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sabato 22 giugno 2019


UNA CANZONE FUORI DAL COMUNE


“D’yer Mak’er” è una canzone talmente lontana dagli standard dei Led Zeppelin che è sempre stata un mistero per me.

Sesta traccia di Houses of Holy, è canzoncina reggae assolutamente insignificante, nella musica nel testo nell’arrangiamento nell’esecuzione. Sembra scritta e suonata da un complessino di serie C.
Piange il cuore sentire Bonzo sprecato pestare in sottofondo mentre Jimmi Page suona il più banale degli assoli.

Mai un colpo d’ala, una schitarrata, un “porcaputtana ma questi sono LZ”.
Ovviamente c’è qualche bastian contrario che la adora (ho segnato i nomi, c’è un reparto dell’inferno dove si ritroveranno) e ai tempi avevano pure avuto la sfrontatezza di farla uscire come 45. Ma perché?

Dopo lungo pensamento sono arrivato ad una conclusione: l’hanno fatto apposta.
Apposta. Dopo cinque anni di delirio e passione rock blues, i LZ si sentivano confinati nella formula, volevano dimostrare di essere capaci di ben altro. Di divertirsi e divertire con canzoncine (D’yer Mak’er), ritmi lentissimi (Rain Song), banalità (Dancing Days), folk (Bron Y aur stomp) etc

Non sarebbe stato così scandaloso. In fondo stiamo parlando di quattro musicisti, è capitato e capiterà spesso nel rock, a tutti piace cambiare, evolversi.
Come i Beatles nel 1965, quando vollero scrollarsi la beatlemania di dosso e se ne uscirono
con Rubber Soul, un successone.

Ai Beatles l’operazione riuscì, ai LZ no, tanto che “Houses of the holy” è ritenuto da molti un disco minore e meno riuscito malgrado la presenza di veri capolavori (Rain song, No quarter). Sicuramente ha venduto molto meno e il pubblico ai concerti voleva sempre Whole lotta love e Staiway to heaven.

La “formula” dei LZ, quel misto tra hard rock e blues ideato da Jimmi Page, è stata talmente azzeccata sin dall’inizio che non si poteva cambiarla senza tradire. Li ha proiettati nell’empireo musicale e lì sono rimasti malgrado tutti i tentativi.



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