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martedì 8 novembre 2016

NEL BOSCO Un uomo è stato ucciso nel bosco; un Ispettore di Polizia raccoglie le varie testimonianze per fare luce sull’episodio. Questo spunto, in sé molto semplice, è all’origine di un famoso racconto giapponese scritto nel 1917, Nel Bosco, da un altrimenti sconosciuto novelliere orientale, tale Akutagawa (titolo originale dell’opera Iabu no naka). Raccontino molto breve, di poche pagine, ma che da allora ha affascinato registi e sceneggiatori e che ancora oggi fa molto riflettere. L’Ispettore infatti raduna innumerevoli testimonianze, una decina, ma alla fine dei resoconti il poliziotto, e il lettore con lui, è più frastornato di prima. Di fatto i resoconti si discostano ognuno dall’altro, anche per dettagli importanti. L’Ispettore ascolta un falegname, un bonzo errante che transitava nella foresta, la moglie dell’uomo ucciso, alcuni mercanti, il brigante accusato del reato, addirittura -evocando gli spiriti dell’aldilà- le parole dell’uomo ucciso. Ma ad ogni testimonianza i nodi si ingarbugliano, e alla fine la verità vola sempre più lontana. “Vola, vola, vola…” Si intuisce che qualcosa di losco è successo, ma alla fine la domanda “chi ha ucciso?” resta senza risposta. E’ stato il brigante, che dopo aver violentato la donna ha ucciso l’uomo? La donna, che finalmente si è liberata del marito? O lui stesso, suicidatosi per la vergogna? Oppure uno sconosciuto passante, che ha finito l’uomo esanime per impossessarsi del cavallo? I cinefili accorti avranno riconosciuto alcuni elementi della trama di Rashomon, film di Akiro Kurosawa di molti anni dopo, tratto come è evidente dal racconto, ma qui interessano altri risvolti. La parola è un atto magico, si sa. E dunque pieno di pericoli. Shakespeare, un maestro in questo senso, nell’Otello e forse ancora di più nel Riccardo III ci mostra cosa può succedere quando una persona sa usare bene la lingua. Le testimonianze possono confondere e ingarbugliare anche il più onesto tra gli ascoltatori, e i sentimenti e i sogni diventano spesso una sorta di Rorschach sovradeterminato, che ogni volta interrogato fornisce risposte diverse, testimonianze che la dicono lunga non solo sul testimone del fatto, ma addirittura sull’ascoltatore stesso. Che cos’è la verità? Quando si svolse il Processo di Norimberga i gerarchi nazisti furono tutti sottoposti, prima di venire impiccati, ad accurati esami anche psicodiagnostici. Naturalmente i test confermarono in pieno la patologia e la psiche distorta dei gerarchi. Alcuni protocolli in particolare vennero anzi definiti orripilanti, ulteriore prova, se mai ce n’era bisogno, della necessità di liberare il mondo da certe figure. Negli anni ’70 però, per curiosità, i test vennero esaminati in forma anonima da alcune Università americane. A parte il caso di Goebbels, che soffriva di evidenti disturbi paranoidei, nessun altro venne dagli esperti diagnosticato come patologico. Al di là di amare considerazioni su come la scienza insegua ragioni di opportunità politica, o di come accertare un reato possa risultare ingannevole, la realtà psicologica umana sfugge alle diagnosi incontestabili. Oppure si rivela talmente complessa da risultare imprevedibile. Penso sia per questo, tra l’altro, che i risultati dei comportamentisti sono sempre stati così esili. La sicurezza di alcuni esperti nel prevedere qualche avvenimento o cambiamento (stranamente sempre dopo che si è verificato) è a questo proposito sconcertante. Può essere molto bello, e a volte in una società televisiva paga, dire “lo sapevo io” e fidarsi delle prime impressioni. Ma spesso ci sono delle sorprese incredibili. In fondo lo stesso Freud era figlio di un fallito. Con onestà bisogna riconoscere che non se ne sapeva abbastanza. Anche quando se ne sapeva tantissimo. Forse la verità, come sostengono sempre gli storici, è un processo in costruzione. Dov’è andato a finire quell’uomo, nevrotico ossessivo all’ultimo stadio, che ho avuto in cura per tanto tempo? E quel ragazzo vittima di una bouffée delirante mentre faceva il militare? E quella isterica che veniva al Cps perché sentiva di avere qualcosa che raspava in gola? E quel bambino disperato per l’alcolismo dei genitori? E quella tossica che aveva scoperto di essere sieropositiva? E… e… Alla fine rimane solo il cadavere di un uomo ucciso nel bosco. Che tristezza. Anzi no, alla fine resta un breve racconto, e la voglia di saperne di più, una piccola speranza. Un bene prezioso, da conservare e sviluppare
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