Visualizzazioni totali

sabato 30 maggio 2020

IL TEST PSICOLOGICO

Conoscendo la mia professione di psicologo, in molti mi hanno lungo gli anni chiesto se gli "facevo un test psicologico" per scandagliare la loro personalità, gratis ovviamente (alzando le mani al cielo: perché, perché non diventerò mai ricco?).

E' successo anche recentemente. Galvanizzati dal successo di test come "Che tipo di verdura sei?" che spopolano su Facebook, si rivolgono al sottoscritto pensando che tenga nascoste formule arcane e misteriose e che sia disposto a rivelarle per un bacetto.

Inutile che faccia presente come i test sono lunghi, complessi e costosi. Niente, imperterriti continuano a chiedermi test psicologi. Uffa, mi son arreso. Chi lo desidera di voi può fare allora questo semplice ma serio test. Occorre solo un foglio e una penna.

In cima al foglio scrivete IO CHI SONO?, poi sotto scrivete la vostra prima risposta. Quando avete finito, punto a capo.
Scrivete ora una seconda risposta ma diversa dalla prima.
Poi una terza, una quarta... scrivete quello che volete, dalla lunghezza che volete. L'unica regola è che la risposta deve essere sempre diversa.

Date 20 risposte almeno, tutte diverse. Noterete che le prime saranno convenzionali e controllate (Io sono nome e cognome figlio di etc abito lavoro etc). Poi inizierete a dare risposte strane.

Alla fine leggete quello che avete scritto, prendete il foglio e bruciatelo .
Se volete ne parliamo ma escono cose molto intime e personali. È un viaggio dentro se stessi, una volta all'anno si può fare.

Post Scriptum: dopo che propongo questo test noto sempre una cosa. Che ognuno, con una scusa o con l'altra, si ritrae. Non lo fa mai NESSUNO. Tutti capiscono che per quanto semplice è un test serio e va più in profondità del solito, quindi fanno un passo indietro.
Post Scriptum 2: ognuno è geloso della sua vera privacy. E questo per me è un bene. In questo mondo villano l'intimità è ancora un valore.
Post Scriptum 3: il mondo non ha bisogno di Psicologi, ma di essere più felice, sempre però nella convinzione di arrangiarsi da solo.




DEAD FAWN

Avendo preso oggi la tipica sbronza triste, stasera mi sono rivisto Dead Man di Jim Jarmush, un film per me importante (ne avevo già parlato).
Ogni volta che mi rivedo questo film ma soprattutto questa scena mi commuovo in silenzio, sento qualcosa di profondo che si agita dentro. Non riesco nemmeno a dirlo.

mercoledì 27 maggio 2020



IL BULLO A SCUOLA
“Aspetta, prima di andare avanti, vorrei dire due parole su quel bullo. Ne sento il bisogno. E’ sin troppo facile in questa scuola vederlo come il grande cattivo.”
“Come mai ti interessa così tanto?”
“Voglio capire, trovare l’origine del male.”
“Non c’è niente da capire e oramai è tardi. E’ stato cacciato e devi accettarlo, ci sono persone nate cattive. Per quel bulletto arrogante era solo questione di tempo.”
“Ti dò ragione al 100% guarda. Però dopo aver sentito tutto, lasciami dire anche il contrario di tutto. Quel ragazzo aveva un cattivo rapporto col padre che...”
“Alt, ancora lì siamo? Al poverino, chissà cosa ha passato. Ho capito cosa vuoi, tu vuoi trovargli delle attenuanti. No mi dispiace, ha sbagliato e paga. Una volta tanto che abbiamo un colpevole sicuro lo lasciamo impunito?"
“No, io questo lo accetto. Lo ripeto, sto solo cercando di capire. Facciamo una simulazione, dammi questa soddisfazione. Chiamiamola “come creare un ribelle”. Una sorta di videogame. Non partiamo da lui, ma dalla famiglia, dal padre. Avrà avuto una importanza formativa su di lui, no? Cosa sappiamo?”
“Va bene, giochiamo. In città il padre è un noto professionista. Al bullo non era mancato nulla nella vita. Viveva in mezzo agli agi, con le meglio opportunità e un futuro spianato.”
“E il ragazzo era d’accordo sul suo futuro?”
“Cosa fai, mi prendi in giro? Viviamo in una società dove se un figlio fa lo stesso lavoro del padre è considerato un pappamolla, uno zerbinotto. Ma il ragazzo poteva scegliere, era libero, suo padre non era così scemo.”
“Sempre però con la spada di Damocle sopra la testa, la pressione di dover essere il migliore.”
“Di questo dobbiamo fare una colpa alla famiglia? Se ragioniamo in questo modo nessuno è più responsabile. No, non ci sto.”
“Sta di fatto che il ragazzo si ribellò a questa pressione. Imparò presto che “andare male a scuola” era la cosa che più dispiaceva al padre e si applicava con puntiglio.”
“Deficiente. Ho visto il suo fascicolo, usava la sua intelligenza per escogitare nuovi guai. E’ stato un trattore nell’autodistruzione, ha accumulato 170 giorni di assenze ingiustificate su 200. Altro che bocciatura, un calcio in culo e sbatterlo fuori subito. Quelli sono pesi che rallentano tutti.”
“Dolorosa e vecchia storia questa, cosa fare con un figlio così. Lasciarlo libero? Insistere? Tenere duro? Provare delle alternative? Ogni padre si interroga nella notte e si chiede dove ha sbagliato. Eppure aveva cercato di fare del suo meglio e gli aveva dato tutto quello che era mancato a lui e che da giovane l’aveva umiliato.”
“Continuiamo in questa simulazione, visto che ti diverte. Dove è stato secondo te l’errore con quel bullo?”
“Con certezza non lo sa nessuno ma secondo me mettergli pressione addosso con il senno di poi è stato un grave errore. Gli adolescenti amano la libertà più della vita. Condizioni troppo favorevoli non sono favorevoli agli esseri umani.”
“Come è difficile educare.”


lunedì 25 maggio 2020


QUEL GIORNO CHE IGGY POP MI PARLO’

Era una belva che saltellava urlando, un animale da palcoscenico, un punk quando ancora di punk non si parlava, un drogato ribelle a torso nudo. Insomma, per essere chiari a 17 anni era il mio dio.

Quella sera però, al concerto nel Palalido di Milano, Iggy Pop era palesemente stanco, e chi lo sa perché, forse era a fine tournèe. L’avevo visto due anni prima in una serata di fuoco e ai tempi aveva più energia di una bomba. Ma quella volta no, ripeteva le sue canzoni un po’ svaccato, senza più l’antico guizzo. Vabbè, una serata storta capita a tutti.

Ma dentro anche se stanco era rimasto il solito, che se fregava di tutto. A fine concerto si avvicinò al microfono e iniziò a parlarci dentro. In americano stretto. Non si capiva una mazza. E noi 8000 giovani italioti stavamo ad ascoltarlo deferenti, cercando di capire qualcosa.

Dopo un minuto un brusìo iniziò a diffondersi nel pubblico come un’onda. I più acuti avevano capito cosa stava dicendo. Parolacce. Ci stava insultando! Pesantemente anche. Da solo contro tutto uno stadio, tranquillo come se stesse leggendo un articolo ma inesorabile. “You… fuckin’ bastards… assholes… bitches...” etc.

A poco a poco tutti i ragazzotti iniziarono a rispondergli a tono. Nel giro di pochi secondi tutto il palazzetto era in fiamme. Tutti urlavano la loro rabbia con insulti irriferibili. Io stesso mi lasciai trascinare e gridai parole che ehm non ricordo, ma che di solito non dico :) . 

Gli 8000 facevano a gara a chi urlava di più, il tetto del Palalido non venne giù per miracolo. Era un delirio, per un minuto ho provato la vera follia sciamanica, la tempesta collettiva. Era bellissimo. Quando oggi mi capita di vedere i concerti molto preparati degli idoli dei giovani, li trovo sempre molto diversi.

Imparai allora che non bisogna mai sottovalutare un artista, Iggy aveva raggiunto il suo massimo risultato con il minimo sforzo. Quel figlio di androcchia ci aveva in pugno.





sabato 23 maggio 2020

COSA LA GENTE COMUNE NON CAPISCE SULLE MALATTIE MENTALI?

Ho notato spesso (sono psicologo, sto attento a questi dettagli) che la gente comune non capisce che la cosiddetta "malattia mentale" è una malattia, quindi ha un grado di sofferenza. A volte molto alto.
Le persone mentalmente malate soffrono -a livelli diversi ovvio- e per questo vanno curate. Loro stesse se ne rendono conto e vorrebbero stare meglio, così come una persona fisicamente malata, bloccata a letto o in ospedale, vuole guarire.
Vi assicuro, non è divertente avere incubi tutte le notti, paure immotivate ma fortissime, non saper distinguere tra realtà e fantasia, sentirsi oppressi da un senso di fallimento enorme, vedere le proprie relazioni sociali, lavorative, affettive, addirittura la propria salute rovinate dai propri comportamenti bizzarri. Eccetera eccetera potrei andare avanti a lungo.
Invece circola il mito, molto sciocchino, che le persone mentalmente disturbate quasi si divertano ad essere in questo modo. Libere, folli, disinibite. Ma non è così. Imparate vi prego la differenza tra chi è matto e chi fa il matto, tra chi ha perso la sua serenità e chi invece ci gioca.
Essere mentalmente malati non è bello né piacevole. Chi non ci crede si faccia un giro in un manicomio (hanno cambiato nome ma ci sono ancora). E spessissimo non soffrono solo loro, ma pure i familiari. Quante tragedie.



LA PAURA PIU’ PROFONDA

I neonati ho notato che hanno paura di una cosa, rimanere fermi. Scriveva Chatwin che in fondo è logico, se nella savana sei fermo, indifeso e solo significa diventare presto il pasto di qualcuno. Solo questione di tempo. Presto, qualcuno mi venga a prendere.

E di solito gli adulti cosa fanno quando sentono un infante strillare? Senza pensarci lo tirano su, lo rassicurano e lo cullano. Cantano una ninnananna, portandoselo avanti e indietro nella stanza.
Perché il movimento è vita e questo lo sanno sia adulti che piccini. Vuol dire che non sei solo, che c’è qualcuno che pensa a te e ti difende.

Non siamo nati per stare fermi. Ogni tanto ci può stare ma in generale no, stare fermi immobili non è letteralmente nel nostro DNA. Una quarantena può essere imposta per un po’, poi dopo l’essere umano esplode.
I nostri antenati camminavano tantissimo e portavano con sé i loro piccoli. E il pianto dei neonati diventa una prova che agli inizi dei tempi l’essere umano era nomade, non stanziale.

Ma se un neonato rimane troppo solo allora che succede, continua a strillare? No, accade una cosa strana: si ammutolisce. Ed è comprensibile, così non segnala ai “cattivi” nelle vicinanze, che si aggirano affamati, di essere solo.
In certe nursery e negli orfanotrofi c’è un silenzio tombale, impressionante. Guai se un neonato sveglio e rimasto solo rimane anche zitto. Sta vivendo una paura profonda.

Tirate su i bambini se piangono, non lasciateli fermi, non lasciateli soli. Neanche quando sono adulti, mi verrebbe da dire.

C’è una malattia che conduce all’immobilità, la sclerosi multipla. Non è dolorosa o deformante o mortale, eppure la gente comune è terrorizzata da essa. Come mai, mi sono chiesto?
Per l’immobilità a cui conduce, mi sono risposto. Una immobilità che richiama la paura più profonda, quella a cui non si può resistere. Molti si lasciano andare e non dicono più niente. Aspettano… qualcuno che li venga a prendere. Come è difficile contrastare questo sentimento.



MORE THAN A PICTURE THAT MEETS THE EYE
In questa foto, scattata proprio oggi (22.5.2020) in una trattoria di Milano, quattro giovani dentro salutano gioiosi.
Sono facce note nel quartiere, la “vecchia guardia” piena di esperienza e ricca di storie. Se i loro cuori parlassero racconterebbero avventure ai bordi della vita, tanto che a fine giornata io ero esausto.
Un Ambrogino d’oro a chi le riconosce tutte.  


mercoledì 20 maggio 2020

IN SELLA LA VITA E' PIU BELLA
In moto, sulla bicicletta, sui pattini, in macchina, sul trattore ma anche io sono andato alla conquista! Oggi il mio quartiere, domani il mondo.
Ma dove andavo? Non ha importanza, dove va il sole ma si parte. Beccatevi questa foto!
(nella foto io in Sardegna a 24 anni)


lunedì 18 maggio 2020

MI SONO FATTO UN REGALO
Oggi, giorno del mio 19° compleanno, mi sono fatto un regalo: sono andato in Pecorini 8/H a trovare mio padre, che causa pandemie e cattiva salute non vedevo da mesi.
E' strano, più passano gli anni, più non mi interessano i regali costosi ma le persone, il tempo, l'amore. L'amore è il vero regalo universale.
In va eccezionale, viste le mie difficoltà motorie, il Custode ha concesso il permesso di entrare con la macchina nei vialetti e davanti alle scale..
Stamattina il Forlanini splendeva, raramente l'ho visto così bello. Era una mattinata di maggio come ci sono nei film. E davanti al portone non poteva mancare la foto.

venerdì 15 maggio 2020

“SIGNORINA!”
Bei tempi allora quando ero giovane e avevo tutti i capelli, mica la coccia pelata che ho adesso.
Li portavo belli lunghi e lasciavo sventolare libera la mia bandiera. Erano gli anni ‘70, l’era dei “capelloni”, dei barboni da Che Guevara, il pelo incolto e ribelle.
Adesso non ci son più? Finché li ho avuti me li son goduti.
C’era un unico problema e accadeva la sera, quando salivo sulla affollatissima 45, la tuella che mi riportava a casa e mi districavo tra porc e putt pur di potere scendere alla fermata giusta, usando il mio zaino come un trattore apripista.
Ero io, il feroce capellone che tra Permesso, Scusi, Devo scendere mi facevo largo in quella bolgia. Altro che Distanziamento Sociale, ahahahah, allora eravamo tutti all’ammasso e il Forlanini era scuola di vita.
Oppure capitava che mi lasciassi cullare come una ameba in quella grande medusa fluttuante di corpi. E spesso capitava alle mie spalle che qualcuno, ingannato dai miei lunghi capelli, mi dicesse “Signorina, mi fa passare?”. Mi voltavo con sguardo truce e quello, portandosi la mano alla bocca, sussurrava “oh, scusi!”.
Non ho mai capito se dicevano la verità o mi prendevano per il culo.
(nell'immagine, la foto della mia prima carta di identità, il Tartaro a 16 anni)


giovedì 14 maggio 2020

70 GIORNI

Dopo una quarantena di 70 giorni oggi ho varcato il portone di casa mia. Finalmente riprendo possesso della mia città e di una vita normale.
Mi sono dovuto preparare accuratamente PRIMA di uscire: guanti, mascherina, autocertificazione e documenti a posto, non so cosa mi aspettava. A leggere i resoconti sembra che ci siano in giro orde di poliziotti dal controllo sospettoso e la multa facile.

E’ una bella giornata. La prima sorpresa è stata rivedere la mia macchina: la fedele Athos era sporchissima! Sembrava una di quelle vetture abbandonate nei depositi. Amore niente paura, è tornato papà. E vai di straccio. Accensione e batteria? Regolare, ogni tanto in questi mesi andava un amico a fare vrum vrum per dieci minuti.

La seconda sorpresa è stato vedere che, malgrado tutto, ancora c’è la fila per entrare al Supermercato. Certo, molto ridotta rispetto alle code smisurate di aprile ma ancora c’è. Non capisco, in teoria limitazioni per fare la spesa non ce ne sono più.

Terza sorpresa: tutte le persone che vedo per strada portano la mascherina. Tutte. Sembrava di attraversare un grande ospedale.

Quarto: il traffico. Questo mi ha stupito molto. Tutti pacifici, rispettosi e calmi. Non c’era più lo strombazzo cattivo che a Milano c’è di sottofondo da quando son nato. Erano le strade semideserte e placide di agosto o luglio. Anche perché la maggior parte dei negozi sono chiusi.

Quinto: entrando in un edificio mi han misurato la febbre con un aggeggino puntato alla fronte. Ci hanno messo un secondo (36.4). Grazie, prego.

Sesto: ogni persona che parlava con me lo faceva ad almeno tre metri di distanza. Se mi avvicinavo si allontanavano. In genere, stavano tutti ben distanziati l’uno dall’altro, ognuno dentro la sua bolla di forza invisibile che respingeva il contatto altrui. Dopo essere stato sulla mia isola deserta per 70 giorni noto che la gente adesso ha comportamenti che non aveva prima. Chissà quando ritornerà il piacere del contatto umano, per ora va così.

Settimo: tornando a casa sentivo dentro di me una gran gioia, non sapevo definirla bene ma era vivissima. Non pensavo, ero molto molto contento e sorridevo. Che bello vivere nel mondo. Ed ero semplicemente uscito da casa mia.