UNA
GIORNATA AL MARE
Mi piacerebbe lanciare un
sondaggio adatto al periodo estivo: “quanti di noi malatini hanno rinunciato,
anche se a malincuore al mare?”. Dite la verità. Alla spiaggia, gli ombrelloni
e quelle cose lì.
Io sono uno di quelli che ci
avevano messo una pietra sopra. Troppa fatica, troppo caldo, troppa sabbia e
mettiamoci anche la vergogna di farsi vedere in spiaggia così malmesso. Con
l’aggravarsi delle mie condizioni e il ricorrere sempre più spesso alla sedia a
rotelle ormai da anni ci avevo rinunciato. Mi organizzavo in altro modo, manco
mi ricordo l’ultima volta che mi ero tuffato nell’acqua salata.
Era diventato un bel ricordo, uno
dei tanti, come il rumore delle onde prima di addormentarsi.
Ma questo inverno successe un
fatto nuovo: mi fidanzai. E con una ragazza che, pur malata come me, è un noto
trattore e alle cose non vuole rinunciare. Simona, sto parlando di te, dove
sarei adesso non lo so, mi rendo conto che la malattia mi aveva inscatolato.
E invece 1000 telefonate,
prenotare l’albergo adatto, sopralluoghi nel Lido per appurare se è attrezzato,
manovre meticolose, controlli vari. Tutto si può fare se si è in due e c’è la
volontà politica. Come meta avevamo optato per la Liguria che ha una lunga tradizione
di accoglienza. Il Lido prescelto aveva anche una JOB a disposizione dei
clienti disabili (una sorta di sedia a rotelle con le ruotone che riesce a
muoversi pure sulla sabbia).
Sole, mare, sabbia. “Ecco
arrivati, questi sono i vostri lettini e l’ombrellone”. Il rumore dei bambini
che giocavano a palla me l’ero proprio scordato. Che bello ritrovarli. Seduto
sulla sdraio osservavo le ragazze seminude passeggiare davanti a me e pensavo
“son in spiaggia! Sono ancora qui!”.
Lo so che può fare sorridere ma
mi sembrava tutto nuovo. Eppure da ragazzo passavo mesi sotto il sole. Pensavo
che ormai fosse tutto finito.
E sappiamo bene che cento cose
possono andare storte in una giornata del genere. Le elenco a caso: la sabbia
rovente, lo spalmarsi di crema solare più volte perché sei bianco mozzarella, dipendere
dal bagnino per spostarsi, imparare in fretta a usare la JOB, fare pipì nella
bottiglietta in mezzo agli ombrelloni con aria innocente, tuffarsi nell’acqua
fredda del mare. “Vado eh? Mi tuffo mi tuffo!”, e ho scoperto che ho dovuto
reimparare a nuotare e stare a galla.
E nel pomeriggio tornare in
albergo, farsi una doccia, prepararsi per la sera. “Dove andiamo a mangiare?”
(siamo stati fortunati, il ristorantino era ottimo). E tornare cotti
–letteralmente- nella stanza e crollare a letto.
Ma prima di andare a dormire mi
sono trascinato sino alla finestra della camera per vedere il porto di notte.
Che pace, che silenzio. Grazie,
amore mio che dormi.
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