,
una schitarrata, un “porcaputtana ma questi sono LZ”.
Ovviamente c’è
qualche bastian contrario che la adora (ho segnato i nomi, c’è un
reparto dell’inferno dove si ritroveranno) e ai tempi avevano pure
avuto la sfrontatezza di farla uscire come 45. Ma perché?
Dopo lungo
pensamento sono arrivato ad una conclusione: l’hanno fatto apposta.
Apposta. Dopo cinque
anni di delirio e passione rock blues, i LZ si sentivano confinati
nella formula, volevano dimostrare di essere capaci di ben altro. Di
divertirsi e divertire con canzoncine (D’yer Mak’er), ritmi
lentissimi (Rain Song), banalità (Dancing Days), folk (Bron Y aur
stomp) etc
Non sarebbe stato
così scandaloso. In fondo stiamo parlando di quattro musicisti, è
capitato e capiterà spesso nel rock, a tutti piace cambiare,
evolversi.
Come i Beatles nel
1965, quando vollero scrollarsi la beatlemania di dosso e se ne
uscirono
con Rubber Soul, un
successone.
Ai Beatles
l’operazione riuscì, ai LZ no, tanto che “Houses of the holy”
è ritenuto da molti un disco minore e meno riuscito malgrado la
presenza di veri capolavori (Rain song, No quarter). Sicuramente ha
venduto molto meno e il pubblico ai concerti voleva sempre Whole
lotta love e Staiway to heaven.
La “formula” dei
LZ, quel misto tra hard rock e blues ideato da Jimmi Page, è stata
talmente azzeccata sin dall’inizio che non si poteva cambiarla
senza tradire. Li ha proiettati nell’empireo musicale e lì sono
rimasti malgrado tutti i tentativi.
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