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venerdì 30 marzo 2018

GET A LIFE!

"Sai come si evitano le truffe via internet?"
"No"
"Dammi 10 euro che te lo dico"
"Fossi matto"
"Non ti preoccupare, niente soldi. Dammi allora solo i tuoi dati."
"Fossi matto 2"
"Come vuoi, lo dicevo per te. Ho un grande archivio, li prenderò da lì."
"Non ti azzardare. Voglio mantenere la mia privacy."
"Certo, certo. Sei connesso in questo momento?"
"Ovviamente. Sono su facebook ma i miei dati non te li dò."
"Come preferisci. Il consenso non è necessario. Cos'è quella espressione?"
"Che belli i tempi quando potevi vedere i ladri in faccia."
"I tempi cambiano. Proprio sicuro che non vuoi sapere come evitare le truffe via internet?"
"Sì. E io mi disconnetto e mi faccio una vita!"
"Auguri allora."


giovedì 29 marzo 2018



IO SONO IO
Se vi sentite giù e volete sapere qual è il vostro posto nel mondo NON fate quello che ho fatto io oggi, che confidando nelle grandi potenzialità del web ho digitato curioso su Google il mio nome.
Magari ho lasciato un segno da qualche parte e la grande ragnatela di Internet sa di me delle cose che io ho dimenticato. Fanno tanto baccano sulla privacy in questi giorni vediamone il lato buono, sono connesso al mondo.
Mal me ne incolse. Non sono l'unico Luca Tartaro su questa terra: c'è un Luca Tartaro geometra a Domodossola, un Luca Tartaro allenatore di basket a Pesaro, un Luca Tartaro scrittore (!) a Vicenza e certo ce ne sono altri ma per il momento mi sono fermato.
Oibò. Pensavi di essere l'unico? Ciaopepp, Ce n'è abbastanza per fondare l'esclusivissimo club LucaTartaro's in the world. Che strano scoprirsi dentro un club di cui non sapevi di far parte.
E chissà se c'è qualcosa che ci accomuna oltre al nome, qualche oscura catena genetica, super poteri nascosti. Forse se ci riuniamo e uniamo le nostre Sette Sfere di Drago succede qualcosa e si accende una gran luce.
Volevo sapere chi sono? Qualcosa intanto dentro l'uovo di Pasqua qualcosa ho scoperto. Può essere una coincidenza ma questa volta non me la faccio scappare. Potrebbe nascere una bella storia.


lunedì 26 marzo 2018

(Quando la notte è insonne traduco in italiano alcune canzoni straniere. In questa ho immaginato una ragazza che ascolta la musica, però quella melodica che piace al suo ragazzo. Uh, quanto divertimento…. Nel link la canzone originale di Billy Joel)

MAI UN ROCK'N'ROLL PER ME

“Non mi importa se ti piace o meno, la musica la metto io
Sono io che guido e quindi la stazione radio voglio sceglierla io!”
E allora come passeggera sento tutte le canzoni in voga del momento
Voci belle, ritmi lenti e mai un rock’n’roll per me
Testi pieni di melassa dolce che vogliono piacere a tutti
Ragazzini di tv italiana, naturalmente tutti brutti,
E io che come passeggera sento che sul sedile tra poco mi addormento
Tanto buoni, tanto belli e mai un rock’n’roll per me
Non vedo l’ora di tornare a casa
E mettermi le cuffie all’orecchio
E poi spararmi ciò che voglio, amore,
E dimenarmi nuda avanti allo specchio
Ah, se potesse parlare…
Ti prego aiutami a scappare, amore, lontano dalla gente cattiva
Questa musica melodica per me è tutta vibrazione negativa
Perché la vera cattiveria è dentro questo conformista e finto sentimento
Voglio un ritmo, voglio sesso e un rock’n’roll per me
Non vedo l’ora di tornare a casa
E mettermi le cuffie all’orecchio
E poi spararmi ciò che voglio, amore,
E dimenarmi nuda avanti allo specchio
Ah, se potesse parlare…


sabato 24 marzo 2018


LA FORMA DELL’ACQUA

Bellissimo film, andate a vederlo.
La storia  della semplice ragazza muta che ama e libera un uomo anfibio dal laboratorio sperimentale e dal suo orribile destino è commovente, è una storia di salvezza.
La dimostrazione che l’amore veramente non ha confini, onora anche noi malati e chi non ci crede più.

“Se dovessi raccontarvelo che cosa vi direi?
Che vissero per sempre felici e contenti?
Secondo me è così
Che erano innamorati,
Che continuarono ad amarsi?
Sono sicuro di sì.”



venerdì 23 marzo 2018


STA TRANQUILLO

Un entusiastico pensiero per tutti coloro che, vedendomi camminare male e con fatica, mi battono la mano sulla spalla e dicono “Sta tranquillo, prima o poi troveranno una cura.”

mercoledì 21 marzo 2018


UNA GOCCIA NELLA NOTTE

Chi sei tu che sgoccioli nella notte
Incubo di onda che travolge
E nella realtà inondi la mia casa
bagnando le più recondite piastrelle
Turbando il flusso elettrico e causando un black out
Che lasciommi privo di luce ed energia?

Lunga è stata la ricerca del colpevole
Come Ulisse vagavo senza conoscere la strada
Tutto era bagnato e disperavo
Sino a quando una goccia mi bagnò la mano
Gentile più di pioggia in primavera
Allora alzai lo sguardo, come chi venera un’icona

E solo allora ti notai, o boiler, malefico aggeggio
Appena scaduto in garanzia, diabolica e cinese mercanzia
Mi trasformai in Marte, dio della guerra,
parole infuocate mi uscirono dal petto
E di ogni santo spregiai il nome e la contrada
Ma le mie maledizioni non sembravano fermar lo sgocciolìo

Allora misi sotto la sua serpentina una pentola ramata
Dove streghe anticamente bollivano gli intrugli
Certo più efficaci delle mie vane parole
E chino asciugai lo mare d’acqua
Muto, senza pesci e senza vita
L’oceano in cui rischiavo di svegliarmi

Al mattino telefonai all’idraulico esperto
Capace nelle case di domar acqua e lo foco
L’uomo della Provvidenza a me inviato
a mutar lo diabolico congegno
che ferale mi diede la nova cattiva
 “Dottò, sono 430 + IVA”


lunedì 19 marzo 2018


UN EROE DELLA CLASSE OPERAIA

John Lennon è stato uno dei più importanti musicisti del secolo scorso e la sua influenza va oltre l’aver composto splendide canzoni e formato i Beatles, ha proprio dato origine ad un movimento collettivo.

Straordinario se si considera da dove era partito, proprio dal basso: abbandonato dal padre, la madre travolta in un incidente stradale quando aveva 17 anni (“quella notte fu la peggiore della mia vita”), allevato da una zia in un sobborgo della povera Liverpool, Lennon non si diede per vinto e come un giovane generale pieno di rabbia e armato solo della sua chitarra andò alla conquista del mondo.

Venne ucciso quando aveva solo 40 anni. Che peccato, poteva dare ancora tanto.
Questo suo commovente brano è una sorta di mini autobiografia, in cui rievoca la tormentata giovinezza.


Appena nasci ti fanno sentire inferiore
Non  ti danno nemmeno il tempo di crescere
Soffri e ti sembra di essere una nullità
Diventa allora un eroe della classe operaia

Ti fanno del male a casa e ti picchiano a scuola
Odiano le persone intelligenti e disprezzano gli sciocchi
Ti sembra di impazzire, non riesci più a seguire le regole
Diventa allora un eroe della classe operaia

E dopo averti torturato e spaventato per 20 terribili anni
Si aspettano che imbocchi una carriera
Ma non può funzionare, hai troppe paure
Diventa allora un eroe della classe operaia

Continua a drogarti con religione, sesso e tv
Ti illudi di essere emancipato, senza pregiudizi e libero
Ma per me sei rimasto il solito buzzurro
Diventa allora un eroe della classe operaia

Per avere una bella casa in cima alla collina
Devi prima imparare a sorridere mentre uccidi
Così diventerai come le altre persone di successo
Diventa allora un eroe della classe operaia

Diventa un eroe della classe operaia
Io ci ho provato, io ci ho provato, seguimi

(1970)






KILLER

“Giovane, tu cosa fai nella vita?”
“Guido il motorino. La mia specialità è la “vecchia indecisa”. Quando ne vedo una che attraversa sulle strisce (illusa), mi fiondo a razzo col mio Vespino e freno solo a 20 centimetri. Lei grida e si spaventa con le borse della spesa. Quante ne ho fatte cadere.”
“E quante mazzate che avrai preso, suppongo.”
“Dopo sgommo via a razzo e nessuno sa chi sono. Dove passo io è tutto uno strombazzo cattivo, non c’è rosso che tenga. Conosco questa città come le mie tasche e i divieti d’accesso hanno un fascino quasi erotico, appena ne vedo uno lo imbocco.”
“Ma tu come ti chiami?”
“Mi chiamano Killer. Sono minorenne e me ne frego della Polizia.”
“Mmmm ho capito ho capito. Come tutti gli adolescenti pensi di essere immortale. Ne riparliamo tra qualche anno. Intanto non metterti nei guai.”
“Ma sei scemo, cosa dici? Pensa a non incrociarmi mentre sto guidando piuttosto. Dovrai attraversare una strada prima o poi.”




venerdì 16 marzo 2018


LA MIA PRIMA ASSEMBLEA SCOLASTICA

Me la ricordo bene, era il 16 marzo 1978. E’ passato tanto tempo ma la prima assemblea “politica” a scuola è ancora un ricordo speciale.

All’epoca ero un adolescente brufoloso che frequentava il liceo dai Salesiani, scuola molto compassata altro che i turbolenti licei statali di Milano pieni di scioperi, occupazioni, assemblee e dibattiti, lì non volava una mosca. Quella mattina però, durante una lezione di latino, si udì un rumoroso trambusto nei corridoi.
Gli studenti dell’ultimo anno, i “grandi”, erano usciti dalle loro aule e gridavano di recarsi nel salone centrale per una assemblea.

Una assemblea! In sei anni che ero di Salesiani non c’era MAI stata una assemblea, queste sciocchezze potevano accadere solo nelle scuole pubbliche, non certo dai preti dove vigevano decoro e timor di Dio.
Il professore di latino uscì irritato dall’aula, certo per redarguire i facinorosi, Noi studentelli eravamo attoniti. Era finalmente scoppiata la rivoluzione? Dopo due minuti il professore rientrò sbiancato in volto e disse di recarci subito nel salone con gli altri. Che stava succedendo?

L’aula magna era zeppa così di studenti, c’eravamo tutti. Don Zanichetti il preside non avendo il microfono ci intimò di fare silenzio, doveva dire una cosa importante.
Quella mattina le famigerate Brigate Rosse, il gruppo terroristico che allora spadroneggiava in Italia, aveva rapito Aldo Moro, il presidente della Democrazia Cristiana.
Aldo Moro rapito! Era una bomba! Fatte le debite proporzioni, era come se oggi terroristi islamici rapissero Berlusconi o Grillo. I preti invitavano alla calma ma era chiaro anche a noi ragazzini che l’Italia era sull’orlo della guerra civile contro un nemico invisibile ma spietato.

E’ difficile far capire ai giovani d’oggi l’angoscia e il turbamento che invase tutti dopo questa notizia. Oggi la situazione generale è molto più tranquilla, la politica certo può diventare importante (vedi le ultime elezioni) ma resta comunque una parte della vita. Negli anni ’70, i famosi “Anni di Piombo”, non era così, la politica colorava tutto. Tutto.

Musica, vestiti, libri, lavoro, amori, vacanze etc dovevano essere sempre filtrati dalle domande “Ma a che serve politicamente? Che messaggio vuoi inviare? Da che parte stai?”. Un giovane di oggi si mette a ridere nel sentire queste domande ma ai tempi il privato era veramente diventato politico e non si scappava.
Ricordo una pressione incredibile. Qualche anno dopo iniziò il cosiddetto “riflusso” in cui ci si voleva solo divertire e “politico” divenne una parolaccia (per esempio adesso alle elezioni molti si guardano bene dal presentarsi come politici di professione, se ne fanno un vanto di questo).

Torniamo al marzo 1978, mille anni fa. I 55 giorni che durò il rapimento di Moro li ricordo ancora come un incubo nazionale. C’era Polizia dappertutto e io stesso venni perquisito più volte mentre mi recavo a scuola. Cosa c’è nello zaino? Libri, solo libri. Di solito la Polizia con noi studenti era bonaria ma in quei giorni tenevano tutti le mitragliette in mano e il muso era cattivo.
Anni di Piombo.
Come andò a finire? Moro alla fine venne ucciso e il 9 maggio il suo corpo ritrovato nel bagagliaio di una Renault. E quel giorno dai Salesiani ci fu la seconda assemblea e decidemmo tutti di scendere in piazza.



mercoledì 14 marzo 2018

lunedì 12 marzo 2018


DAI LUCA, RACCONTACI UNA FAVOLETTA!

Stanotte, mentre stavo per addormentarmi, ho sentito tre amici discutere sotto la mia finestra su chi tra loro fosse il più importante. Conoscevo bene le loro voci da giovanotti e i loro nomi: quello meglio vestito si chiamava Talento, poi ce n’era uno con la tuta di nome Duro Lavoro e infine il più piccolo dei tre, Botta di Culo.

Talento si vantava tutto: “Sono io il più bello, quando vado in giro la gente mi guarda sempre con ammirazione. I vecchi si levano il cappello e le ragazze mi sussurrano “ingravidami!”. Non avrete mai il successo che ho io. Mai!”

“Forse è vero –ribattè Duro Lavoro, di solito taciturno-, ma tu hai un difetto: sei pigro. Lavori, se lavori, solo di notte, come tutti gli indolenti. Quasi sempre, ogni volta che abbiamo combattuto, se ben ti ricordi sono stato io che ho vinto. E guarda: ti posso dire che è facile per me sconfiggere chi crede di essere stocazzo, mentre in realtà è solo un dilettante. Mettimi alla prova e vedrai se Duro Lavoro non batte Talento, lo sai che non temo confronti.”

Solo a questo punto è intervenuto Botta di Culo: “ma la piantate di blaterare? Se non ci sono io voi non siete nessuno. Tu Talento saresti riscoperto solo da morto, mentre tu, Duro Lavoro, lavoreresti per un tozzo di pane. Avete bisogno del buon vecchio Botta anche per fare un solo passo, ve lo dico io.”

Al che Talento ha detto la sua: “Ho avuto una idea. Bottadiculo, perché non lavori insieme a me? Ti pagherò bene (Bottadiculo e Duro Lavoro han risposto qualcosa di sarcastico che non ho inteso). Sei capriccioso e spesso non ti vediamo per mesi, ma sono sicuro che io e te troveremo un accordo. E anche tu, Duro Lavoro, sai dove abito, vieni a stare me. In fondo sai che restiamo parenti; magari non stretti ma c’è sempre un legame di sangue tra noi. Sarebbe un peccato se non lavorassimo insieme!”

E’ iniziata allora una vivace discussione su chi tra loro tre doveva essere il capo e comandare il gruppetto. Alzavano sempre più la voce e già pensavo di affacciarmi dalla finestra quando è arrivato un quarto di nome Caffè, un tipo smilzo e sorridente che incontro tutti i giorni al bar. Caffè ha salutato la compagnia e detto con spiccate accento milanese: “Uè ragazzi, non litigate! Venite a trovarmi che vi metto d’accordo io! Ghe pensi mi!”

“Ma piantala –disse Botta di Culo-. Tu ci illudi soltanto di aver raggiunto una soluzione. Lasciaci in pace e piuttosto lasciami dormire, che sai che ho sempre sonno.”
Anche Duro Lavoro ammetteva sconsolato. “Eh sì, sei gentile, Caffè, ma non fai al caso nostro. Non puoi farci compagnia a lungo. E poi se mi vieni troppo vicino lavoro male e non mi va. Mi sa che abbiamo tutti bisogno di altra ispirazione.”

A questo punto successe un fatto strano, cadde un silenzio generale e tutti smisero di colpo di parlare. Sentivo nel silenzio solo un ticchettio sensuale arrivare sempre più vicino, un veloce tic tac, come se stesse passando una donna. Quando il suono svanì lontano fu Talento il primo a parlare: “mi sa che abbiamo trovato l’ispirazione per stare uniti. Al lavoro, ragazzi!”






domenica 11 marzo 2018


IL SOGNO DELLA RAGAZZA NEL FANGO

Sono in una bella casa grande e luminosa, a pranzo con degli amici. Fuori piove ma lì dentro c’è un bel calduccio, l’atmosfera è di festa. Ad un certo punto però un amico guarda fuori dalla finestra ed esclama: “hey, qui fuori c’è una ragazza nel fango!”

Ci accalchiamo tutti a vedere e nel parchetto sotto casa, in una pozza di fango, in effetti si vede una ragazza vestita poveramente, che si sta pure beccando tutta la pioggia. E’ in ginocchio, pare quasi stia chiedendo l’elemosina ma non passa nessuno. Una immagine forte.

Mi commuovo e dico “Poverina, bisogna andare ad aiutarla”. Essendo malato, incarico degli amici di andare da lei. Vanno e rientrano quasi subito dicendo “tutto ok…ha del cibo…non c’è da preoccuparsi…non sembra stia così male…”.

Sono stupito. Anche perché guardo ancora fuori dalla finestra, continuando a piovere la situazione mi sembra addirittura diventata tragica. La ragazza si è accasciata nel fango.
Decido di intervenire personalmente. Qui c’è qualcosa che non va. Anche se sono malato di sclerosi multipla e cammino con difficoltà e col bastone devo recarmi da lei. Più semplice a dirsi che a farsi purtroppo, scendere le scale nelle mie condizioni è molto ma molto rischioso. Ma non fa niente, devo andare, non posso stare immobile. Mentre mi accingo con cautela a fare le scale mi sveglio.

(Ciò che più mi ha stupito è che anche nel sogno sono malato e gravemente, come nella realtà. Almeno nei sogni non potrei immaginarmi diverso? La malattia fa così profondamente parte di me?)




venerdì 9 marzo 2018


MA TU NON TI INCAZZI MAI?

“No, è difficile.”
“Ma come fai? Io se non mando affanculo almeno una persona al giorno poi la sera faccio fatica a dormire.”
“Beh, a dir la verità io un segreto ce l’ho.”
“Ah, tu sei uno di quelli che dentro ha già mandato a fanculo tutti.”
“No, c’è una vecchia storia dietro.”
“Ah sì?”
“Una volta io ero un fumino come te. Poi devi sapere che a 19 anni, dopo la maturità, mi recai a Londra per qualche mese a lavorare come cameriere.”
“Un classico.”
“In un ristorante italiano.”
“Doppio classico.”
“Non conoscevo nessuno ma ci misi poco a farmi degli amici. Gli inglesi all’inizio sono freddi ma poi si scaldano e diventano cordiali come tutti. Quante serate al pub a bere birra con loro!”
“Che birra bevono?”
“Lì ho imparato a bere la Guinness scura, che in Italia non c’era ancora. Bella, corposa, nera. “Liquid food” la chiamano loro.”
“Tutti ubriachi!”
“In genere lo reggono bene l’alcool. E poi non ho mai capito come, mezzi fracichi di birra, riuscissero comunque a tirare colpi precisissimi con le freccette. Mah. In ogni caso la storia che volevo raccontare è un’altra.”
“Vai.”
“Un giorno veniamo a sapere che il vecchio chitarrista Andres Segovia si sarebbe esibito in uno dei suoi ultimi concerti. Era una occasione da non perdere.”
“Devo avere qualche suo disco in casa, o rey del flamenco. Sei riuscito a vederlo dal vivo?”
“Aspetta e ascolta. Questa è una storia che mi ha fatto molto riflettere. Tutti galvanizzati ci rechiamo a teatro e ci mettiamo a far la coda per i biglietti. E già lì ho notato una cosa, che le code in Inghilterra son belle ordinate, tutti in fila come formichine. Non come da noi che sono a cuneo.”
“Beh, c’è da capirci. Il primo è primo, poi ci sono i secondi ma i terzi se la giocano!”
“Comunque dopo un’ora di fila, quando mancano solo dieci persone, l’omino dei biglietti mette la faccia fuori dal finestrino e grida: “Sorry, no more tickets!”. E brum chiude il finestrino.”
“Nooooo.”
“E lì è successo un fatto incredibile. La fila di inglesi si è sciolta come se niente fosse e tutti se ne sono tranquillamente andati via. E’ rimasto solo un ragazzo dalle fattezze italiane che gesticolava, imprecava e si è scagliato contro il finestrino chiuso gridando “E’ un’ora che siamo in fila! Dateci i biglietti! Riaprite la cassa!”. E vai di maledizioni per i bigliettai fino alla settima generazione.“
“E hanno riaperto la cassa?”
“Macché. Dopo cinque minuti che imprecavo inutilmente un amico inglese, evidentemente impietosito, mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: “Luca, please stop. It’s sold out.” E lì mi sono sgonfiato.”
“Che flemma.”
“Meno male che ci sono gli amici. Anche oggi, se mi capita di stare per incazzarmi ripenso subito a quell’amico, alla sua mano sulla spalla e poi penso Ma perché mi devo incazzare? Se non c’è rimedio, che mi incazzo a fare? A volte bisogna alzare la voce ma ti assicuro che sono occasioni veramente rare. Conservare la calma è molto meglio.”
“Purtroppo questo non è un paese così civile.”
“E’ vero ma non pensare, mi è servito molto anche in Italia mantenere l’autocontrollo. E’ il mio piccolo segreto. Un concerto che non ho mai visto risuona ancora dentro di me.”





mercoledì 7 marzo 2018


LA 50ENNE

Colpito da una febbre intensa, ho passato alcuni giorni a letto. I vicini passavano a trovarmi per vedere come stavo e tra loro notavo spesso Yrina, una donna sui 50anni. Come si evince dal nome, la bionda Yrina non è italiana e nei discorsi talvolta infila il paese natale, la Polonia.

E’ giunta in Italia negli anni ‘80, all’epoca di Solidarnosc (quando la Polonia attraversò una seria crisi politica) e come si suol dire lungo il tempo si è sistemata. Ha trovato un buon lavoro e imparato la lingua senza problemi. Un felice esempio di integrazione.
L’altro ieri abbiamo parlottato a lungo e voi conoscete il carattere del vostro affezionatissimo. Le persone mi incuriosiscono e c’era un lato di Yrina che volevo indagare (sì, non mi faccio mai i cazzi miei) (ma ero malato e mi son perdonato da solo).

Mentre la ascoltavo parlare di sé infatti intuivo che Yrina è un tipo di donna che sto incontrando sempre più spesso nella mia vita: la 50enne magari con un vivace passato alle spalle, che non si è mai sposata e oggi vive felicemente da sola, con tanti gatti e il televisore in camera.

Una volta donne così venivano definite con una sfumatura dispregiativa “zitelle”, oggi però non vale più, è diventato proprio il contrario: la loro non è stata una rinuncia, anzi è una scelta consapevole, occasioni ne avrebbero avute. Sono tante e il fenomeno è in aumento. Magari qualcuna si riconosce anche.

Quando con tutta la delicatezza di cui sono capace le ho chiesto se non sentiva la mancanza di un compagno o di una famiglia (Dio, quanto sono borghese), Yrina ha dapprima sgranato gli occhi e poi risposto gentilmente che tiene troppo alla sua libertà. Le è costata tanto e non tornerebbe indietro.

E l’altro sesso? Qualcuna delle sue amiche ha chiuso proprio il libro. Altre sono aiutate dalla tecnologia se vogliono relazioni estemporanee. Altre, come ha confessato la stessa Yrina, tengono in piedi una relazione ma per carità ognuno stia a casa sua.

Parlando con lei mi era sempre più chiaro un sospetto, che mi coinvolge in quanto uomo. Donne come Yrina, indipendenti, autonome e liete di esserlo, rappresentano in fondo la sostanziale sconfitta del mondo maschile. “Sposare” un uomo decisamente non ha più l’attrattiva di una volta, quando il matrimonio era l’unico modo che aveva una donna per emanciparsi dalla famiglia.
Del resto oggi perché “sposarsi”? Bambini se ne fanno sempre meno, l’autonomia lavorativa consente l’indipendenza economica e abitativa, in tal modo non bisogna rendere conto a nessuno e poi viversi tranquille la propria vita. E l’amore? Può esprimersi in tante altre forme e spesso la libertà è preferibile ad un legame a volte disperante (troppi uomini in passato ne hanno approfittato).

Domani è l’8 marzo, festa della donna. Ci voleva una donna per farmi capire cosa può voler dire emancipazione.




lunedì 5 marzo 2018


(tratto da una storia vera)

LETTERA AL PRESIDE

Egregio Dirigente Scolastico,
sono la mamma di Emanuele e le scrivo su consiglio della professoressa di italiano, che mi ha suggerito di rivolgermi a lei.
Sono venuta infatti a sapere che, come purtroppo temevo, mio figlio Emanuele sta rischiando seriamente  la bocciatura per aver superato il numero massimo di assenze consentite durante l’anno.

Tali assenze del ragazzo non sono dovute ad un suo disinteresse ma sono state purtroppo giustificate dalle mie gravi condizioni di salute. Vorrei sinceramente evitare di scadere nel patetico e non mi piace scrivere queste righe, ma sono malata di sclerosi multipla in fase avanzata, ho subito varie operazioni, sono costretta a letto e dipendente in tutto.
Emanuele è stato per me quest’anno un aiuto fondamentale, anzi unico: mio marito se ne è andato via anni fa con un’altra donna e suo fratello maggiore lavora in un supermercato con turni che iniziano anche alle 5.00.

Mio figlio Emanuele è insomma l’unico aiuto vero su cui possa contare. Non solo mi aiuta nelle varie incombenze quotidiane (come sollevarmi dal letto, prepararmi i pasti, aprire al medico o agli infermieri che vengono a medicare le mie piaghe da decubito etc) ma resta insostituibile quando mi devo recare in ospedale (almeno sette volte quest’anno). E ci sono stati giorni neri, lo dico a lei perché è una persona intelligente e capirà, che gli ho chiesto di non lasciarmi sola.

Sapere che adesso rischia la bocciatura per causa mia mi addolora. Ne aveva ovviamente parlato con gli insegnanti ma si vede che non è stato sufficiente. Per questo le chiedo di dare al ragazzo una ulteriore possibilità, magari con delle interrogazioni aggiuntive o nelle forme che preferirà.

Certa della sua comprensione e che lei troverà un modo, rimango a disposizione per qualunque chiarimento.
Con grande stima e rispetto