L’UOVO PELOSO
“Bambini, venite
a vedere cosa vi ho portato!”
“Sì sì, nonno!
Arriviamo subito!”
“Arrivo prima
io!”
Io e mia sorella
corremmo subito in sala dal nonno Franco, che a quei tempi mi sembrava un omone
con due mani grandi così. Lavorava come operaio in Svizzera e faceva avanti e
indietro ogni settimana dall’Italia, dove aveva lasciato la famiglia. Nei
weekend tornava in treno e ci portava sempre delle novità.
Me lo ricordo
ancora che arrivava in stazione centrale sorridente con la sua valigia di
cartone (sì, quella legata con lo spago!). Durante la settimana poi ho saputo
che dormiva nelle baracche per gli “italiener” insieme agli altri. Poveretto,
quante ne deve aver passate. Ogni tanto accennava a qualcosa che non capivo.
A quei tempi non
conoscevo certo la parola “emigrante”, sapevo solo che ogni tanto mio nonno
arrivava dalla Svizzera con qualcosa di nuovo e di buonissimo per noi. Certe
cose sul lavoro le avrei imparate dopo. A ripensarci erano le stesse storie che
si leggono oggi, solo che all’epoca gli emigranti eravamo noi.
Comunque quel
giorno io e mia sorella entrammo in sala correndo e ci avvicinammo curiosi al
tavolo. Con il naso arrivavo al bordo di legno, mia sorella è sempre stata più
bassa di me e doveva puntare i piedini.
“Ecco bambini,
guardate qua!”
In mezzo al
grande tavolo, quasi sperso e immobile, mio nonno aveva messo un uovo. Ma un
uovo strano, peloso. Proprio brutto. Anche il colore era indefinito, sul
marroncino, sembrava fosse andato a male. Io e mia sorella eravamo delusi.
Tutto lì? Era quella la sorpresa?
“Ma che cos’è,
nonno?”
“E’ una roba che
si mangia.”
“Si mangia? Che
schifo!”, esclamò mia sorella.
“Bleah”, dissi
io. Tra me e me dissi che non avrei mai mangiato quell’uovo crudo e andato a
male.
“Ma sì,
guardate!”
Mio nonno prese
un coltello e tagliò l’uovo a metà. L’interno dell’uovo era tutto colorato di
verde coi dei puntini neri.
“Si chiama kiwi,
e viene dalle terre lontane. Anche dove lavoro io lo conoscono poco. E’ una
primizia, una delizia. E’ un frutto molto buono.”
“Ma si mangia
anche la buccia con i peli?”
“No no, solo
l’interno. Assaggiate!” Mio nonno con un cucchiaino prese un po’ di polpa e ce
lo porse.
Mia sorella si
rifugiò dietro di me, io cercai di balbettare qualcosa ma il faccione
speranzoso di mio nonno mi esortava.
“Su, apri la
bocca. Io ne ho mangiato uno ieri ed era molto buono. Apri la bocca aaaaammm!!”
Sentivo mia
sorella dietro di me che mi stringeva la maglietta. Chiudendo gli occhi aprii
la bocca e mio nonno infilò dentro il cucchiaino. Inghiottii subito la polpa e
mi ricordo che il liquido che mi era rimato sulle labbra aveva un sapore
strano, tra l’acido e il dolce.
“Allora com’è?
Ti è piaciuto?”
“Nno…sì sì…cioè,
non molto.”
“E’ una vera
novità –disse mio nonno rimirando il kiwi tra le mani-. Non si sono mai visti
in Italia.”
Mia sorella
continuava a stare dietro di me. Io non dovevo avere una faccia entusiasta, ero
immobile. Temevo… temevo me ne volesse dare ancora.
A quel punto
intervenne mia nonna, che qualcosa doveva avere capito.
“Franco, lascia
stare. Non vedi che ai bambini non piace?”
Mio nonno era un
omone burbero, ma aveva un cuore d’oro e forse si rese conto di avere esagerato
ad imporlo. Ogni cosa a suo tempo. “Eh sì, magari questo frutto ha un gusto da
grandi, un po’ particolare.”
“Dai Franco,
tira fuori la cioccolata, quella piacerà sicuramente ai bambini.”
“Va bene, questo
lo teniamo per la prossima volta.”
Mia sorella
scattò fuori subito da dietro di me che ero rimasto pietrificato. E’ sempre stata più
sveglia e approfittò dell’occasione.
“Sì sì, la
cioccolata! Quella alla rosa! Che buona!”
La magia della
prima volta. Ne ho mangiati tanti di kiwi in vita mia, ma quella fu la prima. Nonno, caro nonno. Pensavi a noi anche in mezzo alle difficoltà. Non trovo le parole per dirti quanto ti voglio bene. Dopo
tanti anni, grazie.
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