LA FATICA PERMANENTE
(una storia che riguarda per fortuna pochi)
La
portinaia alla guardiola, che in questi mesi mi aveva visto passare
solo in sedia a rotelle, ha esclamato: “Ellapèppa, quanti
progressi! Ringraziamo Iddio!”.
Le
ho dato ansante una carezza e ho proseguito.
Per
la prima, prima volta dopo la polmonite dell’anno scorso (e due
mesi immobilizzato a letto in ospedale) sono riuscito a camminare
dalla porta di casa mia sino al portone del palazzo.
Camminavo
appoggiato alla stampella, un passettino dopo l’altro, stando
sempre attento a non cadere ma ho compiuto quei maledetti 50 metri
sulle mie gambe.
Che
bella giornata, che bel sole. Maggio, il mondo diventa ogni giorno
più bello.
“Dunque
sei uscito dagli arresti domiciliari, bene, buon per te.”
Grazie,
ma lunga è la strada verso una vera autonomia. Rinunciare alla
comoda sedia a rotelle poi non è stato facile, ogni tanto l’immagine
mi balzava in mente. La scacciavo ma come una mosca tornava. Non ci
pensare.
Guardandomi
dentro poi noto che non sono trionfante come mi aspettavo, è una
vittoria amara.
Ho
fatto troppa fatica in questi mesi. Non me l’aspettavo così
intensa. Una fatica permanente, una ginnastica a volte dolorosa, un
risparmio energetico continuo in cui tutto doveva essere a portata di
mano, pronto. Ogni inconveniente va previsto e risolto in anticipo e
se l’uva è alta ormai si rinuncia a priori.
Oggi
sono giunto a questa conclusione: che soffrendo di “fatica
permanente” dovrò contrastarla ogni giorno della mia vita con la
“ginnastica permanente”. Sarà vietato lasciarsi andare.
Penso
che comunque ora dormirò un poco, sono stanco.
Nessun commento:
Posta un commento