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sabato 30 aprile 2016

GRATTINI

“Sì, così… dai dai…. Bravo umano, non ti fermare…oh che belessa….sotto il mento adesso…sulla testa…bravo, soffermati lì, vedo che hai capito…sì, continua, continua…”
“Sei incantevole quando ti faccio i grattini e chiudi gli occhietti. Si vede che ti piace. Sembra quasi che sorridi.”
“Non parlare, vai avanti…sì, qui tra gli occhi…e poi ancora sulla testa….rrrr… attento alle orecchie…”
“Tranquilla, so che son delicate.”
“Più forte adesso, più deciso…”
“Mi sto impegnando. Sai che con te riscopro la mia felinità?”
“Non so cosa intendi… Parla pure se vuoi, ma piano. Coccolami anche con le parole. E non ti fermare…Sì, qui bravo. Questo punto mi piace tanto, insisti.”
“Sai, ho notato che non ti fai nessuna remora a chiedere di essere coccolata e viziata. Non hai proprio il senso di colpa di noi umani. Apprendi, eccome se apprendi, ma mai la vergogna.”
“Non osare fermarti.”
“…vivere senza sensi di colpa. Ah se potessi essere come un felino. Se io continuo con i grattini me lo insegnerai?”
“Vedremo. Se mi piace una cosa la chiedo…sono fatta così, siete voi umani ad essere strani e negarvi un piacere… tu continua, continua…ahhh, bravo. Lì mi piace.”
“Hanno proprio ragione i persiani. Lo sai cosa dicevano?”
“mmm…dimmi, dimmi…”
“Che Allah ha creato il gatto perché l’uomo provasse il piacere di accarezzare una tigre.”
“Ah sì, mia cugina. Adesso basta grattare la testa. Accarezzami il collo, la schiena…mmmm…”
“Farò anch’io come te, ho deciso. Da ora in avanti va così, farò come i gatti, se mi piace una cosa la chiedo.”
“Bene. Adesso basta però, lasciami andare. A dopo.”
“Ma come, te ne vai?”
“Tu stesso l’hai detto prima, quando mi paragonavi alla tigre, che è libera nella foresta. Pensi che io sia così diversa?”



mercoledì 27 aprile 2016

SVEGLIATI

“Sveglia!”
“Eh, chi è?”
“Giochiamo?”
“Ma che ora è?”
“L’ora del divertimento!”
“Sono le 6. Ma i gatti non dormono 18 ore al giorno?”
“Forza, alzati che giochiamo.”
“La mia gatta. Il mito. La leggenda. Lasciami però riposare ancora un poco.”
“Guarda che bello che ti ho portato qui sul letto.”
“Tesoro grazie. Che roba è?”
“E’ bello lucido e rotola. Fa un bellissimo rumore sul pavimento la notte.”
“Ah ecco, allora non era un incubo.”
“Te l’ho portato da vedere. Ti piace?”
“Ma che cos’è? Mi sembra un tappo.”
“Bello vero?”
“Aspetta…mi sembra… Ma questo è…è il tappo dell’olio! Aaaaa cosa hai fatto?”
“L’ho preso di là in cucina.”
“Oddio oddio che hai combinato!”
“Vedi che ti sei alzato?”


martedì 26 aprile 2016

COSA VUOL DIRE "FASCISTA" PER ME
In occasione del 25 aprile, in cui l'Italia festeggia la liberazione dal fascismo, vi dico cosa vuol dire per me fascismo.
Per me il Fascismo non è il partito politico fondato da Mussolini, l'MSI di Almirante etc, per me è un METODO: è fascista chiunque usa la VIOLENZA per imporre le sue idee, che infligge dolore per avere ragione.
Esistono "fascisti" rossi oltreche "fascisti" neri, entrambi usano la violenza, anche se i loro fini sono diversi. Non esiste la violenza buona, è sempre fascista chi la usa. E le guerre non vanno combattute, le guerre vanno fermate. Se usi la violenza usi un metodo fascista, qualunque sia il colore della tua bandiera o i tuoi nobili scopi.
Di questo sono convintissimo. Limitare il "fascismo" ad una parte politica sola è un errore. Oggi purtroppo festeggiamo la liberazione da un partito politico, non da un metodo.
Datemi pure contro ma la penso così.

lunedì 25 aprile 2016

IL NULLA


“Mi piacerebbe sapere cosa stai fissando così intensamente. Sei talmente immobile che pari una statua egizia.”
“Non mi distrarre, umano.”
“E’ un quarto d’ora che stai guardando il nulla. Si vede che stai guardando qualcosa, perché ogni tanto i tuoi occhi si muovono, ma lì non c’è niente. Mi sono messo qui vicino a te ma non ho visto nulla.”
“Per favore…”
“Tranquilla, poi ti lascio stare. E’ che vorrei solo capire. Tu vedi in questa casa qualcosa che io non vedo. Dove io vedo il nulla, tu percepisci qualcosa. Ma cosa, dimmelo per favore, non restare in silenzio.”
“Zitto.”
“Devo sapere. Cosa c’è dietro al frigorifero che ti appassiona così tanto? Perché fissi il muro, o il divano, per lunghissimi minuti? Cosa vedi nel buio? Aspetti qualcuno? Ci siamo solo io e te in casa.”
“Non capiresti. Il buio è pieno di colori.”
“Lo so che i tuoi occhi sono più acuti dei miei. Tu sei una magnifica creatura e mi hai incantato completamente, ho imparato a fidarmi ecco perché sono curioso. Il nulla per te non è vuoto.”
“Stupido umano. La curiosità ti ucciderà.”
“Vedi animaletti per me troppo minuscoli? Le correnti d’aria? Le sconosciute creature nel pulviscolo? O forse, come dicono nei romanzi di fantascienza, percepisci i vortici del tempo e i campi magnetici? Oppure stai ascoltando qualcosa, voci soprannaturali?”
“Immagina tutto quello che vuoi ma adesso ti prego non mi distrarre, lasciami stare.”
“Va bene, come preferisci. Ma poi mi spiegherai cosa c’è di così interessante. Io mi faccio mille fantasie ma solo tu sai la verità. Sono grande e ottuso, dammi una mano.”
“Un giorno te lo spiegherò. Anzi una notte, mentre stai sognando, camminerò nei tuoi sogni e ti rivelerò tutto. Ma fino ad allora devi aspettare.”
“Che affascinante mistero sei.”
















domenica 24 aprile 2016

LA PRIMISSIMA VOLTA


Ogni volta, ogni volta che il cameriere a fine pranzo passa tra i tavoli chiedendo “Amaro, grappa, limoncello? Chi vuole?” per me è momento di imbarazzo. Guardo per terra, faccio finta di cercare qualcosa in tasca, prendo urgentemente il cellulare etc. I superalcolici mi disgustano e mi sento diverso dagli altri.  A questo punto però a voi posso rivelare perché.
Aziono la macchina del tempo e ritorno a quando avevo 15 anni, appena reduce da una incurabile delusione amorosa (tranquilli, poi la ricerca ha fatto passi da gigante). Per farla breve, seguendo chissà quali percorsi mentali, decisi ufficialmente di prendere la mia prima vera sbornia. Afferrai la prima bottiglia di superalcolici che trovai nella casa di montagna e me la scolai anche se bruciava la gola, senza nemmeno guardare cos’era.

Grave errore. Hai sbagliato, Luca, hai sbagliato. L’alcool ci mette circa mezzora a fare effetto ma se nel frattempo ti sei bevuto vino o birra niente di male, ma se è qualcosa di forte rischi di finire in ospedale. E nel mio caso era vodka, alcool quasi allo stato puro. Non finii in ospedale ma poco ci è mancato.
Iniziai a non capire più niente e a barcollare. Due amici mi portarono di peso a letto (ancora dopo tanti anni, grazie ragazzi) dove mi misero accanto una bacinella. Vomitai tutti i santi del firmamento, da sant’Abate a san Zuzzurro. Stavo malissimo, non facevo altro che stare male.
Ma il peggio doveva ancora venire. Mi scappò da pisciare e tremolante sulle gambe, attaccandomi al muro, arrancai sino al bagno. Mi sedetti sul gabinetto ma… non riuscivo ad urinare! Neanche una goccia! Oddio, cosa mi stava succedendo?
Terrore. I minuti passavano, la pressione dentro aumentava ma la pipì non usciva! Non usciva! Mi spaventai tantissimo, quel piccolo gabinetto di montagna me lo ricorderò per sempre.

Non sapevo che, a causa della vodka, ero andato in blocco urinario. I muscoli si erano irrigiditi (tecnicamente: ipertono) e non rispondevano più ai comandi. Nel mio caso bisognava solo stare calmi, armarsi di pazienza e aspettare che svanisse l’effetto dell’alcool. Dopo qualche tempo i muscoli si rilassano e la vescica si svuota.
Ma io allora non lo sapevo, sentivo solo un senso di pressione pazzesco e in quel bagnetto passai una delle ore più terrificanti della mia vita. Avevo 15 anni e temevo che qualcosa si fosse rotto, che non sarei più tornato normale, che sarei esploso. I miei amici erano anche più giovani di me e non ne sapevano nulla.
Lentamente però, goccia a goccia, il liquido uscì e quando il giovane Luca venne fuori dal bagnetto aveva preso una storica decisione, non si sarebbe più ubriacato in vita sua.

Non tutto il male viene per nuocere insomma. Dopo tanti anni posso dire che ho rispettato quella promessa. Magari brillo e qualche volta alticcio, ma non ho mai più esagerato, rinunciando in partenza a quel senso di ebbrezza che spesso l’alcool porta. E, anche se rischio di passare per asociale e sembrare meno virile e reggere poco l’alcool a differenza di tanti Superman, sono sempre stato lontano dai superalcolici.

Certe volte da giovani si prendono le decisioni giuste. 

sabato 23 aprile 2016

L’ULTIMO TABU’, QUELLO GRANDE


Ad un amico americano in visita da noi, tra le tante chiacchiere estive, ho rivolto la classica domanda “cosa ti ha stupito qui in Italia?”.  La prima risposta è stata “che qui mangiate i conigli”, da loro considerati teneri animali domestici, un po’ come da noi i gatti.
E dopo, oltre alle solite banalità (ma che fa sempre piacere sentire) su bellezze artistiche e clima mi ha riferito che noi italiani parliamo di tutto, ma proprio tutto, anche di argomenti che scandalizzerebbero in un salotto statunitense. Per esempio si era sentito chiedere la sua posizione sessuale preferita. E subito dopo ogni interlocutore -non io, il vostro gaffeur professionista- volava con noncuranza su spinose domande riguardanti sentimenti personali, o convinzioni politiche o religiose, argomenti per un americano delicatissimi.
Nel tentativo di sviare un discorso per lui sin troppo intimo, l’amico rivolgeva allora la classica domanda americana da party per rompere il ghiaccio: “how much money do you get every year?” (“quanto guadagna ogni anno?”), e sempre notava a sua volta l’imbarazzo calare, a mo’ di Pentecoste, sul volto dell’italiano. Aveva toccato il nostro tabù, il vile denaro.
“Mah, non so… non mi occupo di queste cose… devo chiedere al commercialista… ora non ricordo… perché mai questa domanda?” e via discorrendo e sviando, come si dice commercialista in inglese?

Per lui era diventato quasi un gioco. Ogni volta che si sentiva dagli italiani rivolgere antipatiche questioni che entravano a gamba tesa nella sua intimità (“ma dai, è tanto per parlare. Conosciamoci un po’, le nostre culture hanno così tanto da condividere…”), se fronteggiava un maschio adulto passava al contrattacco con la domandina di cui sopra. Se aveva davanti invece una bella ragazza le chiedeva con aria innocente come mai in italiano la luna è femminile (in inglese è di genere neutro). Tecniche di seduzione.

I soldi sono l’ultimo tabù in Italia. Un argomento di cui non si parla, che si fa ma non si dice. Altro che il sesso o la morte (che comunque si difende bene) o i sentimenti. Qui da noi potete chiedere e parlare di tutto. Veramente, postate su internet una qualsiasi domanda e inizia un dibattito. Ma provate a chiedere informazioni sul reddito dell’interlocutore e vedrete facce scandalizzate dalla vostra impertinenza e dopo tutti scapperanno come conigli (gnam!).
La diffidenza in questo settore da noi impera. In Italia se parli di soldi c’è qualcosa che non va. E’ ammesso solo se hai da lamentarti (bollette, multe, tasse, etc) altrimenti meglio non dire niente.

“Sembra quasi –rifletteva il mio amico americano- che per voi avere valore e guadagnare siano due cose distinte.”
“In effetti è così, amico mio. Siamo talmente abituati a vedere la gente sbagliata nei posti più alti che ormai quello che dici tu è quasi rovesciato.”
“In che senso?”
“Inevitabilmente se parli di soldi fai la figura dello sfigato o dell’impiccione, o peggio del lestofante che si arricchisce con manovre improprie, a scapito di qualcun’altro.”
“Anche per le donne è così?”
“E’ un po’ diverso. Se sei una donna e hai successo invece l’hai data via, chiaro. Non si può spiegare in altro modo il tuo successo, carina, hai fatto la puttana. Ti assicuro che questo pensiero in Italia attraversa come un lampo la mente di tutti, anche nei casi migliori. Ecco perché non si parla mai di soldi. Il merito non esiste, se si guadagna c’è qualcosa di losco. E se invece non guadagni vuol dire invece che non sei furbo, sei solo uno scemo.”
“It’s terrible.”
“In Italia abbiamo un proverbio, a pensar male si fa peccato ma si indovina.”
“Non posso pensare che siete tutti disonesti e senza valore.”
“Ovviamente no, ma in genere il nostro livello morale è più basso che altrove. In genere siamo molto corruttibili. Gli altri ovviamente, non i presenti. Ma non pensare male tu ora, è anche una difesa da uno stato che percepiamo in genere come ingiusto. Da noi si dice che siamo fieri di essere italiani solo quando vince la Nazionale.”
“Incredibile quello che mi dici. Eppure la vostra è una terra bellissima e santa, ci vive il Papa!”
“Su questo argomento nun me fa’ parlà che me comprometto.”
“Ma tu non sei fiero di essere italiano?”
“Passiamo alla seconda domanda.”
“Interessante… che tabù strano. Unite i soldi alla vergogna. Pensate di non meritarvi quello che guadagnate. Sembra quasi…posso dirti una mia impressione di esterno?”
“Dimmi.”
“C’è qualcosa di sbagliato secondo me nel vostro rapporto con i soldi. Sembra che l’argomento vi faccia paura.”
“Su questo ti do ragione. Io stesso mi accorgo che faccio fatica ad avere un buon rapporto, ma che dico? Un rapporto normale coi soldi. Passavo attraverso periodi di abbondanza sfrenata e altri di bolletta sparata. Sai cosa mi è servito molto per darmi una regolata?”
“Rimanere al verde?”
“No, andare in Israele.”
“Dagli ebrei?”
“Sì, loro. E’ gente attentissima al lato economico della vita e non se ne vergognano affatto. Noi li prendiamo in giro ma sotto sotto vorremmo imitarli. Non hanno quel pudore quasi morboso che c’è tra noi sull’argomento. Grazie a loro ho imparato a guardare in faccia questo aspetto della vita.”
“Non siete sinceri sull’argomento. La vostra società ha un problema insomma, se è vero che ogni tabù nasconde l’importante.”
“Penso di sì.”
“Ma tu quanto guadagni ogni anno?”







martedì 19 aprile 2016

LA FINE DEL MONDO (parte seconda)


“Amore?”
“Si cara, dimmi.”
“Non vieni a letto?”
“Ah proprio adesso? Ma sta finendo la p… Ho capito, adesso arrivo, arrivo subito.”
“Bravo, ti aspetto di là.”
“Meno male che ti è passata. Prima ti eri arrabbiata forte.”
“Chi, io?”
“Va bene, ho capito, come non detto. Niente. Fa finta che non ho detto niente.”
“Ecco bravo, che ti conviene.”
“Quanta pazienza ci vuole, aveva ragione mio padre”
“Attento…e comunque ti voglio bene anche per questo. Solo tu mi capisci. Sei così tenero.”
“Non so perché ma mi sembra un’offesa. In che senso?”
“Nessun senso, caro.” (gli dà una carezza)
“Finalmente un gesto di pace.”
“Ma noi due siamo in pace, tesoro, di che stai parlando? Stai scherzando?”
“Cara, non so se temerti di più quando pensi alla guerra o quando vuoi far la pace.”
“Vai a prendere intanto il vino bianco aperto in frigo, ho voglia di un bicchiere…”
“Vuole anche i calici di cristallo, madame?”
“Non polemizzare e fai l’uomo, caro. Prendi da bere alla tua donna. E vedi anche di mettere un bel camino romantico in questa stanza, non sarebbe male per l’atmosfera.”
“Come nei telefilm americani, un camino caldo e discreto. Metto anche un po’ di musica?”
“No, lascia perdere dai, scherzavo, vieni qui.”
“Sai a volte per me è difficile capire dove ho sbagliato con te. Alla fine ci rinuncio.”.
“Perché vuoi rovinare questo momento tenero? Intanto versami da bere.”
“Tieni fermo il bicchiere. Sai, non va molto bene però.”
“L’ho capito, caro, sei troppo razionale.”
“Tu prima gridavi. A volte non ti sembra di esagerare un po’?”
“No.”
“Non capisco perché ti comporti così.”
“Dai, basta parlare. Ti vuoi vendicare? Vieni qui e abbracciami. Adesso basta parlare.”
“Però bisogna risolverla questa cosa.”
“Attento caro, stai sfiorando la fine del mondo.”
“Quale fine?”

“Non la vedi? E’ qui, sdraiata sul tuo letto.”

lunedì 18 aprile 2016

ARIA PULITA
“Pronti per abolire le auto a benzina? Passeremo a quelle a energia elettrica e l’aria sarà più pulita. Vi piace l’idea?”
“Finalmente guarda, non vedo l’ora. Respirare a pieni polmoni, che bello. Ma come possiamo fare?”
“Semplice. Basterà emettere una legge che proibisce tutte le auto a benzina. Non è così difficile, bisogna raccogliere una quota di firme e mettere giù bene una proposta di legge. E poi indire un referendum. Vinceremo a mani basse, a chi è che non piace l’aria pulita? Dai che si può fare.”
“Sai che ti dico? Io già lo faccio adesso. Rottamo la mia a benzina!”
“Bravo!”
“Oplà! Fatto, rottamata. E adesso vai con le automobili elettriche. Ne voglio una bella grande per la mia famiglia. Dove si prendono?”
“Ehm non ci sono ancora così grandi, bisogna perfezionare delle cose. Ma ci stiamo arrivando.”
“E io nel frattempo come mi sposto?”
“Beh, per ora puoi sempre usare l’auto a benzina.”
“Ma l’ho rottamata! Adesso è inservibile.”
“Tranquillo. Intanto che realizzano le auto elettriche, puoi sempre comperarne una a benzina dall’estero.”
“Ah, ma allora…soldi a parte, ma a cosa servirebbe fare il referendum?”
“Ad avere l’aria più pulita!”
“Certo, abbiamo l’aria pulita qui. Ma perché abbiamo sporcato di là. E sai questa secondo me come si chiama?”
“Volontà popolare?”
“Ipocrisia.”

sabato 16 aprile 2016

UMANAMONDO

Questa è una foto storica. Dopo mesi di intenso lavoro del vostro affezionatissimo, che ha setacciato mezza Lombardia, ecco il primo gruppo di psicologi in lingua madre a Milano per gli extracomunitari. Giovani spagnoli, rumeni, moldavi, arabi, albanesi e ancora ne cerchiamo.

Fotografo il responsabile del gruppo cioè io. 
 Da sinistra: Suzana, Ioana, Diana, Marzia, Sabrina, Albert, Yrin, Martina. Forza ragazzi, siete tutti laureati e in Italia fate gli educatori o le badanti. Ma ora abbiamo un sogno da realizzare.
Ci aspetta una nuova avventura ora. Ambasciate, scuole e associazioni, a noi!

mercoledì 13 aprile 2016


Il vino è spia dell'amore. 
Ci diceva Nicàgora di non amare, 
ma lo tradirono i molti bicchieri. 
Abbassò il viso e pianse: un'ombra 
gli velava lo sguardo: 
nemmeno la corona di viole 
gli rimase stretta sul capo.


(Asclepiade, III° sec. A.C.)
ANNIBALE
Annibale è stata la persona più simile al “buon selvaggio” che abbia mai conosciuto.
Di lavoro faceva lo “spallone”, quello che zaino in spalla trasporta merce di contrabbando tra le montagne di Italia e Svizzera attraverso sentieri sconosciuti e segreti. Era il tipico montanaro, con un folto barbone nero e gli occhi vispi, che ti salutava con un caloroso “buongiorno!” ogni volta che ti incrociava.
E anni fa doveva essere ancora più allegro, poi ebbe un incidente che gli paralizzò tutto un lato del corpo. Adesso trascorreva mesto il giorno a casa della sorella sposata, e ogni estate veniva in ospedale per un ciclo di riabilitazione. Lì l’ho incontrato.
Niente più camminate nei boschi, niente più bere acqua dai ruscelli, basta incontrare orsi e cerbiatti o raccogliere funghi di cui era espertissimo. Doveva fare dei sogni meravigliosi. Ah Annibale, non te lo meritavi. Ma chi è che se lo merita?
Totò diceva che cimitero è la “livella” dei morti. Ecco, in un certo senso l’ospedale è la livella dei vivi. Lì dentro non esistono più dottori, operai, casalinghe, pensionati etc, siamo tutti pazienti, diventiamo tutti uguali con il pigiama. Però Annibale era rimasto selvatico dentro, lo si intuiva. La sua natura primitiva emergeva subito.
Avevamo la stessa età ma non era mai stato in una città e la sua freschezza quando ci parlava era deliziosa. Passava assorto le giornate a guardare fuori dalla finestra, grattandosi il barbone nero, non aveva mai visto così tante luci sulla terra.
Tutto era nuovo per Annibale. Come si era stupito la prima volta che aveva visto una piscina costruita da esseri umani. Aveva una faccia… Una mattina mi svegliasti impaurito:
“Luca, Luca! Sono arrivati i cinesi!”
“Chi? Cosa? Ma che cav…”
“Lì, guarda fuori dalla finestra! Al cantiere!”
“Cosa c’è di strano? Sono i lavoratori che arrivano.”
“Sono cinesi!”
“Ma no, saranno extracomunitari, marocchini, rumeni… Perché dici che son cinesi?”
“Sono tanti!”
“Ma no, saranno una trent…”
“Sono tantissimi! Sono i cinesi!”
Io ti spiegavo con calma le cose e a volte mi sembrava di parlare con un bambino, per cui era tutto nuovo. Ma no, non eri un bambino, solo un montanaro, fuori dal suo mondo fatto di fiumi, prati e scoiattoli e che non aveva mai visto dal vero un grattacielo o una torre. Eppure cercava di unire i due mondi, di trovare qualcosa in comune.
Come quando guardavi il traffico e intanto dicevi: “guarda, le macchine sono come le formiche, si muovono tutte insieme.”

martedì 12 aprile 2016

LA FINE DEL MONDO (parte prima)

“Cos’hai?”
“Niente.”
“Mi sembri arrabbiata. C’è qualcosa che non va?”
“Niente.”
“Ah ok, allora non c’è da preoccuparsi…”
“Cosa?”
“Per un attimo mi era fregato qualcosa!”
“Ecco! Lo vedi come sei?”
“Ma dai, stavo scherzando.”
“Sono molto delusa, se lo vuoi sapere.”
“Dai, stavo scherzando. Veramente. Delusa da cosa poi?”
“Delusa da questo tuo atteggiamento.”
“Quale atteggiamento?”
“Stronzo!”
“Perché mi insulti?”
“Perché te lo meriti!”
“E cosa avrei fatto?”
“E hai anche il coraggio di chiederlo?”
“Certo, se non lo so te lo chiedo,”
“Ma cos’hai nella testa, si può sapere?”
“Mah, le solite cose, direi. Qualcosa non va?”
“Ma cosa ti era saltato in mente?”
“Ah, è qualcosa che ho fatto?”
“No!”
“Qualcosa che non ho fatto?”
“Pensaci!”
“Oddio lo sapevo, ricominciamo con le solite paturnie.”
“Sempre così sei. Ah, lo sapevo che non mi ascoltavi. Tu non mi ascolti, non mi hai mai ascoltato!”
“Senti, io mi sarei anche rotto le palle di starti dietro.”
“Sempre così tu. Mi stai facendo piangere!”
“Ma no, non piangere, dai vieni qua.”
“Non mi toccare, porco!”
“Ma si può sapere cosa vuoi?”
“Tu non mi ascolti mai, mai!”
“Dimmi un po’, non è che stai cercando un pretesto per litigare?”
“No, sei tu che vuoi litigare, che vuoi farmi piangere!”
“Ma non è vero!”
“E’ colpa tua,  guarda mi stai facendo piangere!”
“Senti, se non ti spieghi bene io me ne vado di là. Tra poco inizia la partita.”
“Non ti azzardare sai? Adesso che hai iniziato devi finire!”
“Ma finire cosa? Mica è la fine del mondo. Oddio, non ci sto capendo più niente.”
“Non capisci mai niente tu!”
(l’uomo la prende per le spalle, la gira e la bacia)
“Non mi toccare! Tu vuoi solo stare bene, di me non ti importa niente!”
“Zitta, dai.”

“Non mi ascolti mai…mai…”

sabato 9 aprile 2016

PRIMA USCITA
“Ciao, occhi belli. Finalmente ti sei decisa.”
“Eccomi qua.”
“Era tanto tempo che ti aspettavo. Ogni giorno passavo davanti alla tua porta sperando di vederti.”
“Oggi il mio umano l’ha lasciata aperta. Io ho guardato fuori sulla soglia, era proprio una bella giornata e mi sentivo bene. Poi mi sono detta “Perché no?”, e allora sono uscita a vedere.”
“Hai fatto bene.”
“Come è grande qui. Si può correre! Ci sono tanti odori nuovi.”
“Anche tu sei diventata grande.”
“Questo me lo dicono tutti gli umani che venivano a trovarci. Non è però che sono cresciuta troppo? Stando sempre in casa forse sono ingrassata un po’.”
“No, sei bellissima. Hai tutte le curve al punto giusto. Sei proprio bella. Mi piaci.”
“Grazie! Senti…ma è quello il sole di cui mi parlavi?”
“Certo, oggi è delizioso.”
“E’ bellissimo, non pensavo fosse così caldo. E quelle cosa sono?”
“Nuvole. Accompagnano il sole durante il giorno.”
“Ahhhh, non le avevo mai viste. E quello? E quelle?”
“Calma, occhi belli, calma. Imparerai il nome di tutto. Vieni con me adesso, ti porto dagli amici.”
“Ci sono altri come noi?”
“Ma certo. Gli ho parlato di te e non vedono l’ora di conoscerti. Vedrai, siamo una bella compagnia. Ci divertiamo, giochiamo, corriamo, diamo la caccia ai topini.”
“Cosa sono?”
“Quelli piccoli e grigi, con la codina e che si muovono in fretta.”
“Anche il mio umano ne ha uno attaccato ad una molla, ma il suo non si muove.”
“Vedrai, questi sono velocissimi. Sono diversi, sono vivi. E’ divertente rincorrerli.”
“Cosa aspettiamo allora? Andiamo! Non vedo l’ora di correre un po’.”
“Vieni con me in cantina, ho una collezione di topini da mostrarti.”
“Davvero?”
“Seguimi, prima però ti faccio vedere il mondo.”

mercoledì 6 aprile 2016

LA PRIMA CASA

La prima casa, all’alba dei tempi, erano le conchiglie di ogni forma e dimensione. Ancora oggi le lumachine si portano le loro casette sulle spalle. Tutto nasceva da lì. Si diceva che anche la donna più bella del mondo fosse nata da una conchiglia.
Avevo un’amica che dormiva in un letto costruito proprio a forma di conchiglia. La mattina si svegliava, si stirava e poi diceva “mmmm, sono troppo bella per andare a scuola!” Al che entrava sua madre che le gridava “Se non ti alzi subito ti tiro due ceffoni!”

Lei allora si preparava e dopo entrava in cucina, dove trovava suo padre per la colazione. Lo guardava mentre si preparava il caffè e poi gli chiedeva:
“Papà, ma io sono bella?”
“Certo tesoro.”
“E sono grassa?”
“No amore, anzi sei la più bella del mondo.”

Poi veniva a scuola, e noi la vedevamo sempre entrare sorridente.

domenica 3 aprile 2016

IL RAPPRESENTANTE DI BIGIOTTERIA


Lavoro come rappresentante di bigiotteria, l’automobile è la mia vera casa. Guido almeno 70-80.000 chilometri all’anno, ogni due-tre anni l’auto è da cambiare. Non credete a chi vi dice che il rappresentante ha avventure e se la spassa, sono balle, io la sera sono sempre stanco morto. Alle 17.00 inizio a cercare un albergo, un motel, un letto che non sia in un posto troppo squallido. In questi anni ho visto, dormito e mangiato dappertutto. 
Oggi va di moda l’etnico, ma la mia specialità è una spilla di ambra (che non è ambra) incorniciata in perla (che non è perla). Sembra rara e antichissima, anche se in realtà l’hanno fatta inghiottire pochi anni fa ad un tacchino, che l’ha macerata bene. E’ splendida, la tiro fuori se voglio fare effetto ai clienti. Di solito funziona
Ma non vi volevo parlare di questo, ma di qualcosa che penso vi possa interessare. C’è una storia da raccontare.

Stamane sono passato vicino a Biancatenda, il mio paesello natale. Un poco fuorimano, non mi ricordo niente di lui anche se a sentire i miei ci avevamo vissuto lì per i primi 2 o 3 anni della mia vita, dopo ci siamo trasferiti a Milano. Aspetta, qualcosa mi ricordo. Un prato verde, un ruscelletto, alberi, case. Ricordavo una piazza ma indistinta. Tutto troppo vago.
Ma sì, dai, andiamo a vederlo, tempo oggi ne ho. Poco mi raccomando, sul tardi avrei un appuntamento. Per entrare nel paese bisognava attraversare un ponte lungo e curvo, di cui non avevo alcun ricordo. Ponte chiuso da una sbarra. Olè, il viaggio nel passato è finito ancora prima di iniziare. In un gabbiotto c’era un uomo che stava contando delle carte.
“Ehilà. Scusi… mi sente?…”. Niente non mi sentiva. Scesi dalla macchina e bussai al vetro. L’uomo aveva un grande nasone e un cappellino quasi militare, che lo rendevano un filo ridicolo. Strana moda in questo paese, meno male che me ne sono andato via presto. Mi ero sbagliato sulla sua attività, in realtà le carte le stava incollando. Alzò gli occhi, mi vide e aprì lo sportello.
“Cosa vuole?”
Che simpatia. 
“Buongiorno, una informazione. Io sono nato in questo paese, Biancatenda, ma me ne sono andato che ero bambino. Vorrei solo rivederlo, è possibile passare?”
“Ah sì sì ma certo, aspetti che le alzo la stanga. Qui non ci viene mai nessuno.”
Mentre tornava dentro a schiacciare dei pulsanti mi venne un dubbio, e una domanda.
Mi perdoni non sono pratico, ma perché il ponte è chiuso al traffico? C’è qualche problema, è pericolante?”
“Ponte? Quale ponte?”
Mi sembrava di essere in una commedia dell’assurdo. Battei i piedi per terra. “Beh, questo ponte.” Mi era venuta in mente un’altra idea, di stare entrando in un zona militare. Ma no, pensai, di guardia avrebbero messo un soldato vero, mica quel vecchietto.
“Questo? Ma non è un ponte, è una diga.”
Ostrega, era vero. Mi sa che il rincoglionito ero io. Mi accorsi solo allora che mentre da una parte del ponte c’era l’acqua, dall’altra era tutto asciutto. Una diga. Per bloccare il fiume, e fornire di energia il paese, immagino. Previdenti, quelli di Biancatenda. Però. Il mio disagio si trasformò in orgoglio, e l’orgoglio di essere nato in quel minuscolo paesino fece un balzo in avanti.

Mi volli informare. “Che fiume è questo? Non mi ricordo di nessuna diga. Forse l’hanno costruita da poco.”
“Mica tanto. Da circa 40 anni.”
“Ah, dopo che me ne sono andato via dunque. E quel fiume come si chiama? L’acqua è bella limpida.”
“Non è acqua, sono lacrime.”
“Lacrime?”
“Hanno costruito la diga come protezione, altrimenti le lacrime avrebbero allagato il paese. Hanno messo me a controllare che rimanga tutto tranquillo, ma ultimamente il livello continua ad alzarsi. C’è una pressione che aumenta, e non mi piace. Sono preoccupato. Prima o poi bisognerà prendere provvedimenti.”
“Ha ragione. Senta –dissi indicando il suo cappello-, mi tolga una curiosità, lei è un militare?” 
“Ero e sono sergente –rispose sorridendo e mettendosi quasi sull’attenti-, adesso sono in pensione, e mi hanno messo qui. Ho una pallottola nella gamba come ricordino sa? Mi fa un male cane al polpaccio, sento ogni cambiamento di tempo. A proposito, se vuole visitare il paese è meglio che si sbrighi. Tra poco piove.”
“Vado. Senta, c’è mica un buon ristorante da quelle parti?”
“Sicuro. C’è una buona trattoria, la vede subito nella piazza. Fanno un risotto favoloso.”
“Bene, grazie e buon lavoro!”

Mi rimisi in macchina per attraversare la diga, mentre il guardiano ritornava nel gabbiotto. Vidi dallo specchietto retrovisore la stanga abbassarsi e chiudere l’entrata. Speriamo che l’uomo ci sia anche al ritorno. Sbrighiamoci dai. La strada si dirigeva verso il basso. La diga dominava il paesello, lo sovrastava. Mentre percorrevo la strada, era impressionante vedere in una metà il paese nel verde e nell’altra metà la parete di cemento della diga.
La strada asfaltata terminava proprio nel paese di Biancatenda, non andava avanti. Una piazza italiana con il solito bar, chiesa, municipio, case. Se era quella, era molto più piccola di quanto ricordassi. In giro non c’era nessuno. Quante ne avevo viste di piazze così in questi anni. Però questa aveva qualcosa di insolito di cui non avevo ricordo: al centro delle piazze di solito spruzza una fontana, o un monumento dedicato a qualche eroe. Qui capeggiava invece un albero, circondato da una aiuola dal significato evidente: non toccare.
Non me ne intendo di alberi, ma questo mi sembrava un salice piangente. Di solito i salici piangenti non crescono in riva ai fiumi? Questo paese ha dei problemi con l’acqua, conclusi.
Scesi dalla macchina e mi avvicinai all’albero. C’era una targhetta di legno, con inciso il nome, “Salice che aspetta”. 
Aspetta cosa?

Intanto mi venne alle spalle qualcuno. Quando mi voltai vidi una signora matura e con gli occhi splendenti. Doveva essere stata molto bella da giovane, ed era ancora una bella donna. Per deformazione professionale notai che non aveva né orecchini né collane. Non ne aveva bisogno, la pelle del collo era ancora liscia.
Si accorse del mio sguardo ammirato e disse: “Non si preoccupi, siamo tutte così qui. In questo paese le donne diventano più belle dopo il parto. Sarà l’aria, l’acqua, e chi lo sa. Ma io non l’ho mai vista da queste parti. Chi è lei?”
A certi misteri non c’è iniziazione, venni proiettato dentro il paese. Risposi con il mio nome, e blabla, che era quasi ora di pranzo e mi guardavo in giro cercando una trattoria etc. La donna mi scrutò con i sui bellissimi occhi mentre le parlavo. Era vestita come negli anni ‘60 vestivano le signore, una eleganza molto compita, trattenuta. Da ragazza doveva essere magra ed elegante, con la boccuccia a forma di cuore. Chissà quanti ne ha fatti innamorare.
“Che buffo –disse- non mi ricordo di lei.”
“Me ne sono andato da più di 40 anni, ero ancora bambino.”
“La famiglia che si era trasferita a Milano?”
Che bella memoria. “Esatto signora, lei ha una bella memoria.”
“Grazie, ma tutti i giorni andiamo in biblioteca per esercitarci. Impariamo a memoria i libri e poi strappiamo le pagine.”
“E il bibliotecario non si arrabbia?”
“Certo, ma da noi si fa così. Purtroppo quando muore un vecchio è come una biblioteca che brucia. Ma parliamo molto tra noi, molto, e ci tramandiamo ciò che abbiamo memorizzato. Niente va perso. E’ divertente, ci sentiamo tutti uniti. Senta, dato che lei sta cercando un posto dove mangiare perché non viene da me?”
“Ah grazie. Se questo paese è ospitale come lei siete meravigliosi.”

La casa della donna era un gioiellino, fuori sembrava ordinaria ma dentro era piena di quadri bellissimi e con un gioco di luci spettacolare. Rimasi incantato dal pavimento di marmo. Avrà avuto almeno cent’anni con fossili incastonati e visibili.
“Oggi sarebbe vietato un pavimento così –mi spiegò la donna mentre entravo-. Ma si sieda comodo. Le posso offrire del rosolio prima di pranzare?”
Passai uno dei pomeriggi più incantevoli della mia vita, con questa signora che mi raccontava le varie storie legate al suo paese, al mio paese di origine: il fiume di lacrime che aveva quasi inondato il paese, la decisione di costruire una diga come protezione, il sergente all’entrata, la piazza con il salice, le donne che diventavano più belle col tempo, il pavimento con i fossili, ognuno con la sua storia, i libri imparati a memoria e poi bruciati, la gentilezza, l’ospitalità, il perché il paese si chiamasse Biancatenda…

Non mi ricordavo di essere stato così felice. E non sapevo come ringraziarla, così a mia volta le donai la spilla di ambra, confessandole che non era ambra. La moidestia del mio dono mi emozionava. Ma era la cosa più preziosa che tenevo ed era la mia ultima copia. Sono solo un rappresentante di bigiotteria, ho solo scintille per la scena. La signora vide la sincerità nei miei occhi e apprezzò, si accorse che ero stato sincero con lei, come forse non ero mai stato.
Mi guardò con i suoi occhi scuri e disse piano:
“Sai cosa aspetta il salice?”
“No.”
“Aspetta qualcuno che lo abbracci con coraggio.”
Facemmo l’amore davanti al camino acceso mentre fuori pioveva, e fu meraviglioso.

Ogni tanto la vita, questa amara vita, mi fa un regalo. E questo lo ricorderò a lungo.