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mercoledì 13 aprile 2016

ANNIBALE
Annibale è stata la persona più simile al “buon selvaggio” che abbia mai conosciuto.
Di lavoro faceva lo “spallone”, quello che zaino in spalla trasporta merce di contrabbando tra le montagne di Italia e Svizzera attraverso sentieri sconosciuti e segreti. Era il tipico montanaro, con un folto barbone nero e gli occhi vispi, che ti salutava con un caloroso “buongiorno!” ogni volta che ti incrociava.
E anni fa doveva essere ancora più allegro, poi ebbe un incidente che gli paralizzò tutto un lato del corpo. Adesso trascorreva mesto il giorno a casa della sorella sposata, e ogni estate veniva in ospedale per un ciclo di riabilitazione. Lì l’ho incontrato.
Niente più camminate nei boschi, niente più bere acqua dai ruscelli, basta incontrare orsi e cerbiatti o raccogliere funghi di cui era espertissimo. Doveva fare dei sogni meravigliosi. Ah Annibale, non te lo meritavi. Ma chi è che se lo merita?
Totò diceva che cimitero è la “livella” dei morti. Ecco, in un certo senso l’ospedale è la livella dei vivi. Lì dentro non esistono più dottori, operai, casalinghe, pensionati etc, siamo tutti pazienti, diventiamo tutti uguali con il pigiama. Però Annibale era rimasto selvatico dentro, lo si intuiva. La sua natura primitiva emergeva subito.
Avevamo la stessa età ma non era mai stato in una città e la sua freschezza quando ci parlava era deliziosa. Passava assorto le giornate a guardare fuori dalla finestra, grattandosi il barbone nero, non aveva mai visto così tante luci sulla terra.
Tutto era nuovo per Annibale. Come si era stupito la prima volta che aveva visto una piscina costruita da esseri umani. Aveva una faccia… Una mattina mi svegliasti impaurito:
“Luca, Luca! Sono arrivati i cinesi!”
“Chi? Cosa? Ma che cav…”
“Lì, guarda fuori dalla finestra! Al cantiere!”
“Cosa c’è di strano? Sono i lavoratori che arrivano.”
“Sono cinesi!”
“Ma no, saranno extracomunitari, marocchini, rumeni… Perché dici che son cinesi?”
“Sono tanti!”
“Ma no, saranno una trent…”
“Sono tantissimi! Sono i cinesi!”
Io ti spiegavo con calma le cose e a volte mi sembrava di parlare con un bambino, per cui era tutto nuovo. Ma no, non eri un bambino, solo un montanaro, fuori dal suo mondo fatto di fiumi, prati e scoiattoli e che non aveva mai visto dal vero un grattacielo o una torre. Eppure cercava di unire i due mondi, di trovare qualcosa in comune.
Come quando guardavi il traffico e intanto dicevi: “guarda, le macchine sono come le formiche, si muovono tutte insieme.”

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