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mercoledì 29 luglio 2015

LE DISTANZE NEI SOGNI NON CONTANO

“Dottore, sono sconvolta da una cosa che mi è successa.”
“Cosa è capitato?!”
“Riguarda una mia compagna di scuola con cui sono cresciuta e ho trascorso insieme la mia adolescenza. Ormai però non la vedevo da tanti anni, ci eravamo perse. Due anni fa l’ho ritrovata su facebook ma abitavamo distanti, così non ci siamo mai incontrate. Sapevo che pochi mesi fa si era sposata e non rispondeva più ai miei messaggi. Però due giorni fa…”
“Si è rifatta viva? L’ha finalmente vista?”
“Di più, l’ho sognata. Conti che ormai la conoscevo solo in foto. Però ho sognato di essere in casa sua, stavamo sistemando degli scatoloni con tutte le sue cose.”
“Un trasloco. Un cambiamento.”
“Io la aiutavo e lei sorrideva come sempre. Ad un certo punto mi ha guardato e ha detto dolcemente “Ricordati di dire a mio marito quanto lo amo e quanto mi ha resa felice”. Poi mi sono svegliata.”
“E questo l’ha sconvolta?”
“No, però avevo una brutta sensazione. Lo sa che a volte sono sensitiva. Ieri mi sono fatta coraggio e le ho telefonato. Ma ho trovato suo marito. Ho chiesto di lei e…e…”
“Oddio.”
“E’ in coma irreversibile da 40 giorni per un aneurisma cerebrale. Nessuna possibilità di risveglio…” (piange)
“Mi dispiace.”
“Oh dottore, perché devo sempre sognare solo le cose brutte? E’ una maledizione. Sono stanca, sento le cose. Chissà se uno psichiatra mi può aiutare.”
“Certo le darebbe qualcosa per non pensare più al lato brutto della vita.”
“Ma io non lo penso, lo sogno. Sono cose e persone che magari non sento da anni e che ritrovo nel sonno. Così mi chiedo come mai. E dopo vengo a sapere fatti inquietanti.”
“Quasi una premonizione, un presentimento.”
“A volte prima di pensare io provo una….una vibrazione. Per favore non rida.”
“Non sto ridendo. L’argomento è serissimo. Chi non teme il soprannaturale è uno sciocco.”
“E’ come quando ero andata dal pranoterapeuta. Sa, io non ci credevo molto, ma appena mi ha toccata ho sentito come un’onda di calore, una scossa che mi ha attraversata dalla testa ai piedi.”
“Potrebbe significare, signora, che lei è molto sensibile alla magia e ai suoi effetti. E magari la stupirà, ma come professionista io ho capito da anni che non serve essere contrario a questi aspetti della vita. Altri le chiamerebbero superstizioni, coincidenze, infantilismi o lo chiamerebbero pomposamente “pensiero magico arcaico”, ma io ho visto che in certi momenti può essere utilissimo. Se un qualcosa fa stare bene la persona perché non usarla? Le assicuro, io sono molto aperto su questo. Come dicono gli americani “basta che funzioni”. Poi magari ci interrogheremo sul perché o sul percosa, intanto stiamo bene. E scommetto che non possono essere solo cose brutte quelle che le accadono.”
“Beh no. Ogni tanto…mi vergogno un po’ a dirlo, ma mi capita di sentire degli accordi di chitarra da stanze vuote, accorro e non c’è nessuno, trovo le cose spostate, suona il campanello ma non c’è anima viva...”
“Come i monacelli napoletani, fantasmini dispettosi. E lei che spiegazione si è data?”
“E’ sicuramente mio padre. Lui era un gran burlone, si divertiva sempre a fare scherzi, dispetti. Ma cosa pensa di me dottore. E’ una cosa seria? Mi devo preoccupare?”
“Per carità signora, lei è preoccupata? Mi sembra che ci convive piuttosto bene.”
“Sì, è da quando avevo 11 anni che ho capito di avere questo dono, chiamiamolo così. Una sera mia sorella è uscita. In casa tutti dormivano ma io ero seduta sul letto e aspettavo la telefonata del Pronto Soccorso. Che poi è arrivata! Mia sorella aveva fatto un incidente, fortunatamente non grave.”
“Se posso dire una mia idea signora, lei ha bisogno di protezione. Essendo sensibile a questi aspetti della vita lei si deve comunque proteggere, altrimenti rischia di ferirsi e farsi male, o avere premonizioni dolorose. Protezione.”
“Sì, è vero. La mia ipersensibilità a volte non va bene.”
“Mi permetta di vegliare sui suoi sogni allora. Come una barriera contro i cattivi pensieri.”
“Speriamo. Si può fare?”
“Certo. Le distanze nei sogni non contano.”

(sorridendo) “Grazie.”


martedì 28 luglio 2015

Penso che sia stato (sinora) il momento più alto della mia carriera. Una conferenza che ho recentemente tenuto davanti ad una platea di magistrati, professionisti, gente molto esperta. Ero stato invitato a dire qualcosa alle “nuove leve” che affiancano i giudici quando prendono le loro decisioni, i cosiddetti “giudici onorari”. La cosa che temevo di più era mia voce, che non avrebbe retto, ma alla fine ce l’ho fatta. Un intervento dal tono volutamente leggero che però è piaciuto, tanto è vero che è stato ristampato più volte nelle riviste specializzate. Ecco come i magistrati parlano tra di loro.

COSA NON DEVE FARE UN GIUDICE ONORARIO AL TM

"Arrivano le nuove leve al Tribunale Minorenni di Milano. Bene bene, gente nuova, idee fresche. Ma forse non è male raccogliere l’esperienza di chi ci è già passato gli anni scorsi e dire loro anche cosa NON devono fare, tanto per non ripetere gli stessi errori. Magari gli può tornare utile."

1.NON FATE QUESTO LAVORO SE NON SIETE CONVINTI. Siamo qui soprattutto per dare una mano ai Giudici, per collaborare, ma essendo un lavoro con risvolti talvolta pesanti occorre prima farsi un serio esame di coscienza: ho dentro di me la necessaria tranquillità e compostezza per passare attraverso storiacce e lacrime o crollerò alle prime difficoltà? Riesco ad attraversare un mare di sofferenza saldamente ma anche senza perdere la gentilezza? Riuscirò a non scadere nella noia (“Ah, questo caso è come quello là…”) riconoscendo le particolarità di ogni storia? Non basta aver superato un concorso, occorre continuare a lavorare su se stessi.

2.NON CREATE PROBLEMI AL TM: non fare le primedonne, essere puntuali, tenere un comportamento rispettoso, spegnere il cellulare, rispettare le indicazioni, evitare disdette con poco anticipo è chiedere troppo? Sembrano banalità ma se la risposta è sì forse il TM non è il posto adatto. Primum non nocere, direbbero i medici. Siete entrati in un mondo molto formale. Quello che noi chiamiamo Setting loro lo chiamano Procedura, dove le parole hanno un significato preciso e con regole che a volte sembrano bizantinismi o insensate, ma hanno un loro perché e bisogna rispettarle. Una raccomandazione forse superflua è quella riguardante il cosiddetto Segreto Professionale, cioè non divulgare notizie sui casi che si trattano. Non solo lo impone la delicatezza dei fascicoli ma anche il fatto che nella cosiddetta società civile, forse ve ne sarete già accorti, esiste una forte corrente anti-TM. Se commentate qualcosa anche per scherzo rischiate seriamente che la usino. E’ già successo.

3.NON CREATE PROBLEMI A VOI STESSI; mantenere il cosiddetto Segreto Professionale aiuta non solo il TM ma anche voi stessi. Il consiglio è quello non solo di non dire nulla dei casi, ma di svicolare anche su dove lavorate. Non divulgate che lavorate al TM. Rischiate di essere avvicinati da persone che vi chiedono “conosci quel giudice? E quell’altro? Puoi fare questo?” Una volta mi è capitato di dirlo ad un medico in un posto che pensavo protetto (ero in un Ospedale) ma poi gli infermieri hanno iniziato un pippone sul TM che deve essere bruciato, che dentro c’è la mafia, che hanno parlato coi giornali etc. E io ero bloccato in un letto nelle loro mani…boccaccia mia statti zitta!

4.NON PENSIATE DI PORTARE IL VERBO DELLA PSICOLOGIA a gente che non ne sa nulla. Considerate che non siete certo i primi e che sono anni che al TM si sviscerano determinati argomenti. Esponete ai magistrati le vostre opinioni (ci mancherebbe, siete qui per questo), ma senza arroganza, senza usare l’ipse dixit e senza scandalizzarsi se la decisione finale è diversa.

5.NON SCRIVETE A MANO, vale a dire imparate ad usare il computer per quello che scrivete. Per favore, anche se avete una bellissima scrittura usate il PC per i verbali. Oramai ci sono in ogni stanza al TM. Non è obbligatorio e lo sappiamo, soprattutto per i più anziani è uno sforzo; ma non avete idea di quanti problemi può far insorgere un verbale scritto a mano: dai più banali (indirizzi sbagliati) ai più seri (accordi stravolti tra i genitori sui figli). E sapete usare tutti internet, vero? E’ uno strumento molto utile -diventerà indispensabile- per comunicare coi magistrati, si evitano foglietti sparsi con opinioni inseriti nel fascicolo che a volte finiscono sotto gli occhi sbagliati.

6.NON INIZIATE DISCUSSIONI GIURIDICHE con gli Avvocati a meno che non siate raffinati giuristi. Se ne accorgono subito che venite da un’altra Parrocchia e, oltre alla figuraccia, vi rivoltano come vogliono. Se avete dei dubbi sospendete un attimo l’incontro e andate a parlarne con qualcuno o, se non volete muovervi, prendete nota, trascrivete le richieste degli Avvocati e poi dite serafici “ne parlerò con il Giudice Togato”. Imparare a trattare con gli Avvocati per chi non è del settore è una delle cose più difficili ma non è impossibile,

7.NON SIATE GENERALISTI, o meglio siatelo solo all’inizio: dopo aver frequentato i vari settori del TM scegliete quello che più vi aggrada e contattate i magistrati che vi lavorano, offrendo i vostri servigi. Civile? Penale? Udienze? Adozioni? Istruttorie? Extracomunitari? Sorveglianza? La scelta è molto amplia. Fin troppo, occorre scegliere. Vi aspetta un periodo di nuove esperienze, un po’ vi invidio.

8.NON SIATE PIGRI, studiate un po’. Non è necessario conoscere il Codice a menadito ma almeno sapere di cosa si sta parlando. Non sempre ci si può affidare al Buon Senso o alla propria esperienza. Data la vastità degli argomenti, ecco perché è importante scegliere e specializzarsi su un settore (vedi punto 7). E non disdegnate l’aggiornamento, la Legge cambia in continuazione; utilissima a proposito l’iscrizione all’AIMMF (Associazione Italiana Magistrati Minorenni e Famiglia) che ogni trimestre vi spedisce a casa una rivista di aggiornamenti.

9. NIENTE OPINIONI PERSONALI AD AVVOCATI E UTENTI. Questo è un punto delicato ma fondamentale. Meglio evitare di proporre opinioni personali, ”secondo me”, a bambini (li manderebbe in confusione) o difensori (possono usarle). Ovviamente tutti abbiamo un nostro stile ma è come la scrittura: anche se ognuno ha la sua, bisogna che ci siano significati comuni e condivisi altrimenti è il caos. Rappresentiamo una istituzione, non noi stessi, non siamo in un ambito psicoterapeutico o sociale. Questo punto spesso distingue il buon Giudice Onorario da un altro. Agli inizi è insomma meglio andare con i piedi di piombo quando vi chiedono (e succederà spesso) un parere o un suggerimento. Tanto più che, come dicono nei film, ogni cosa che dite può essere usata contro di voi (vedi punto 3).

10.NON DEPRIMERSI SE SI FANNO ERRORI. Come dicevano i nonni “chi non fa non falla” e fare errori purtroppo è inevitabile. Tornare indietro non si può però si può imparare dal passato, sempre che si voglia. Questo si può e si deve fare. E poi, come dicono i cinesi, “l’uomo saggio impara dai propri errori, l’uomo molto saggio dagli errori altrui”. Sempre in campana!

lunedì 27 luglio 2015

IL TEMPIO DELL’AMORE

Afferra quelle poche cose che ti son rimaste
E legale col filo rosso che viene dal cuore
E’ ora di eseguire un bellissimo progetto
Per costruire un tempio, il tempio dell’amore

Per prime le colonne che reggono il suo tetto
Il nostro amore fisico, la scintilla violenta
Quando bastava poco per scaldarci il sangue
La passione divampata e mai veramente spenta

Ricordi il primo bacio? Le mani nei capelli?
Gli sguardi, i sotterfugi, la complicità
Il nostro amore metteva le basi del tempio
La forza irresistibile della felicità

Osservo le immagini alle pareti, piccole e grandi
Della nostra casa, le sere con gli amici
I colori non ti ricordano qualcosa? Una vacanza nel sole
Mattoncini come ricordi, passano in fretta gli anni insieme

E guarda anche il lato oscuro male illuminato
quello sempre in ombra e mai calpestato
I nostri silenzi, i segreti profondi di cui abbiamo bisogno
Ciò di cui parliamo poco, ma che ben conosciamo

Cammino sul marmo sacro dei giorni passati insieme
la polvere volteggia piano nel mio medioevo
Questa è l’aria respirata in comune la notte
quando ero felice e non lo sapevo

Ma non è un sogno, ora accade qualcosa.
Crepe nei muri, il pavimento si incrina,
i colori alle pareti si sciolgono,
rumori molesti dall’esterno disturbano

Il pavimento balla e sprofonda sotto i piedi
Parole cattive come pietre colpiscono le colonne
Tutti pensavano di innalzare questo tempio
In pochi ci sono riusciti

In Italia quando giri ovunque vai vedi
Macerie, templi, ruderi che non stanno su
E penso non è stato il tempo a ridurli cosi

Ma un amore, un affetto che non c’è più

domenica 26 luglio 2015

LA RIVA DEL FIUME

"Buongiorno signora, lieto di vederla. Anche lei qui con noi?"
"Certo, è una bella giornata e ho deciso di fare un salto. Ero curiosa."
"Come tutti immagino, mai stuzzicare la curiosità di una donna. Comunque oggi si prospetta una giornata interessante. C'è un bel sole, l'aria frizzante e questa riva del fiume oggi è molto affollata. Oddio, non come quella volta che ho dovuto fare a gomitate ma anche oggi ci siamo.”
“Non pensavo ci fosse così tanta gente.”
“Sì, tanti. Eh signora, molti sentimenti quando muoiono si trasformano in rancore. Bisogna capirli. E qualcuno oggi non rimarrà deluso, dovrebbe proprio passare qualcosa."
"Speriamo. Che bella vista. Mio caro signore, lei non ha idea da quanto tempo stavo aspettando questo momento."
"Eh, abbiamo tutti un passato. Intanto che aspettiamo ce lo possiamo raccontare...Vuole intanto un po' di vinello fresco, madame?"
"La ringrazio, gentilissimo. Non come certi che non hanno avuto per me neanche il pensiero di una goccia. Oh, ma che è quello?"
"Sì sembra proprio...ma sì, è un cadavere! Sta scendendo lento con la corrente, pancia all'aria... Non mi sembra di conoscerlo….lo riconosce signora?"
"Io no ma a quanto pare lo stavano aspettando..."
Infatti in quel momento uno scroscio di applausi e fischi di approvazione si levò dalla collina. Un gruppo sembrava impazzito dalla gioia. Un ragazzo si tuffò in acqua per avvicinarsi al cadavere. Gli andò vicino, lo riconobbe e poi si voltò verso i suoi alzando esultante il pollice. Dalla collina scoppiò un boato, tutti si abbracciavano.
"Mia cara signora, qualcuno ha avuto quello che si meritava."
"Non ne dubitavo. Peccato solo che ci abbia messo così tanto tempo.”
“Qui si impara ad apprezzare la pazienza, c’è calma, rispetto per l’attesa.”
“Si sta bene su questa riva.”
“Lei sta aspettando qualcuno, se mi posso permettere di chiederlo?"
"A dir la verità ho una piccola lista."
"Una lista! Lei ha tollerato molto signora..."
"Sapesse...non mi faccia parlare. E il primo della lista sa chi è? Mio m..."
"Zitta! Non lo dica! Che poi non passa più!"
“Pensavo bisognasse solo aspettare.”
“Certo, ma non solo. Ci sono delle regole da rispettare. La prima è che bisogna tenersi dentro questi sentimenti, non lasciarli dilagare. E poi che bisogna lavorare duramente durante la settimana. Vietatissimo venire qui tutti i giorni.”
“Veramente?”
“Veramente. A dir la verità c’è chi lo fa lo stesso ma è peggio. Poi abbiamo visto che si adagia e fa passar la sua vita in un brutto modo, la sciupa aspettando. Sa cosa ho scoperto venendo qui?”
“Cosa?”
“Che l’infelicità è comoda. Molto comoda. Ecco perché molte persone la preferiscono. La felicità richiede un duro lavoro, uno sforzo, non è automatica. Non si scivola nella felicità, ci si arrampica. Soltanto dopo questo sforzo acquisiamo il diritto di metterci seduti su questa riva.”
“Mi scusi, ma di che tipo di sforzo sta parlando? Pensavo che venendo qui avrei apprezzato invece il non agire, il lasciar fare al tempo.”
“Signora, perché ci facciamo dei nemici? Ci rifletta un attimo. Quando tentiamo di sviluppare o creare qualcosa, un lavoro un sentimento qualcosa di bello, ci ritroviamo subito circondato da chi sputerà sull’idea. Forse non lo diranno in faccia, ma lo faranno sicuramente alle tue spalle.”
“Questo…purtroppo è vero”, disse la signora che stava pensando a qualcosa.
“Quelli sono i nemici. Gli amici sbronzi che non vogliono che tu resti sobrio. I tuoi amici fannulloni e disoccupati che non vogliono vederti intraprendere una bella carriera. Le amiche sfigate che non vogliono che tu viva un vero amore.”
“Sono quelli allora che stiamo aspettando”, disse la signora con un sorriso.
“Certo. E sa che le dico? Dobbiamo mantenerci il perfetta forma per l’esultazione finale. Importantissimi per quel momento saranno gli occhi. di solito il fiume fa un ansa prima di svelare il corpo e allora bisogna riuscire ad individuarlo all’istante per non perdersi neanche un secondo di quello spettacolo meraviglioso.”
“Peccato che qui faccia così caldo…”

“Sì è vero, a volte qui in riva al fiume fa caldo e si soffrono fame e sete. D’estate è pieno di zanzare e moscerini ma verrà il giorno in cui serviranno tante mosche!”

venerdì 24 luglio 2015

“DI CHI E’ O’ BASTONE?”

Ho sempre desiderato visitare Napoli, ma con tutti i tuoi impegni per guadagnarti la pagnotta, caro il mio libero professionista milanese, quando riuscirai ad andarci?
Ma tutto (o quasi) si può fare se c’è la volontà politica, così rosicando un impegno qui e rinviandone un altro là, ero riuscito a liberarmi qualche giorno. Andiamo a Napoli allora?
“Paese del sole, arriviamo!”, esclamo io.

Quando scendiamo dal treno sta diluviando. “Mi sa che abbiamo sbagliato strada”.
Ma no, siamo proprio a Napoli, Napoli! Si vede il profilo del Vesuvio, si sente gente parlare in dialetto, c’è un traffico pazzesco. E per fortuna due amici stanno aspettando volenterosi i panettoni milanesi. Non li ho mai visti ma basta una occhiata per riconoscersi. Ci portano a mangiare subito da un certo Tonino. Sono sveglio dalle 4.00 ma sono caricato, sento poco la stanchezza.
La trattoria è piccola, calda e asciutta. Tonino, un omo de panza, ci fa accomodare in un tavolo con la tovaglia a quadretti e mi chiede qualcosa che non capisco, forse spiega cosa c’è da mangiare. Io rispondo sì sì, va benissimo. In realtà non ho ben compreso cosa mi porterà, ma sembra tutto buono, anzi è proprio buono (per la cronaca “melanzane a funghetto”, non domandatemi di che si tratta, dei locals bisogna fidarsi).
Mentre sta portando via i piatti adocchia il mio fedele aiutante e domanda:
“Di chi è o’ bastone?”
“Ehm, è mio. Mi… mi fa male la gamba.”
“Ma putite guarì? Passerà?”
(Cosa faccio? Gli spiego che ho la sclerosi multipla? Intristisco tutti?) “Mah… penso di no, me la tengo”.
“Non dite accussì! Dopo ve facc’ ‘na cosa che fa bbene assaje”.
Se ne va e riprendo a parlare con l’amico Carmine. All’improvviso sento Tonino arrivare alle mie spalle, mi appoggia una mano sulla coscia e mentre la strofina pronuncia qualcosa sottovoce (un antico scongiuro popolare? una formula magica contro la malasorte? Un incantesimo tramandato da generazioni?).
Io ero immobile. Forse vi sorprenderà, ma in tutta la mia vita a Milano nessun gestore mi aveva mai toccato, ed ecco questo sconosciuto entrare così nella mia sfera privata.
Benvenuto a Napoli.


LA SCULTURA PIU' BELLA DEL MONDO
La bellezza napoletana, signori, tende al “tanto”: una cosa è tanto più bella per loro se va “oltre” e questo in tutti i momenti della vita. I palazzi sono barocchi e infiorati, le statue ostentano elaborati virtuosismi, oro dappertutto, la musica è piena di note e lamenti, la poesia è ridondante, i dolci sono giganteschi, una donna è bella quando è formosa, l’uomo quando cammina da guappo ed è pieno di peli, i dipinti sono saturi di colori, i presepi pullulano di personaggi, la gente per strada grida, eccetera... Naturalmente è difficile conservare ordine ed equilibrio quando tutto è portato all’eccesso, ma ogni tanto il miracolo estetico riesce.
L’esempio migliore forse l’ho ritrovato nella Cappella di San Severo, che ha la più bella scultura che abbia mai visto, quella del Cristo Velato. Da secoli è considerata tra le più belle del mondo. E’ incredibile come si abbia l’impressione, guardandola, di intravedere il volto di Gesù SOTTO il marmo. Come è possibile? Non lo so.

Si dice che il Principe di San Severo abbia fatto accecare lo scultore perché non potesse ripetersi. Forse è solo leggenda, ma riflette bene l’eccezionalità della scultura. E non è l’unica leggenda legata a quest’opera straordinaria.
Ebbene non è finita qui. In un angolo, scendendo per una scaletta, si entra in una cantina dove sono esposte le orripilanti Macchine Anatomiche del Principe, due corpi –maschio e femmina- senza pelle, con le vene e i nervi esposti, congelati in una espressione di sofferenza. Anche qui le leggende si sprecano.

Si passa dal sublime all’orrido in pochi metri, come se fossero uniti insieme. Forse lo sono, sono la stessa cosa. Orrido e sublime, l’eccesso nei due sensi. E non solo lì, ma anche in tutta la città. Che non è solo composta dalle bellezze citate prima, ma pure dai cumuli di spazzatura che ristagnano per le strade (con prevedibili conseguenze estive), dai palazzi ovunque fatiscenti, dalla presenza della camorra che si avverte in molte cose, dai “bassi” degradati dove abita la povera gente, la microcriminalità, la disoccupazione, il selciato sconnesso, il sovraffollamento, le “mele marce che rovinano Napoli”, la minaccia terribile e bellissima del Vesuvio etc
Napoli è un corpo unico. Il Cristo Velato solo se accompagnato dalle Macchine Anatomiche è veramente napoletano. Accettare uno escludendo l’altro impoverirebbe questa città, e questo alla fine lo capisce anche uno straniero.

IL TRAFFICO DI NAPOLI
Guidare da quelle parti deve essere una esperienza interessante. Macchine parcheggiate in 4° fila, auto che prendono le rotonde al contrario, rossi inesistenti, un vortice di clacson e automobili, anche i pedoni usano la strada a piacere, sensi unici presi alla rovescia, tutti contro tutti…
Eppure in questo caos non ho mai visto incidenti, che mi sarei aspettato frequentissimi. Sembrava la normalità. Io le prime volte guardavo tutto dal taxi, con lo sguardo attonito dell’antropologo su Marte.

Però salta all’occhio, anzi all’orecchio, un aspetto: a Napoli è INDISPENSABILE avere il clacson. Auto e motorini lo suonano sempre. Il frastuono è continuo. Quello che al nord è rumorosa arroganza qui pare la norma. Ma perché suonano?, mi chiedevo ingenuo.
Oddio, forse è semplice. Il peet!peet! potrebbe non significare “fatemi largo” (come odiosamente da noi al nord), ma semplicemente dire “state attenti!”. Di più: suonare il clacson sarebbe come esclamare “accorti, ci sono anch’io!”. Gli altri ti considerano per forza, ti DEVONO considerare.
E difatti ho notato che i guidatori napoletani stanno attentissimi al contesto, a quello che fanno gli altri. E quindi sono prudenti. “Beh, è normale, no?”.
No che non lo è. A Milano se uno rispetta le regole può andare per la sua strada tranquillo, pensando ai fatti suoi. A Napoli non è possibile: devi sempre stare attento a quello che fanno gli altri, altrimenti sei un pazzo spericolato. Anche se rispetti i cartelli. Sei obbligato a metterti nei panni altrui.
Ovviamente ci sono i pro e i contro: a parte l’inquinamento acustico a qualunque ora, questa indisciplina continua sospetto che alla fine favorisca i famosi “furbi”. Però impari a stare attento agli altri, a considerare le persone più importanti delle regole, a sentirti parte di una cosa viva, grande, ad un tutto unico.
Non sei più su Marte. Dovevo proprio venire a Napoli per scoprirlo. Le persone sono più importanti delle regole.


VEDI, CARA ANNALISA...
Un mese fa, durante la doccia, mia cugina Annalisa sentì un nodulino sotto il seno sinistro. Dato che sua madre era morta di cancro al seno pochi anni prima, pur avendo solo 21 anni prese la cosa sul serio e si recò subito dalla dottoressa.

Da lì si è messo in moto un meccanismo inesorabile, che qualcuna conosce molto bene. la dottoressa la spinse a ricoverarsi immediatamente. In questi casi il tempo è prezioso, per cui la settimana scorsa Annalisa venne ricoverata all'Istituto dei Tumori di Milano per subire il giorno dopo un intervento. Si prevedevano tre ore sotto i ferri per farsi asportare il seno sinistro, ricostruirlo e uscire dall'anestesia. Pare che il tumore fosse proprio allo stadio iniziale, in situ come si dice (cioè non ramificato), per cui ne derivavano ottime speranze. Ma non sono cose da vivere a 21 anni.

Con altri sono andato a trovarla proprio il giorno prima dell’operazione. Annalisa era a letto, spaventata ma sorridente povera ragazza. Dal suo letto ascoltava i vari parenti e amici che scherzavano, la consolavano, le portavano i biscotti, cercavano insomma di tirarla su. Ad un certo punto si sono allontanati tutti e siamo rimasti soli.

Mi sono seduto vicino, le ho preso la mano e ho detto: "Vedi, cara Annalisa, quello che è successo è brutto, hai conosciuto il male che esiste al mondo, noi malati lo sappiamo bene che esiste. Tu però hai questo vantaggio ora rispetto ad altri, che lo sai, e per questo sei più forte. La salute è una corona sulla testa dei sani che solo i malati riescono a vedere, gli altri sono ciechi rispetto a noi. Tu riuscirai a vedere una bellezza dove magari la gente vede solo banalità. Quando uscirai il mondo sarà più bello per te, sarà circondato di bellezza, avrai occhi nuovi. Noi malati stiamo attenti a queste cose, la nostra sensibilità è diversa."
“No, non riesco a vedere il lato positivo.”
“Non lasciarti andare, Annalisa.”
"Ma le mie sorelle sono già sposate con figli e io no. Perché io?"
"Non lo so. Non lo sa nessuno perché. Forse dovevi conoscere il mondo, la vita, che l'amore ha una profondità che i sani non considerano mai. Che è un miracolo, un miracolo che succede tutti i giorni. Lascia alle tue sorelle la banalità di una vita normale, tu diventerai migliore di loro, una persona più profonda, attenta, che gode di più della bellezza del mondo."
Annalisa mi ha guardato e ha detto piano "Ho paura di non dormire stanotte."
"E' normale. Fatti dare un tranquillante, un sonnifero. Chiedilo senza problemi e ristorati questa notte. Domani devi essere pronta, forte."

Il quel momento sono rientrati tutti, era arrivato anche il suo quasi-fidanzato. Io e gli altri eravamo di troppo, per cui ce ne siamo andati. Uscendo dall'Oncologico mi han chiesto: "Ma cos'è che vi stavate dicendo? Cos'è che le dicevi?"
"Ma niente, robe nostre, robe di malati."

Il giorno dopo l’intervento andò molto bene. Già che c’era il chirurgo asportò un linfonodo ascellare (uno dei cosiddetti linfonodi “sentinella”), che risultò negativo, non inquinato. Nell’operazione Annalisa, che venne dimessa dall’Istituto dei Tumori due giorni dopo, riuscì pure a conservare areola e capezzolo. Meno male. Molto migliorata la medicina da una trentina di anni fa, quando toglievano tutto e alè. Al momento il problema estetico sembrava una cosa minima rispetto al resto ma era importante anche questo. “Prima per me quella era una parte che magari non esisteva, e ora purtroppo era diventata improvvisamente il centro dei pensieri e dell'attenzione”, mi disse una donna che aveva subito la stessa operazione.

lunedì 20 luglio 2015

Ah cerca di capirmi, in questo mondo villano non va bene essere troppo timidi. Ma con i sentimenti ci vorrebbe prudenza, e a volte proprio non capisco. Quante delusioni, quante amarezze. Allora quando arriva la sera… come Caruso schiarisco la voce e intono un canto.

T.A.
Ti amo (non glielo posso dire) Ti voglio (nemmeno lo sta a sentire) 
e se per caso scappa si arrabbia, si sente un animale chiuso in gabbia
per cui ti amo non glielo posso dire
E se mi sono innamorato e cerco la felicità
è sempre pronta ad accusare la mia possessività
Per cui l'amore che sento nel profondo è forse meglio se lo nascondo
fa presto a diventare eccessivo, a dimostrare il suo lato cattivo
per cui prudenza è meglio se lo nascondo
L'amore è una candela accesa che brucia alle due estremità
ed è difficile celare la sua luminosità
Per cui l'amore che sento nel profondo,
non so come ma è meglio se lo nascondo
fa presto a diventare eccessivo, a dimostrare il suo lato cattivo
per cui prudenza è meglio se lo nascondo, è meglio se lo nascondo
è meglio se lo nascondo

domenica 19 luglio 2015

COME INTERROGARE UN MINORENNE IN TRIBUNALE

Lavorando come Psicologo al Tribunale Minorenni, spesso mi è capitato in questi anni di sentire per i più disparati motivi dei ragazzi, a volte giovani (6-7 anni), a volte ragazzotti ribelli o adolescenti spauriti. Quanti bulletti che ho visto, quante ragazze in difficoltà o giovani che venivano da famiglie disastrate.
Tra colleghi capita che ci si confronti poi davanti alla macchinetta del caffè o addirittura in convegni ufficiali, pomposamente dedicati all’Ascolto del Minore.

A mio personale parere l’espressione “ascolto del minore” però è falsa, se non un filo ipocrita. Come ho detto, di formazione sono uno psicologo e so per esperienza quanta delicatezza occorre nell’ascolto.
In ambito giudiziario il minore però non viene ascoltato, il minore viene INTERROGATO. C'è grande differenza tra quello che accade in uno studio terapeutico e una udienza in tribunale. Il primo caso presuppone libertà nell'espressione, nei tempi e nei modi, per fini terapeutici, il secondo si riferisce ad una testimonianza per fini decisionali. Provare per credere. Le "realtà" che si vogliono indagare sono molto ma molto diverse.

Nel mio lavoro al TM ho elaborato in questi anni una particolare tecnica per interrogare un minorenne magari in pochi minuti (il tempo in Tribunale è veramente tiranno), aiutato anche dalla mia personale esperienza come psicologo infantile. E' una griglia MOLTO elastica, può e deve essere cambiata a seconda delle circostanze, tutto dipende da sensibilità ed esperienza. Fortunatamente la seconda è sempre in aumento.

1.RASSICURAZIONE: inizio sempre io. Spiego rapidamente al ragazzo chi sono, dove siamo, perché siamo qui. Dico chiaramente che "oggi non si decide nulla, oggi facciamo una sorta di intervista, scriverò quello che vuoi dirmi, poi passerò l'intervista ad altri giudici che prenderanno una decisione su questo caso. La prima domanda del resto è molto semplice “ti va di rispondere a qualche domanda?” (mai nessuno ha detto no). Forse vuoi farmi tu qualche domanda?”. Una volta un bambino mi chiese: questo è un tribunale? E dove sono i dinosauri? Un altro era perplesso, mi guardò e disse: perché non hai la parrucca come nei film?. Nessun minore grazie a Dio è tenuto a sapere come funziona un Tribunale, per lui è tutto nuovo e un minimo bisogna spiegargli.
2.EMPATIA: poi parte la fase dell'empatia tra noi due, preliminare a qualsiasi discorso "serio". Per instaurare una climatique di fiducia tutto serve. Un sorriso, qualche domanda banale sulla scuola, qualche commento leggero sull'abbigliamento tatuaggi o piercing etc. Se vedo che il ragazzo è ancora teso parto con qualche banale inchiesta sulla sua casa, sui giochi, sugli amici, a ciò che lo fa stare bene (o che ingenuamente presumo). Se vedo che è molto teso, non è il caso di insistere, sarebbe meglio rimandare o meglio chiamare l’adulto che lo ha accompagnato e aspetta in salotto.
3.DISPONIBILITA': quando sento che il rapporto è abbastanza saldo, gli chiedo se è disposto a parlarmi del fatto o della situazione per cui è stato chiamato. Sondo insomma la sua disponibilità. Questo è un punto cardine, che con gli adulti per esempio si salta ma che con un minore è fondamentale. A parte che di solito non è lui che ha chiesto di andare dal Giudice ma poi potrebbe anche non volere parlare. E’ un suo diritto, anche se ha solo 8 anni.
4.INTERROGATORIO: poi passo al motivo della sua presenza qui. Vabbè, raccomandare cautela sembra banale, ma l'elasticità è comunque basilare. Personalmente sto molto attento al suo linguaggio del corpo: se è in contraddizione con quanto sta dicendo vuol dire che c'è un problema da investigare.
5.GRAZIE: alla fine lo ringrazio della sua testimonianza. Anche questo passaggio con gli adulti di solito si evita, ma mi rendo conto che per lui è stato un grande sforzo. Insomma, un "grazie" se lo merita proprio.

(6.RICOMPOSIZIONE: a volte -mi rendo però conto che è una deformazione professionale- e per fortuna mi capita  raramente, attuo anche un intervento per così dire metagiuridico, più di stampo terapeutico. Quando durante l'audizione il ragazzo ha infatti espresso opinioni trancianti e definitive, che in futuro so che porteranno sofferenza e lacerazioni, lo esorto con pacatezza e bonariamente a riconsiderare, magari tra qualche anno, i suoi giudizi draconiani e valutare tutti gli aspetti del problema con equità, anche quelli che magari ora gli sfuggono. Solo alla fine, e solo ogni tanto.)


Grazie bambini, mi avete insegnato molto. E non è una frase di circostanza. Questo è un mondo difficile in cui bisogna essere duri ma, come diceva Che Guevara, “senza perdere la tenerezza” e voi me lo ricordate ogni giorno.

giovedì 16 luglio 2015

TUTTO QUELLO CHE SERVE (si impara dal gatto)


Se il tuo amore è distratto
Impara dal gatto
Avvicinati piano
mentre legge il giornale
Poi siediti accanto
E senza parlare
Fai lo sguardo più intenso che hai

Questo è un dato di fatto
Crescendo ho imparato
Tutto quello che serve
Si impara dal gatto
Che non serve la scienza,
né forza o violenza,
ciò che conta è la tua indipendenza
  
Se cammini di notte
Impara dal gatto
Salta piano sul letto
Dove dorme l’umano
Tra montagne di corpi
E assoluto silenzio
Sento il peso dei tuoi piedini

Se vuoi fare l’amore
Provare piacere
Prendi un pettine  fitto
E accarezza il tuo gatto
Lentamente con cura
Dalla testa alla coda

E ti guarda con occhi d’amore

domenica 12 luglio 2015

LA FASE MISTICA

Come molti adolescenti sognatori, a 15 anni ho attraversato una fase mistica. Ero sempre interessato allo spirito, al significato nascosto della vita, a discorsi di trascendenza. Ricordo che ogni sera, prima di addormentarmi, accendevo una candela mi mettevo in posizione yoga e ne guardavo per qualche minuto la luce tremolante, cercando di fare spazio dentro di me. Poi leggevo una pagina del bel libro di Papini, Storia di Cristo, e mi addormentavo meditando.
Bisognerebbe evitare di mettere certi libri in mano ai ragazzi, la gioventù va vissuta, non meditata.
La cosa durò un annetto, dopo mi è passata e mi sono dedicato ad attività più normali, diciamo così, per l’età. Per fortuna, aggiungerei.
Se però oggi potessi parlare al ragazzo di allora, cosa gli direi?
Stranamente sento che non gli direi nulla. Di solito si pensa che sia la persona più matura a dare qualche consiglio bonario ai giovani (che non ascoltano) in base alla sua esperienza, ma in questo caso non succederebbe così. Rimarrei ammutolito dall’entusiasmo, dalla fiducia, dal sentimento profondo di quel ragazzo. Sarebbe lui a spiegarmi qualcosa.

Chissà se ero più felice allora o adesso.

venerdì 10 luglio 2015

LA CANZONE DEL PSST PSST

Quando sento i medici che parlano di me
abbassano la voce e fanno psst psst
Forse a dire il vero una spiegazione c'è
loro hanno paura ci sia una roba brutta

Io dico "per favore, spiegatemela tutta
che tanto la so già, non è una novità"
Un medico mi guarda come non capissi niente
e spiega "coi pazienti noi siamo reticenti"

Rispondo dal mio letto "un dì vi ammalerete
e allora sentirete il suono del psst psst
quel giorno capirete che l'aver paura
è un male assai peggiore, per quello non c'è cura"

Ciònonostante i medici se parlano di me
stanno tutti in cerchio e fanno psst psst
Allora mi rilasso se han la testa dura
son loro gli ammalati, son loro che han paura


UN PICCOLO GESTO DALLE GRANDI CONSEGUENZE

(scena: una panchina immersa in un giardino. Entra lentamente una bella donna vestita bene con indosso degli occhiali scuri, canticchiando sovrappensiero. Tiene con delicatezza una mela in mano. Si siede sulla panchina e guarda la mela, accavallando le gambe. Se la rimira, la strofina per renderla lucente, la osserva  pensierosa. Si nota che per lei è una mela speciale. Alla fine esclama)

D: Massì, dai, cosa può succedermi?
(dà un morsettino alla mela e si gusta il bocconcino, attenta al sapore)
D: beh, è buona, veramente… non avevo mai mangiato una mela così. Che sapore.
(quasi distrattamente dà un altro morsetto. Improvvisamente è come sorpresa, spalanca lo sguardo, ha un brivido leggero lungo il corpo)
D: ma… cosa mi sta succedendo? Che è questa sensazione? Che fastidio mi danno questi occhiali… me li devo levà… oh!
(si toglie gli occhiali neri e guarda il pubblico stupita, non si capacita)
D: ma dove sono finita? …non mi ero accorta prima… e’ tutto nuovo qui dentro!
(si alza dalla panchina e mentre lo fa tocca il legno della panchina. Si volta verso di lei.)
D: che bello!
(ritocca la panchina e poi inizia a girare tastando tutto, il pavimento, il tessuti del palco, degli oggetti; luci intorno a lei si muovono)
D: che meraviglia… è tutto stupendo, mi sento come se stessi per svenire… (si guarda la mano perplessa)… non capisco… (si tocca il tessuto dell’abito)… senti che bellezza, quando le luci si muovono quest’abito fa dei disegni meravigliosi… E’ incredibile, come se lo vedessi per la prima volta… Ma come è potuto accadere? Che colori… Sento che le mie forze sono al massimo. Che gioia sentirle così! Tutti i miei sensi sono migliorati, ma cos…
(l’occhio le cade sulla mela che aveva lasciato sulla panchina)
D: ma allora è vero! E io che non ci volevo credere, questa mela non è solo squisita, ha pure dei poteri… dei poteri magici! Aspetta, aspetta che glielo dico! A…
(il grido le muore in gola. Si risiede sulla panchina perplessa, accarezzando pensosa la mela)
D: e se la tenessi per me? Se veramente questo frutto ha questi poteri e gli altri che dicono potrei vedere cose che nessuno immagina, avrei il potere, comanderei senza problemi e sarei la regina incontrastata… diventerei la persona più potente di questo posto, tutti obbedirebbero a me sola… sarei l’unica, sarei sola…
(per qualche secondo guarda la mela pensosa)
D: sarei sola… no, non può essere così. Io sono parte di lui, e lui di me. Stiamo insieme. Lo amo, e anche lui deve provare quanto è bello. Amore! Amore!
(la donna chiama qualcuno, una voce maschile risponde; entra un uomo in scena, anche lui ben vestito)
U: eccomi amore, cosa c’è? Cosa mai può accadere in questo posto, è tutto così perfetto. Non ho mai visto un giardino così ben curato, lo stavo esplorando e devo dire che abbiamo fatto un’ottima scelta a venire ad abitare qui.
D: (porgendogli la mela) guarda cosa ho trovato amore. Devi assaggiarla, è straordinaria ti garantisco, veramente buona. E’ talmente speciale che dopo tutto il mondo ti sembrerà diverso credi a me.
U: addirittura!
D: provala!
U: (prendendo la mela) oh grazie, avevo un certo appetito, sentivo crescere un languorino e la tua offerta arriva a proposito. Grazie. Sentiamo un po’… (sta per addentare la mela quando si ferma). Ma… ma questa è… (guarda la donna). Mi sembra una de…
D: sì, è lei. Prima l’ho presa per curiosità, me ne parlavano sempre così bene…
U: (adirato ma controllato) Ma non possiamo, lo sai. Cosa diavolo ti è venuto in mente? E se ti hanno vista? E se fosse avvelenata? Con questi chiari di luna non si sa mai. Magari ci hanno spruzzato sopra qualcosa di tossico.
D: no, te l’assicuro. Io l’ho assaggiata amore, e ti assicuro che è buonissima, bella croccante e saporita. E poi sono stata attenta, nessuno mi ha vista.
U: vabbeh, io certo non la mangio. Anzi, neanche la tocco guarda. Riprenditela.
D: ma dai, non fare lo scemo, mangiane un pochettino, è diversa dalle altre, ti assicuro. Solamente un morsetto, poi mi darai ragione. E se non ti piace la rimettiamo a posto.
U: sì, con le impronte dei nostri denti sopra. E’ inutile che mi stuzzichi.
D: (affranta) Ma… mi lasci sola? Io avevo pensato a te, amore. E poi non posso averla mangiata solo io, se la prenderebbero solo con me. Per favore, ti supplico (lo accarezza). Non lasciarmi sola.
U: (brontolando) ma non è possibile. Cosa mi fai fare… lo sai che non possiamo.
D: mi ami? Stai con me.
U: (guardandola) Lo sai che ti amo. Ma tu mi chiedi una cosa…
D: Voglio condividere questa esperienza con te, è buonissima, assaggiala.
U: (la guarda negli occhi) Non è solo questo. Tu vuoi sapere se sei la cosa che amo di più al mondo, ma sai che è così. Andrei ovunque per te. Dai, dammi la mela (la prende). Un morsetto piccolo però eh?
D: grazie amore. Hai capito.
U: (addenta la mela e la mastica bene) però, buona. Buona veramente, molto saporita e soda, come piacciono a me. (La guarda) Tesoro, lo sai che oggi sei vestita benissimo?
D: (fa una giravolta maliziosa) Ti piace?
U: sì, molto. E sai un’altra cosa? (si guarda intorno) E’ buffo, ma l’erba mi sembra più verde di prima. Che bello (ride piano), mi sembra di essere ritornato bambino. Guarda il cielo, che belle nuvole. Guarda quella… sembra uscita da un fumetto! Ma… cosa c’è in questa polpa? (guarda sospettoso la mela) Una polvere magica? Una droga?
D: Anche a me è successo così prima, mi sono accorta di ciò che mi circondava come se avessi appena aperto gli occhi.
U: (la prende per mano). Vieni, andiamo. Che poesia.
D: (lei appoggia la testa sulla sua spalla) Ti amo tanto.
U: sì, non si può essere puniti per una cosa così bella. (abbracciati, girano per il palco, toccando e commentando felici ogni cosa che incontrano) Che fiore è questo? E questo?
D: non lo so, ma sono così belli. Quanta grazia.
U: bisogna dare un nome a queste meraviglie. Li chiamerò… li chiamerò… (in quel momento una lettera scende lenta dal cielo e finisce davanti all’uomo) Che cos’è questa colombina di carta? (apre la lettera e la legge, intanto si siede sulla panchina)
D: (si siede accanto a lui) cosa c‘è scritto?
U: …è del padrone di casa. Brutte notizie, dice che dobbiamo andarcene. Abbiamo trasgredito le regole e non ci vuole più. Ci sono anche delle immagini del posto dove andremo ad abitare, (fa una faccia eloquente) è molto meno bello di questo (l’uomo è sconsolato)
D: (accarezzandolo) mi spiace, e se gli dicessi che ti ho ingannato? Che è colpa mia?
U: la lettera è indirizzata ad entrambi, riguarda tutti e due. Sa benissimo come sono andate le cose, deve averci visto. Lo sai che controlla ovunque. E ci tocca anche uscire alla svelta. Andiamo, dobbiamo preparare i bagagli, abbiamo poco tempo. Per fortuna eravamo arrivati da poco.
D: (rammaricata) oddio, non pensavo… Non meritavi questo.
U: (alzandosi e guardandola) Non ti preoccupare. Ho capito una cosa oggi: prima mi sono dato dello stupido, ma non è vero, non sono stato stupido. Perlomeno non più di altre volte. E’ che ti amo sopra ogni cosa, e non mi dispiace andarmene da questo posto se sono con te. (la prende per mano) Andremo via insieme.
D: abbiamo perso i nostri privilegi.
U: ma ne è valsa la pena. Ho scoperto una cosa importante del mondo oggi. Dovevo scegliere tra questo paradiso e te, e ho scelto te, perché sei più grande. L’amore mi ha spinto a fare questa scelta. Amore, tienimi per mano.
D: sì, usciamo da questo posto.


Quando da ragazzo ascoltavo la storia di Adamo ed Eva nel Paradiso, a volte non potevo fare a meno di chiedermi: ma quel coglione di Adamo lo sapeva che quella era una mela proibita o no? Evidentemente lo sapeva bene, visto che poi Dio ha punito pure lui. Doveva essere proprio scemo. Allora perché l’ha mangiata? Un prete una volta mi rispose che Adamo era accecato dalla voglia di conoscere, era diventato superbo, voleva essere simile a Dio, questo era il Peccato Originale.
Ma tra me e me già allora io la pensavo diversamente: Adamo scelse di assaggiare la mela, anche se era ben consapevole dei rischi che correva, perché amava Eva, non voleva lasciarla sola. Per amor suo corse un rischio grandissimo, e alla fine perse tutto.
Ma non aveva importanza, aveva dimostrato a Eva quanto ci teneva a lei. E anche se non gli rimase nulla, in realtà una cosa era rimasta: l’amore di Eva con cui condividere la vita nel mondo. Non è romantico, terribilmente, biblicamente romantico?

In fondo anche questo può essere considerato un peccato originale, quello grande, quello imperdonabile: preferire all’amore di Dio l’amore di un altro essere umano, scegliere una persona con cui uscire dal Paradiso e affrontare insieme la vita. Ogni volta che vedo una coppietta allacciata, sento che stanno sfidando il mondo.