IL DOLORE SEGRETO
(Colonna sonora: Slow water di Peter Gabriel)
Camminando
fuori dai soliti sentieri intravidi una apertura nella montagna. Incuriosita, decisi
di entrare. Levati i rami che la nascondevano, risultò una grotta, piuttosto
grande. Prima di compiere il passo decisivo mi guardai dentro: timorosa ma
risoluta, queste situazioni stimolano la piccola esploratrice che è dentro di
me.
Gettai un
sasso nell’oscurità e lanciai un grido di avvertimento. Nessuna reazione. La
grotta sembrava disabitata, completamente scura e silenziosa. Percepivo
all'interno un odore umido. Entrando, i miei occhi si abituarono all’oscurità
ma…in fondo alla grotta, che in teoria doveva essere nera, distinguevo un
chiarore. Possibile? Un riflesso? Una illusione?
Accesi la
torcia del telefonino e avanzai
lentamente, per non inciampare in qualche sasso per terra. La luce in fondo era
diventata più intensa e anche un odore acre purtroppo, tanto penetrante che mi
tenevo un fazzoletto sul naso.
Forse una
bestia selvatica morta? Era dalla carcassa che veniva quel tanfo? Però sentivo dei gemiti indiscutibilmente
umani. C'era qualcuno lì in fondo che stava soffrendo. Dovevo andare ad
aiutarlo. Continuai a camminare tenendo il telefonino davanti a me e con
l'altra tenevo il fazzoletto. Abbassai la testa, sempre più bassa per non
urtare con i capelli contro il soffitto, che non vedevo ma percepivo vicino.
Quando
arrivai alla fine del cunicolo c'era una curva, e dopo la grotta si apriva, si
allargava, ora c'era spazio anche per alzare la testa.
Entrai in
una sorta di stanza dalle pareti di pietra, illuminata dalla luce di una
candela. Ciò che vidi lì dentro mi lasciò senza fiato.
Vidi un
cavallo e sopra un cavaliere, immobile e nudo. Non c'era altro nella stanza, ma
poi guardai meglio e mi accorsi che cavallo e cavaliere erano una cosa sola.
Una cosa sola? Possibile? Era un... un centauro, con i capelli ricci e la
barba, come quelli che vedevo da bambina nei libri. Non si muoveva, teneva gli
occhi chiusi e intanto gemeva, le braccia abbandonate sui fianchi. Ero talmente
sconvolta dalla visione che mi lasciai scappare un grido di sorpresa. Lui aprì
gli occhi e mi vide.
Smise di
lamentarsi e con voce bassa chiese "Chi sei?"
"Giulia."
"Giulia,
mi hai portato le medicine?"
C'era un
fetore insopportabile. Scossi la testa per dire no. Il centauro si accorse che
mi coprivo bocca e naso col fazzoletto. Mi venne anche un conato di vomito,
forse per la tensione, non saprei dirlo. Lui intuii il motivo e se ne
dispiacque. Sospirò.
"Scusa,
non mi ero accorto che l'odore della ferita potesse essere così rivoltante. Io
ne sento solo il dolore. Usciamo fuori all'aria aperta che è meglio. Vai avanti
tu, indicami la strada per favore. Conosci la via per uscire?"
Feci segno
di sì con la testa e mi voltai subito per tornare indietro. Mentre mi giravo
vidi che all'altezza di un ginocchio aveva una brutta ferita purulenta, da cui
emanava il cattivo odore.
Andando
verso il biancore dell'uscita mi imposi di non mettermi a correre, anche se ne
sentivo una voglia matta. Ma avevo una paura terribile. Rischiavo di inciampare
e cadere, o sbattere contro qualcosa di duro e tagliente e non volevo
assolutamente ferirmi. Sentivo gli zoccoli della bestia dietro di me che mi
seguiva ed ero troppo terrorizzata per fermarmi. L'uscita distava solo pochi
metri, mi parvero lunghissimi.
Uscii
all'aria fresca -veramente era fresca, quel giorno stava per nevicare- e
respirai a pieni polmoni. Dopo pochi secondi, scostando i rami con le braccia,
uscì dalla grotta e apparve zoppicante il centauro. Diede una lunga occhiata in
giro.
"E'
tutto cambiato qui", poi mi guardò.
Alla luce
del sole mi accorsi che tutto sommato non era molto alto. Ci guardammo a
vicenda e ci studiammo, forse lui era stupito quanto me dal vedermi. Il primo
sguardo, che mondo affascinante.
"Sei
giovane -mi disse-. Che stravaganti vestiti hai."
Un centauro,
non credevo ai miei occhi. Ma allora esistono veramente. Ebbi modo di guardarlo
bene, la sua figura si stagliava contro lo sfondo verde marrone della montagna.
Il suo manto era pezzato, bianco con macchie nere. Stranamente fu ciò che
all'inizio mi colpì di più, non so perché ma avevo sempre immaginato i centauri
scuri. Invece così il pelo bianco del corpo di cavallo si confondeva con quello
del tronco umano. Portava la barba folta e aveva gli occhi neri. Il suo sguardo
non era cattivo e la paura mi passò. Era nudo, provai pietà per lui, doveva
sentire molto freddo con quel tempaccio.
Lo so che
può sembrare strano, e se ci penso mi dico che potevo usare tante altre parole
migliori per presentarmi, ma mi uscì questo dalla bocca
"Se hai
freddo ti posso prestare la mia giacca". Di solito sono le donne a
sentirselo dire (di solito, ma questi sono tempi villani).
"No ti
ringrazio, sono abituato a non portare vestiti -rispose garbato; il tono era
molto cortese, quasi timoroso; poi prese coraggio e mi chiese-. Per favore
Giulia, se ho capito bene il tuo nome, mi accompagneresti nella casa di
medicina più vicina a prendere delle bende?"
"Certo,
come vuoi. Penso che tu intenda una farmacia. Volentieri."
"Sei
una cara fanciulla. Vedrò di ricompensarti un giorno. Dimmi solo da che parte
dobbiamo andare. Scusami se non ti porto sul dorso, ma non riuscirei a
reggerti. Mi hanno ferito tempo fa con una freccia avvelenata, e la gamba
fatica a guarire. Anzi... ti chiederei un ulteriore piccolo favore se non è
scortesia"
"Dimmi."
"Non
camminare troppo in fretta, questa gamba mi tormenta. E'... è molto lontana
questa... farmacia?"
"No, è
proprio subito dopo l'uscita del parco. Andiamo!"
Io che
parlavo con un centauro vero. Era la vita reale, era un sogno? Se era un sogno
non ho mai fatto un sogno più freddo in vita mia. In giro non c'era nessuno che
potesse vedere quella strana coppia, una donna e un centauro che camminavano
lenti fianco a fianco. Se però devo essere sincera in quei momenti non pensavo
troppo alla assurdità della situazione. Era capitata, e bisognava viverla. Lui
trotterellava zoppicando, ogni volta che lo zoccolo della gamba colpiva la
strada emetteva un piccolo gemito.
Ad un certo
punto si bloccò. Mi voltai verso di lui, forse non ce la faceva più a camminare
per il dolore.
Invece si
era fermato a guardare con stupore un albero. "Un tiglio..."
mormorava. Arrancando si avvicinò all'albero e prese a toccarlo, sussurrando
qualcosa. Vivessi cent'anni non dimenticherò mai quella scena, un centauro che
accarezzava in silenzio e con riconoscenza un grande tiglio immobile.
Anche perché
non capivo cosa ci fosse di speciale. Non sono una grande esperta di piante, ma
quell'albero senza foglie per me non aveva proprio nulla di particolare.
Per il
centauro invece sembrava un sorta di miracolo. Appoggiò entrambe le mani alla
corteccia e chinò il capo, sembrava quasi che stesse pregando. Poi quando
rialzò la testa prese con delicatezza dei pezzi di corteccia dal fusto, più in
alto possibile, e tenendoli tra le mani me li portò come un dono prezioso.
"Tieni
fanciulla, questi sono per te."
Io durante
tutto questo ero rimasta stralunata, non sapevo bene cosa fare.
"Grazie" risposi, ma francamente non sapevo neanche di cosa lo stavo
ringraziando. Mentre prendevo i pezzi di corteccia con le dita gli chiesi che cos'erano.
Sopra il più grande c'era una coccinella, che volò via.
"Ho
scelto le parti della corteccia più tenere e pulite -la sua voce era calda-. Se
le cuoci nell'acqua otterrai un infuso che calmerà tutte le tue paure. E
durante la notte i tuoi sogni saranno meravigliosi."
"G...grazie
-dissi ancora, riponendole con cura nella mia borsetta di tela-. Non lo sapevo.
Ma tu come mai conosci tutte queste cose?"
"Mia
madre si chiamava Filira, tiglio nella sua lingua dei suoi padri. E' stata lei
ad insegnarmi tutto su questo meraviglioso albero, ad amarlo e rispettarlo. E
ogni volta che ne vedo uno penso a lei. "
"Filira?
Che strano nome per una donna, non l'avevo mai sentito. Ma era come te un...
un..."
Il
cosiddetto centauro non rispose subito. Prima si rimise al mio fianco e
riprendemmo a camminare piano. Intuivo che stava pensando. Dopo qualche metro
mi chiese:
"Mi
chiedo come mai hai paura a dire il mio nome. Non mi hai riconosciuto? Lo sai
chi sono io e come mi chiamo?"
"No.
Non sapevo nemmeno esistessero persone come te."
"Ah,
tutto è più chiaro. Capisco adesso. Pensavo di essere in Mesopotamia durante il
grande freddo, ma sono più lontano. Io sono Chirone, di mia madre ti ho
parlato, ma mio padre non so chi fosse. Tutto ciò che mia madre mi raccontava è
che dopo averla presa con forza su una spiaggia si mise a piovere forte,
scoppiò un tuono e lui scappò via. Mia madre allora non si accorse di nulla,
era troppo sconvolta e tutto era avvenuto troppo rapidamente. Lui non si rivide
mai più. Solo nove mesi dopo, quando mi partorì, si accorse che era stata
violentata da un centauro. Ne ebbe paura."
"Perché?"
(che domande sciocche che fai a volte, Giulia)
"Non lo
sai? I centauri sono sempre stati esseri violenti, crudeli, irascibili. Sono
capaci di ogni nefandezza e non provano rispetto. Potevo essere un figlio
terribile, forse un assassino. Ma lei mi amava così tanto che giurò sui suoi
antenati che io sarei stato diverso. E mi allevò con cura, incanalando i miei
istinti nella sete di conoscenza. Lei e la nonna erano due guaritrici, che
conoscevano il potere benefico di ogni pianta, ogni fiore."
"E'
grazie a loro che conosci le piante."
"Sì.
Ogni giardino per me è come per voi umani girare in una biblioteca, ogni pianta
mi racconta una storia diversa. Ma qui intorno a noi due vedo piante
sconosciute. Che pianta è quella?"
"Ehhh
non lo so, non ne ho idea."
"Non ne
hai idea? -Mi guardò stupito, poi tacque per qualche istante-. Sì, non tutti
siamo uguali –riprese a camminare-. Meglio tornare alla mia storia: a 15 anni
decisi di andare in cerca di mio padre."
"Perché?"
"Perché
era mio padre, naturalmente. E quando mia madre mi parlava di lui mi rendevo
conto che, se ero diverso dagli altri ragazzi, se mi stupivo del mio corpo
specchiandomi nell'acqua, doveva essere per lui. Quando mia madre Filira morì,
nessuno mi tratteneva e decisi che mi sarei recato nella terra dei centauri.
Molto lontana. Dovevo lasciare la casa dove ero cresciuto, ma nessun ragazzo di
15 anni libero per la prima volta è veramente triste. Quando finalmente arrivai
nella terra dei centauri capitai però nel momento peggiore, durante una festa.”
“Beh, era un
bel momento invece.”
“Non sai
cosa dici. Ho scoperto subito che i centauri non sopportano il vino. Gli piace,
ma quando riescono a procurarselo non si trattengono, lo bevono tutto subito e
diventano ancora più selvaggi. Gridano come forsennati e si divertono ad
incendiarsi la testa. Ci credi? Girano con i capelli in fiamme gridando come demoni
e dandosi dei gran colpi con enormi clave. Pazzi, ero arrivato in un mondo di
pazzi."
"Allora
te ne sei tornato indietro."
"No,
sono rimasto. Capivo che ero diverso e nello stesso tempo simile a loro, l'ho
sempre saputo, ma volevo capire, ero curioso. E cercavo sempre mio padre. Il
giorno dopo con un unguento ho curato le loro ferite. Ma non mi hanno mai detto
grazie, nemmeno uno. Venivano nella mia caverna doloranti ma appena stavano
bene saltavano in piedi e scappavano via. Anzi dovevo stare attento che non mi
mordessero."
"Ma
erano proprio tutti così?"
"Bene o
male sì. Trovai un rifugio protetto e ogni giorno venivano da me. Guarivano in
fretta, troppo in fretta. Ho capito poi perché, erano immortali. E quindi pure
io."
"Veramente
anche tu sei immortale?"
"Temo
di sì. O forse no. La mia ferita non guarisce, ma neanche si estende. Vedremo
cosa succederà, ho paura che soffrirò a lungo. Comunque torniamo ai miei
simili: tempo pochi giorni, ti ho detto, e ritornavano come prima. Non
invecchiavano mai... ma non maturavano nemmeno. Forse era questa la differenza
tra me e loro. A volte mi lanciavo in sfrenate corse con il gruppo, ed era
bello. Molto bello. Ma dopo avrei voluto parlare, discutere di qualcosa. E
invece niente. Ululando iniziavano un'altra corsa. Insomma, mi stancavo presto
e rientravo nella mia grotta, dove almeno mi lasciavano in pace."
"Quindi
eri da solo. "
"Oh no,
cara amica. In poco tempo la fama che io curavo le piaghe si sparse, non so
come. La mattina avevo sempre qualcuno davanti alla caverna. Contadini,
viaggiatori, nobili, bambini. Io per tutti avevo, se non proprio un rimedio,
almeno una buona parola. Ho visto gente molto sofferente, che aveva compiuto un
lungo viaggio per venire da me, e sentivo che dovevo far qualcosa per loro. Si
erano addentrati in quella terra pericolosa, dove una bastonata era sempre in
agguato. Ho curato anche Achille, sai?"
"...Chi?"
"Era un
guerriero molto valoroso, il più famoso di tutti... ai miei tempi. A poco a
poco la folla però diminuì, e alla fine non venne più nessuno. Che dolore. Mi
avevano ferito e un guaritore che non riesce a guarire non ispira molta
fiducia, mi rendo conto. Guarda, vedo una scena insolita, un uomo portato a
spasso da un cane."
Mi indicò un
anziano che teneva un cane al guinzaglio.
"No, è
l'uomo che accompagna il cane e lo guida. Lo sta portando a fare un giro nel
parco. Sai, da noi si usa così."
Mi voltai
verso il centauro e vidi che mentre parlavo mi osservava assorto.
"Da
molto tempo -disse- qualcuno non veniva a trovarmi. Eppure tu sei venuta da me,
come mai?"
"Non lo
so, forse un caso..."
"No,
non un caso. Tu mi cercavi, tu stai soffrendo. Ma visto che all'apparenza tu
sembri stare bene, forse tu hai un dolore segreto. Forse vuoi guarire ma non
sai come. Puoi dirmelo, io conosco le piante più adatte."
"Io?"
"Sì. Lo
tieni segreto, ma qualcosa a ben guardare dal tuo volto trapela. C'è qualcosa
di insolito. Qual è il tuo dolore segreto?"
"Io...
forse sì... sì. In effetti c’è qualcosa, ma non ne ho mai parlato con nessuno…
(tocca a te, lettrice)
...................................................................................................."
A quel
punto, senza rumore, mentre gli stavo parlando cominciò a nevicare. Grandi
fiocchi che appena cadevano per terra si scioglievano. Il centauro appena se ne
accorse mi fermò con la mano.
"Guarda,
stanno cadendo delle piume dal cielo."
"E'
neve, tra poco qui sarà tutto bianco."
Nessun commento:
Posta un commento