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sabato 1 agosto 2015

IL DOLORE SEGRETO
 (Colonna sonora: Slow water di Peter Gabriel)

Camminando fuori dai soliti sentieri intravidi una apertura nella montagna. Incuriosita, decisi di entrare. Levati i rami che la nascondevano, risultò una grotta, piuttosto grande. Prima di compiere il passo decisivo mi guardai dentro: timorosa ma risoluta, queste situazioni stimolano la piccola esploratrice che è dentro di me.
Gettai un sasso nell’oscurità e lanciai un grido di avvertimento. Nessuna reazione. La grotta sembrava disabitata, completamente scura e silenziosa. Percepivo all'interno un odore umido. Entrando, i miei occhi si abituarono all’oscurità ma…in fondo alla grotta, che in teoria doveva essere nera, distinguevo un chiarore. Possibile? Un riflesso? Una illusione?
Accesi la torcia del  telefonino e avanzai lentamente, per non inciampare in qualche sasso per terra. La luce in fondo era diventata più intensa e anche un odore acre purtroppo, tanto penetrante che mi tenevo un fazzoletto sul naso.
Forse una bestia selvatica morta? Era dalla carcassa che veniva quel tanfo?  Però sentivo dei gemiti indiscutibilmente umani. C'era qualcuno lì in fondo che stava soffrendo. Dovevo andare ad aiutarlo. Continuai a camminare tenendo il telefonino davanti a me e con l'altra tenevo il fazzoletto. Abbassai la testa, sempre più bassa per non urtare con i capelli contro il soffitto, che non vedevo ma percepivo vicino.
Quando arrivai alla fine del cunicolo c'era una curva, e dopo la grotta si apriva, si allargava, ora c'era spazio anche per alzare la testa.
Entrai in una sorta di stanza dalle pareti di pietra, illuminata dalla luce di una candela. Ciò che vidi lì dentro mi lasciò senza fiato.
Vidi un cavallo e sopra un cavaliere, immobile e nudo. Non c'era altro nella stanza, ma poi guardai meglio e mi accorsi che cavallo e cavaliere erano una cosa sola. Una cosa sola? Possibile? Era un... un centauro, con i capelli ricci e la barba, come quelli che vedevo da bambina nei libri. Non si muoveva, teneva gli occhi chiusi e intanto gemeva, le braccia abbandonate sui fianchi. Ero talmente sconvolta dalla visione che mi lasciai scappare un grido di sorpresa. Lui aprì gli occhi e mi vide.
Smise di lamentarsi e con voce bassa chiese "Chi sei?"
"Giulia."
"Giulia, mi hai portato le medicine?"
C'era un fetore insopportabile. Scossi la testa per dire no. Il centauro si accorse che mi coprivo bocca e naso col fazzoletto. Mi venne anche un conato di vomito, forse per la tensione, non saprei dirlo. Lui intuii il motivo e se ne dispiacque. Sospirò.
"Scusa, non mi ero accorto che l'odore della ferita potesse essere così rivoltante. Io ne sento solo il dolore. Usciamo fuori all'aria aperta che è meglio. Vai avanti tu, indicami la strada per favore. Conosci la via per uscire?"
Feci segno di sì con la testa e mi voltai subito per tornare indietro. Mentre mi giravo vidi che all'altezza di un ginocchio aveva una brutta ferita purulenta, da cui emanava il cattivo odore.
Andando verso il biancore dell'uscita mi imposi di non mettermi a correre, anche se ne sentivo una voglia matta. Ma avevo una paura terribile. Rischiavo di inciampare e cadere, o sbattere contro qualcosa di duro e tagliente e non volevo assolutamente ferirmi. Sentivo gli zoccoli della bestia dietro di me che mi seguiva ed ero troppo terrorizzata per fermarmi. L'uscita distava solo pochi metri, mi parvero lunghissimi.
Uscii all'aria fresca -veramente era fresca, quel giorno stava per nevicare- e respirai a pieni polmoni. Dopo pochi secondi, scostando i rami con le braccia, uscì dalla grotta e apparve zoppicante il centauro. Diede una lunga occhiata in giro.
"E' tutto cambiato qui", poi mi guardò.
Alla luce del sole mi accorsi che tutto sommato non era molto alto. Ci guardammo a vicenda e ci studiammo, forse lui era stupito quanto me dal vedermi. Il primo sguardo, che mondo affascinante.
"Sei giovane -mi disse-. Che stravaganti vestiti hai."
Un centauro, non credevo ai miei occhi. Ma allora esistono veramente. Ebbi modo di guardarlo bene, la sua figura si stagliava contro lo sfondo verde marrone della montagna. Il suo manto era pezzato, bianco con macchie nere. Stranamente fu ciò che all'inizio mi colpì di più, non so perché ma avevo sempre immaginato i centauri scuri. Invece così il pelo bianco del corpo di cavallo si confondeva con quello del tronco umano. Portava la barba folta e aveva gli occhi neri. Il suo sguardo non era cattivo e la paura mi passò. Era nudo, provai pietà per lui, doveva sentire molto freddo con quel tempaccio.
Lo so che può sembrare strano, e se ci penso mi dico che potevo usare tante altre parole migliori per presentarmi, ma mi uscì questo dalla bocca
"Se hai freddo ti posso prestare la mia giacca". Di solito sono le donne a sentirselo dire (di solito, ma questi sono tempi villani).
"No ti ringrazio, sono abituato a non portare vestiti -rispose garbato; il tono era molto cortese, quasi timoroso; poi prese coraggio e mi chiese-. Per favore Giulia, se ho capito bene il tuo nome, mi accompagneresti nella casa di medicina più vicina a prendere delle bende?"
"Certo, come vuoi. Penso che tu intenda una farmacia. Volentieri."
"Sei una cara fanciulla. Vedrò di ricompensarti un giorno. Dimmi solo da che parte dobbiamo andare. Scusami se non ti porto sul dorso, ma non riuscirei a reggerti. Mi hanno ferito tempo fa con una freccia avvelenata, e la gamba fatica a guarire. Anzi... ti chiederei un ulteriore piccolo favore se non è scortesia"
"Dimmi."
"Non camminare troppo in fretta, questa gamba mi tormenta. E'... è molto lontana questa... farmacia?"
"No, è proprio subito dopo l'uscita del parco. Andiamo!"
Io che parlavo con un centauro vero. Era la vita reale, era un sogno? Se era un sogno non ho mai fatto un sogno più freddo in vita mia. In giro non c'era nessuno che potesse vedere quella strana coppia, una donna e un centauro che camminavano lenti fianco a fianco. Se però devo essere sincera in quei momenti non pensavo troppo alla assurdità della situazione. Era capitata, e bisognava viverla. Lui trotterellava zoppicando, ogni volta che lo zoccolo della gamba colpiva la strada emetteva un piccolo gemito.
Ad un certo punto si bloccò. Mi voltai verso di lui, forse non ce la faceva più a camminare per il dolore.
Invece si era fermato a guardare con stupore un albero. "Un tiglio..." mormorava. Arrancando si avvicinò all'albero e prese a toccarlo, sussurrando qualcosa. Vivessi cent'anni non dimenticherò mai quella scena, un centauro che accarezzava in silenzio e con riconoscenza un grande tiglio immobile.
Anche perché non capivo cosa ci fosse di speciale. Non sono una grande esperta di piante, ma quell'albero senza foglie per me non aveva proprio nulla di particolare.
Per il centauro invece sembrava un sorta di miracolo. Appoggiò entrambe le mani alla corteccia e chinò il capo, sembrava quasi che stesse pregando. Poi quando rialzò la testa prese con delicatezza dei pezzi di corteccia dal fusto, più in alto possibile, e tenendoli tra le mani me li portò come un dono prezioso.
"Tieni fanciulla, questi sono per te."
Io durante tutto questo ero rimasta stralunata, non sapevo bene cosa fare. "Grazie" risposi, ma francamente non sapevo neanche di cosa lo stavo ringraziando. Mentre prendevo i pezzi di corteccia con le dita gli chiesi che cos'erano. Sopra il più grande c'era una coccinella, che volò via.
"Ho scelto le parti della corteccia più tenere e pulite -la sua voce era calda-. Se le cuoci nell'acqua otterrai un infuso che calmerà tutte le tue paure. E durante la notte i tuoi sogni saranno meravigliosi."
"G...grazie -dissi ancora, riponendole con cura nella mia borsetta di tela-. Non lo sapevo. Ma tu come mai conosci tutte queste cose?"
"Mia madre si chiamava Filira, tiglio nella sua lingua dei suoi padri. E' stata lei ad insegnarmi tutto su questo meraviglioso albero, ad amarlo e rispettarlo. E ogni volta che ne vedo uno penso a lei. "
"Filira? Che strano nome per una donna, non l'avevo mai sentito. Ma era come te un... un..."
Il cosiddetto centauro non rispose subito. Prima si rimise al mio fianco e riprendemmo a camminare piano. Intuivo che stava pensando. Dopo qualche metro mi chiese:
"Mi chiedo come mai hai paura a dire il mio nome. Non mi hai riconosciuto? Lo sai chi sono io e come mi chiamo?"
"No. Non sapevo nemmeno esistessero persone come te."
"Ah, tutto è più chiaro. Capisco adesso. Pensavo di essere in Mesopotamia durante il grande freddo, ma sono più lontano. Io sono Chirone, di mia madre ti ho parlato, ma mio padre non so chi fosse. Tutto ciò che mia madre mi raccontava è che dopo averla presa con forza su una spiaggia si mise a piovere forte, scoppiò un tuono e lui scappò via. Mia madre allora non si accorse di nulla, era troppo sconvolta e tutto era avvenuto troppo rapidamente. Lui non si rivide mai più. Solo nove mesi dopo, quando mi partorì, si accorse che era stata violentata da un centauro. Ne ebbe paura."
"Perché?" (che domande sciocche che fai a volte, Giulia)
"Non lo sai? I centauri sono sempre stati esseri violenti, crudeli, irascibili. Sono capaci di ogni nefandezza e non provano rispetto. Potevo essere un figlio terribile, forse un assassino. Ma lei mi amava così tanto che giurò sui suoi antenati che io sarei stato diverso. E mi allevò con cura, incanalando i miei istinti nella sete di conoscenza. Lei e la nonna erano due guaritrici, che conoscevano il potere benefico di ogni pianta, ogni fiore."
"E' grazie a loro che conosci le piante."
"Sì. Ogni giardino per me è come per voi umani girare in una biblioteca, ogni pianta mi racconta una storia diversa. Ma qui intorno a noi due vedo piante sconosciute. Che pianta è quella?"
"Ehhh non lo so, non ne ho idea."
"Non ne hai idea? -Mi guardò stupito, poi tacque per qualche istante-. Sì, non tutti siamo uguali –riprese a camminare-. Meglio tornare alla mia storia: a 15 anni decisi di andare in cerca di mio padre."
"Perché?"
"Perché era mio padre, naturalmente. E quando mia madre mi parlava di lui mi rendevo conto che, se ero diverso dagli altri ragazzi, se mi stupivo del mio corpo specchiandomi nell'acqua, doveva essere per lui. Quando mia madre Filira morì, nessuno mi tratteneva e decisi che mi sarei recato nella terra dei centauri. Molto lontana. Dovevo lasciare la casa dove ero cresciuto, ma nessun ragazzo di 15 anni libero per la prima volta è veramente triste. Quando finalmente arrivai nella terra dei centauri capitai però nel momento peggiore, durante una festa.”
“Beh, era un bel momento invece.”
“Non sai cosa dici. Ho scoperto subito che i centauri non sopportano il vino. Gli piace, ma quando riescono a procurarselo non si trattengono, lo bevono tutto subito e diventano ancora più selvaggi. Gridano come forsennati e si divertono ad incendiarsi la testa. Ci credi? Girano con i capelli in fiamme gridando come demoni e dandosi dei gran colpi con enormi clave. Pazzi, ero arrivato in un mondo di pazzi."
"Allora te ne sei tornato indietro."
"No, sono rimasto. Capivo che ero diverso e nello stesso tempo simile a loro, l'ho sempre saputo, ma volevo capire, ero curioso. E cercavo sempre mio padre. Il giorno dopo con un unguento ho curato le loro ferite. Ma non mi hanno mai detto grazie, nemmeno uno. Venivano nella mia caverna doloranti ma appena stavano bene saltavano in piedi e scappavano via. Anzi dovevo stare attento che non mi mordessero."
"Ma erano proprio tutti così?"
"Bene o male sì. Trovai un rifugio protetto e ogni giorno venivano da me. Guarivano in fretta, troppo in fretta. Ho capito poi perché, erano immortali. E quindi pure io."
"Veramente anche tu sei immortale?"
"Temo di sì. O forse no. La mia ferita non guarisce, ma neanche si estende. Vedremo cosa succederà, ho paura che soffrirò a lungo. Comunque torniamo ai miei simili: tempo pochi giorni, ti ho detto, e ritornavano come prima. Non invecchiavano mai... ma non maturavano nemmeno. Forse era questa la differenza tra me e loro. A volte mi lanciavo in sfrenate corse con il gruppo, ed era bello. Molto bello. Ma dopo avrei voluto parlare, discutere di qualcosa. E invece niente. Ululando iniziavano un'altra corsa. Insomma, mi stancavo presto e rientravo nella mia grotta, dove almeno mi lasciavano in pace."
"Quindi eri da solo. "
"Oh no, cara amica. In poco tempo la fama che io curavo le piaghe si sparse, non so come. La mattina avevo sempre qualcuno davanti alla caverna. Contadini, viaggiatori, nobili, bambini. Io per tutti avevo, se non proprio un rimedio, almeno una buona parola. Ho visto gente molto sofferente, che aveva compiuto un lungo viaggio per venire da me, e sentivo che dovevo far qualcosa per loro. Si erano addentrati in quella terra pericolosa, dove una bastonata era sempre in agguato. Ho curato anche Achille, sai?"
"...Chi?"
"Era un guerriero molto valoroso, il più famoso di tutti... ai miei tempi. A poco a poco la folla però diminuì, e alla fine non venne più nessuno. Che dolore. Mi avevano ferito e un guaritore che non riesce a guarire non ispira molta fiducia, mi rendo conto. Guarda, vedo una scena insolita, un uomo portato a spasso da un cane."
Mi indicò un anziano che teneva un cane al guinzaglio.
"No, è l'uomo che accompagna il cane e lo guida. Lo sta portando a fare un giro nel parco. Sai, da noi si usa così."
Mi voltai verso il centauro e vidi che mentre parlavo mi osservava assorto.
"Da molto tempo -disse- qualcuno non veniva a trovarmi. Eppure tu sei venuta da me, come mai?"
"Non lo so, forse un caso..."
"No, non un caso. Tu mi cercavi, tu stai soffrendo. Ma visto che all'apparenza tu sembri stare bene, forse tu hai un dolore segreto. Forse vuoi guarire ma non sai come. Puoi dirmelo, io conosco le piante più adatte."
"Io?"
"Sì. Lo tieni segreto, ma qualcosa a ben guardare dal tuo volto trapela. C'è qualcosa di insolito. Qual è il tuo dolore segreto?"
"Io... forse sì... sì. In effetti c’è qualcosa, ma non ne ho mai parlato con nessuno… (tocca a te, lettrice)
...................................................................................................."
A quel punto, senza rumore, mentre gli stavo parlando cominciò a nevicare. Grandi fiocchi che appena cadevano per terra si scioglievano. Il centauro appena se ne accorse mi fermò con la mano.
"Guarda, stanno cadendo delle piume dal cielo."

"E' neve, tra poco qui sarà tutto bianco."

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