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mercoledì 18 aprile 2018


UNA STORIA DI VICHINGHI

Tu mi chiedi cosa fare quando niente sembra andare per il verso giusto. La tua domanda mi ricorda una storia che raccontava mio nonno per spaventare noi bambini.

Una storia che inizia molto ma veramente molto tempo fa, forse più di mille anni. Un ragazzo che pescava tranquillo intravide nel mare una nave avvicinarsi veloce a questa nostra isola e corse subito ad avvisare il villaggio che si precipitò a vedere. Qualcuno capì: erano una…due…tre navi di vichinghi, i temuti pirati del nord. Stavano remando velocissimi, entro poco sarebbero sbarcati. Uomini brutali e saccheggiatori, noti per la loro ferocia.

Venne dato l’allarme soffiando dentro una grande conchiglia e tutti si rifugiarono nell’entroterra, in certe caverne segretissime. Cosa mai potevano volere i vichinghi dalla nostra isoletta? Noi anche allora eravamo umili pescatori, senza tesori.
Solo il ragazzo che li aveva avvistati, di nome Tamir, rimase nascosto tra i cespugli a vedere cosa succedeva. Dopo poche settimane Tamir si rifece vivo con una storia incredibile, che attraverso i secoli era arrivata a mio nonno.

I vichinghi appena sbarcati si erano subito diretti verso il nostro villaggio di capanne, incendiandole tutte. Il ragazzo era rimasto molto impressionato dalla loro visione mentre scendevano dalle navi, disse che non aveva ma visto corpi così perfetti. Le loro intenzioni bellicose erano evidenti, saccheggiare, uccidere, stuprare e andarsene.

Questa volta però rimasero delusi. Il nostro villaggio era veramente povero. Non avevamo né barche, solo zattere, né reti e nemmeno una campana, ci arrangiavamo con la grande conchiglia. I normanni esplorarono tutta la nostra isoletta come un branco di lupi affamati ma senza trovare nulla. Del resto a parte qualche gallina e uccelli selvatici non c’era nulla da trovare.

I normanni decisero allora di tornare indietro solo che c’era un problema. Era calato improvvisamente il vento ed era iniziata la bonaccia, un periodo che poteva durare anche mesi. Non soffiava un alito di vento. Una loro nave si era incagliata e le lunghe navi dei vichinghi avevano bisogno del vento per ripartire.

I giorni passavano e non succedeva nulla. Le preghiere dei vichinghi intorno al fuoco non ottenevano effetto, le vele rimanevano morte, gli dei si erano dimenticati di loro. La sabbia cadeva dalle loro mani dritta per terra. Non c’era vento ma una calma mortale.
Fu allora che rivolsero le loro preghiere al Dio della Guerra perché mandasse il vento. Ma questo Dio voleva da loro qualcosa, voleva sangue.

Fu così che Tamir vide con i suoi occhi questi guerrieri tagliarsi con le loro lame sino a quando sgorgava il sangue. Erano sulla spiaggia e invocavano il Dio urlando al cielo, offrendo le loro ferite.
Ma anche così il vento non arrivava, il caldo afoso faceva impazzire. Di più, il loro Dio voleva di più.

Allora organizzarono tornei e si scagliavano urlando uno contro l’altro, dandosi gran colpi con le loro mazze e asce. Il sangue sgorgava colorando la sabbia, il ragazzo li guardava da lontano terrorizzato. Nulla fermava la loro furia, sembravano diavoli urlanti non esseri umani.
E solo quando tutti furono feriti, ma proprio tutti, allora il vento riprese debolmente a soffiare. Prima solo un refolo, presto riprese a soffiare forte. I vichinghi ripresero subito il mare. Con l’aiuto del vento e delle onde disincagliarono la nave e partirono. Qualcuno era senza più un occhio, molti avevano ferite orribili. Partirono e non tornarono mai più.

Ci sono dei che non ti abbandonano e ti vogliono vivo, concludeva mio nonno con i suoi occhi saggi, ma non ti vogliono in pace.
                                                                       
(American Gods)



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