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domenica 3 aprile 2016

IL RAPPRESENTANTE DI BIGIOTTERIA


Lavoro come rappresentante di bigiotteria, l’automobile è la mia vera casa. Guido almeno 70-80.000 chilometri all’anno, ogni due-tre anni l’auto è da cambiare. Non credete a chi vi dice che il rappresentante ha avventure e se la spassa, sono balle, io la sera sono sempre stanco morto. Alle 17.00 inizio a cercare un albergo, un motel, un letto che non sia in un posto troppo squallido. In questi anni ho visto, dormito e mangiato dappertutto. 
Oggi va di moda l’etnico, ma la mia specialità è una spilla di ambra (che non è ambra) incorniciata in perla (che non è perla). Sembra rara e antichissima, anche se in realtà l’hanno fatta inghiottire pochi anni fa ad un tacchino, che l’ha macerata bene. E’ splendida, la tiro fuori se voglio fare effetto ai clienti. Di solito funziona
Ma non vi volevo parlare di questo, ma di qualcosa che penso vi possa interessare. C’è una storia da raccontare.

Stamane sono passato vicino a Biancatenda, il mio paesello natale. Un poco fuorimano, non mi ricordo niente di lui anche se a sentire i miei ci avevamo vissuto lì per i primi 2 o 3 anni della mia vita, dopo ci siamo trasferiti a Milano. Aspetta, qualcosa mi ricordo. Un prato verde, un ruscelletto, alberi, case. Ricordavo una piazza ma indistinta. Tutto troppo vago.
Ma sì, dai, andiamo a vederlo, tempo oggi ne ho. Poco mi raccomando, sul tardi avrei un appuntamento. Per entrare nel paese bisognava attraversare un ponte lungo e curvo, di cui non avevo alcun ricordo. Ponte chiuso da una sbarra. Olè, il viaggio nel passato è finito ancora prima di iniziare. In un gabbiotto c’era un uomo che stava contando delle carte.
“Ehilà. Scusi… mi sente?…”. Niente non mi sentiva. Scesi dalla macchina e bussai al vetro. L’uomo aveva un grande nasone e un cappellino quasi militare, che lo rendevano un filo ridicolo. Strana moda in questo paese, meno male che me ne sono andato via presto. Mi ero sbagliato sulla sua attività, in realtà le carte le stava incollando. Alzò gli occhi, mi vide e aprì lo sportello.
“Cosa vuole?”
Che simpatia. 
“Buongiorno, una informazione. Io sono nato in questo paese, Biancatenda, ma me ne sono andato che ero bambino. Vorrei solo rivederlo, è possibile passare?”
“Ah sì sì ma certo, aspetti che le alzo la stanga. Qui non ci viene mai nessuno.”
Mentre tornava dentro a schiacciare dei pulsanti mi venne un dubbio, e una domanda.
Mi perdoni non sono pratico, ma perché il ponte è chiuso al traffico? C’è qualche problema, è pericolante?”
“Ponte? Quale ponte?”
Mi sembrava di essere in una commedia dell’assurdo. Battei i piedi per terra. “Beh, questo ponte.” Mi era venuta in mente un’altra idea, di stare entrando in un zona militare. Ma no, pensai, di guardia avrebbero messo un soldato vero, mica quel vecchietto.
“Questo? Ma non è un ponte, è una diga.”
Ostrega, era vero. Mi sa che il rincoglionito ero io. Mi accorsi solo allora che mentre da una parte del ponte c’era l’acqua, dall’altra era tutto asciutto. Una diga. Per bloccare il fiume, e fornire di energia il paese, immagino. Previdenti, quelli di Biancatenda. Però. Il mio disagio si trasformò in orgoglio, e l’orgoglio di essere nato in quel minuscolo paesino fece un balzo in avanti.

Mi volli informare. “Che fiume è questo? Non mi ricordo di nessuna diga. Forse l’hanno costruita da poco.”
“Mica tanto. Da circa 40 anni.”
“Ah, dopo che me ne sono andato via dunque. E quel fiume come si chiama? L’acqua è bella limpida.”
“Non è acqua, sono lacrime.”
“Lacrime?”
“Hanno costruito la diga come protezione, altrimenti le lacrime avrebbero allagato il paese. Hanno messo me a controllare che rimanga tutto tranquillo, ma ultimamente il livello continua ad alzarsi. C’è una pressione che aumenta, e non mi piace. Sono preoccupato. Prima o poi bisognerà prendere provvedimenti.”
“Ha ragione. Senta –dissi indicando il suo cappello-, mi tolga una curiosità, lei è un militare?” 
“Ero e sono sergente –rispose sorridendo e mettendosi quasi sull’attenti-, adesso sono in pensione, e mi hanno messo qui. Ho una pallottola nella gamba come ricordino sa? Mi fa un male cane al polpaccio, sento ogni cambiamento di tempo. A proposito, se vuole visitare il paese è meglio che si sbrighi. Tra poco piove.”
“Vado. Senta, c’è mica un buon ristorante da quelle parti?”
“Sicuro. C’è una buona trattoria, la vede subito nella piazza. Fanno un risotto favoloso.”
“Bene, grazie e buon lavoro!”

Mi rimisi in macchina per attraversare la diga, mentre il guardiano ritornava nel gabbiotto. Vidi dallo specchietto retrovisore la stanga abbassarsi e chiudere l’entrata. Speriamo che l’uomo ci sia anche al ritorno. Sbrighiamoci dai. La strada si dirigeva verso il basso. La diga dominava il paesello, lo sovrastava. Mentre percorrevo la strada, era impressionante vedere in una metà il paese nel verde e nell’altra metà la parete di cemento della diga.
La strada asfaltata terminava proprio nel paese di Biancatenda, non andava avanti. Una piazza italiana con il solito bar, chiesa, municipio, case. Se era quella, era molto più piccola di quanto ricordassi. In giro non c’era nessuno. Quante ne avevo viste di piazze così in questi anni. Però questa aveva qualcosa di insolito di cui non avevo ricordo: al centro delle piazze di solito spruzza una fontana, o un monumento dedicato a qualche eroe. Qui capeggiava invece un albero, circondato da una aiuola dal significato evidente: non toccare.
Non me ne intendo di alberi, ma questo mi sembrava un salice piangente. Di solito i salici piangenti non crescono in riva ai fiumi? Questo paese ha dei problemi con l’acqua, conclusi.
Scesi dalla macchina e mi avvicinai all’albero. C’era una targhetta di legno, con inciso il nome, “Salice che aspetta”. 
Aspetta cosa?

Intanto mi venne alle spalle qualcuno. Quando mi voltai vidi una signora matura e con gli occhi splendenti. Doveva essere stata molto bella da giovane, ed era ancora una bella donna. Per deformazione professionale notai che non aveva né orecchini né collane. Non ne aveva bisogno, la pelle del collo era ancora liscia.
Si accorse del mio sguardo ammirato e disse: “Non si preoccupi, siamo tutte così qui. In questo paese le donne diventano più belle dopo il parto. Sarà l’aria, l’acqua, e chi lo sa. Ma io non l’ho mai vista da queste parti. Chi è lei?”
A certi misteri non c’è iniziazione, venni proiettato dentro il paese. Risposi con il mio nome, e blabla, che era quasi ora di pranzo e mi guardavo in giro cercando una trattoria etc. La donna mi scrutò con i sui bellissimi occhi mentre le parlavo. Era vestita come negli anni ‘60 vestivano le signore, una eleganza molto compita, trattenuta. Da ragazza doveva essere magra ed elegante, con la boccuccia a forma di cuore. Chissà quanti ne ha fatti innamorare.
“Che buffo –disse- non mi ricordo di lei.”
“Me ne sono andato da più di 40 anni, ero ancora bambino.”
“La famiglia che si era trasferita a Milano?”
Che bella memoria. “Esatto signora, lei ha una bella memoria.”
“Grazie, ma tutti i giorni andiamo in biblioteca per esercitarci. Impariamo a memoria i libri e poi strappiamo le pagine.”
“E il bibliotecario non si arrabbia?”
“Certo, ma da noi si fa così. Purtroppo quando muore un vecchio è come una biblioteca che brucia. Ma parliamo molto tra noi, molto, e ci tramandiamo ciò che abbiamo memorizzato. Niente va perso. E’ divertente, ci sentiamo tutti uniti. Senta, dato che lei sta cercando un posto dove mangiare perché non viene da me?”
“Ah grazie. Se questo paese è ospitale come lei siete meravigliosi.”

La casa della donna era un gioiellino, fuori sembrava ordinaria ma dentro era piena di quadri bellissimi e con un gioco di luci spettacolare. Rimasi incantato dal pavimento di marmo. Avrà avuto almeno cent’anni con fossili incastonati e visibili.
“Oggi sarebbe vietato un pavimento così –mi spiegò la donna mentre entravo-. Ma si sieda comodo. Le posso offrire del rosolio prima di pranzare?”
Passai uno dei pomeriggi più incantevoli della mia vita, con questa signora che mi raccontava le varie storie legate al suo paese, al mio paese di origine: il fiume di lacrime che aveva quasi inondato il paese, la decisione di costruire una diga come protezione, il sergente all’entrata, la piazza con il salice, le donne che diventavano più belle col tempo, il pavimento con i fossili, ognuno con la sua storia, i libri imparati a memoria e poi bruciati, la gentilezza, l’ospitalità, il perché il paese si chiamasse Biancatenda…

Non mi ricordavo di essere stato così felice. E non sapevo come ringraziarla, così a mia volta le donai la spilla di ambra, confessandole che non era ambra. La moidestia del mio dono mi emozionava. Ma era la cosa più preziosa che tenevo ed era la mia ultima copia. Sono solo un rappresentante di bigiotteria, ho solo scintille per la scena. La signora vide la sincerità nei miei occhi e apprezzò, si accorse che ero stato sincero con lei, come forse non ero mai stato.
Mi guardò con i suoi occhi scuri e disse piano:
“Sai cosa aspetta il salice?”
“No.”
“Aspetta qualcuno che lo abbracci con coraggio.”
Facemmo l’amore davanti al camino acceso mentre fuori pioveva, e fu meraviglioso.

Ogni tanto la vita, questa amara vita, mi fa un regalo. E questo lo ricorderò a lungo.




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