DAI LUCA, RACCONTACI UNA FAVOLETTA!
Stanotte, mentre
stavo per addormentarmi, ho sentito tre amici discutere sotto la mia
finestra su chi tra loro fosse il più importante. Conoscevo bene le loro voci da giovanotti e i loro nomi: quello
meglio vestito si chiamava Talento, poi ce n’era uno con la tuta di nome Duro
Lavoro e infine il più piccolo dei tre, Botta di Culo.
Talento si vantava tutto: “Sono io il più bello, quando vado in giro la
gente mi guarda sempre con ammirazione. I vecchi si levano il cappello e le
ragazze mi sussurrano “ingravidami!”. Non avrete mai il successo che ho io.
Mai!”
“Forse è vero
–ribattè Duro Lavoro, di solito taciturno-, ma tu hai un difetto: sei pigro.
Lavori, se lavori, solo di notte, come tutti gli indolenti. Quasi sempre, ogni
volta che abbiamo combattuto, se ben ti ricordi sono stato io che ho vinto. E
guarda: ti posso dire che è facile per me sconfiggere chi crede di essere
stocazzo, mentre in realtà è solo un dilettante. Mettimi alla prova e vedrai se Duro Lavoro non batte Talento, lo sai
che non temo confronti.”
Solo a questo
punto è intervenuto Botta di Culo: “ma la piantate di blaterare? Se non ci sono
io voi non siete nessuno. Tu Talento saresti riscoperto solo da morto, mentre
tu, Duro Lavoro, lavoreresti per un tozzo di pane. Avete bisogno del buon
vecchio Botta anche per fare un solo passo, ve lo dico io.”
Al che Talento ha
detto la sua: “Ho avuto una idea. Bottadiculo, perché non lavori insieme a me?
Ti pagherò bene (Bottadiculo e Duro Lavoro han risposto qualcosa di sarcastico
che non ho inteso). Sei capriccioso e spesso non ti vediamo per mesi, ma sono
sicuro che io e te troveremo un accordo. E anche tu, Duro Lavoro, sai dove
abito, vieni a stare me. In fondo sai che restiamo parenti; magari non stretti ma
c’è sempre un legame di sangue tra noi. Sarebbe un peccato se non lavorassimo insieme!”
E’ iniziata
allora una vivace discussione su chi tra loro tre doveva essere il capo e
comandare il gruppetto. Alzavano sempre più la voce e già pensavo di
affacciarmi dalla finestra quando è arrivato un quarto di nome Caffè, un tipo
smilzo e sorridente che incontro tutti i giorni al bar. Caffè ha salutato la
compagnia e detto con spiccate accento milanese: “Uè ragazzi, non litigate!
Venite a trovarmi che vi metto d’accordo io! Ghe pensi mi!”
“Ma piantala
–disse Botta di Culo-. Tu ci illudi soltanto di aver raggiunto una soluzione.
Lasciaci in pace e piuttosto lasciami dormire, che sai che ho sempre sonno.”
Anche Duro
Lavoro ammetteva sconsolato. “Eh sì, sei gentile, Caffè, ma non fai al caso
nostro. Non puoi farci compagnia a lungo. E poi se mi vieni troppo vicino
lavoro male e non mi va. Mi sa che abbiamo tutti bisogno di altra ispirazione.”
A questo punto
successe un fatto strano, cadde un silenzio generale e tutti smisero di colpo
di parlare. Sentivo nel silenzio solo un ticchettio sensuale arrivare sempre più vicino, un veloce tic
tac, come se stesse passando una donna. Quando il suono svanì lontano fu
Talento il primo a parlare: “mi sa che abbiamo trovato l’ispirazione per stare uniti. Al
lavoro, ragazzi!”
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