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martedì 7 luglio 2015

L’UOVO PELOSO

“Bambini, venite a vedere cosa vi ho portato!”
“Sì sì, nonno! Arriviamo subito!”
“Arrivo prima io!”
Io e mia sorella corremmo subito in sala dal nonno Franco, che a quei tempi mi sembrava un omone con due mani grandi così. Lavorava come operaio in Svizzera e faceva avanti e indietro ogni settimana dall’Italia, dove aveva lasciato la famiglia. Nei weekend tornava in treno e ci portava sempre delle novità.
Me lo ricordo ancora che arrivava in stazione centrale sorridente con la sua valigia di cartone (sì, quella legata con lo spago!). Durante la settimana poi ho saputo che dormiva nelle baracche per gli “italiener” insieme agli altri. Poveretto, quante ne deve aver passate. Ogni tanto accennava a qualcosa che non capivo.
A quei tempi non conoscevo certo la parola “emigrante”, sapevo solo che ogni tanto mio nonno arrivava dalla Svizzera con qualcosa di nuovo e di buonissimo per noi. Certe cose sul lavoro le avrei imparate dopo. A ripensarci erano le stesse storie che si leggono oggi, solo che all’epoca gli emigranti eravamo noi.

Comunque quel giorno io e mia sorella entrammo in sala correndo e ci avvicinammo curiosi al tavolo. Con il naso arrivavo al bordo di legno, mia sorella è sempre stata più bassa di me e doveva puntare i piedini.
“Ecco bambini, guardate qua!”
In mezzo al grande tavolo, quasi sperso e immobile, mio nonno aveva messo un uovo. Ma un uovo strano, peloso. Proprio brutto. Anche il colore era indefinito, sul marroncino, sembrava fosse andato a male. Io e mia sorella eravamo delusi. Tutto lì? Era quella la sorpresa?
“Ma che cos’è, nonno?”
“E’ una roba che si mangia.”
“Si mangia? Che schifo!”, esclamò mia sorella.
“Bleah”, dissi io. Tra me e me dissi che non avrei mai mangiato quell’uovo crudo e andato a male.
“Ma sì, guardate!”
Mio nonno prese un coltello e tagliò l’uovo a metà. L’interno dell’uovo era tutto colorato di verde coi dei puntini neri.
“Si chiama kiwi, e viene dalle terre lontane. Anche dove lavoro io lo conoscono poco. E’ una primizia, una delizia. E’ un frutto molto buono.”
“Ma si mangia anche la buccia con i peli?”
“No no, solo l’interno. Assaggiate!” Mio nonno con un cucchiaino prese un po’ di polpa e ce lo porse.
Mia sorella si rifugiò dietro di me, io cercai di balbettare qualcosa ma il faccione speranzoso di mio nonno mi esortava.
“Su, apri la bocca. Io ne ho mangiato uno ieri ed era molto buono. Apri la bocca aaaaammm!!”
Sentivo mia sorella dietro di me che mi stringeva la maglietta. Chiudendo gli occhi aprii la bocca e mio nonno infilò dentro il cucchiaino. Inghiottii subito la polpa e mi ricordo che il liquido che mi era rimato sulle labbra aveva un sapore strano, tra l’acido e il dolce.
“Allora com’è? Ti è piaciuto?”
“Nno…sì sì…cioè, non molto.”
“E’ una vera novità –disse mio nonno rimirando il kiwi tra le mani-. Non si sono mai visti in Italia.”
Mia sorella continuava a stare dietro di me. Io non dovevo avere una faccia entusiasta, ero immobile. Temevo… temevo me ne volesse dare ancora.
A quel punto intervenne mia nonna, che qualcosa doveva avere capito.

“Franco, lascia stare. Non vedi che ai bambini non piace?”
Mio nonno era un omone burbero, ma aveva un cuore d’oro e forse si rese conto di avere esagerato ad imporlo. Ogni cosa a suo tempo. “Eh sì, magari questo frutto ha un gusto da grandi, un po’ particolare.”
“Dai Franco, tira fuori la cioccolata, quella piacerà sicuramente ai bambini.”
“Va bene, questo lo teniamo per la prossima volta.”
Mia sorella scattò fuori subito da dietro di me che ero rimasto pietrificato. E’ sempre stata più sveglia e approfittò dell’occasione.
“Sì sì, la cioccolata! Quella alla rosa! Che buona!”
La magia della prima volta. Ne ho mangiati tanti di kiwi in vita mia, ma quella fu la prima. Nonno, caro nonno. Pensavi a noi anche in mezzo alle difficoltà. Non trovo le parole per dirti quanto ti voglio bene. Dopo tanti anni, grazie.




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