L’HANDICAPPATO (Avvertenza: parole forti. Non leggere se siete
sensibili o deboli di cuore).
Voi non avete mai
l’impressione di essere amati, accuditi, seguiti etc… a
condizione di rimanere un handicappato? Che i vostri tentativi per
una autonomia siano visti con condiscendenza, paura, sospetto?
Invece di
entusiasmo, sprone, ricerca di nuove soluzioni, spesso ho notato in
familiari e personale paramedico sguardi pieni di muto rimprovero se
facevo da solo. Lo so che rischio di scivolare, inciampare, cadere
per terra, farmi male. Senza contare il tempo che ci metto. Che ai
loro occhi quando ci provo sono un ingrato, un illuso, uno strambo.
Il guaio poi è
quando mi accorgo che questo sentimento l’ho interiorizzato e
faccio il “bravo malatino” che aspetta gli altri perché ha paura
di muoversi da solo. Mi odio in quei momenti.
Faccio un esempio
pratico: ricordo ancora di quando l’anno scorso ero in ospedale per
la polmonite. Due mesi allettato. A parte una infermiera (che ricordo
ancora con gratitudine) che mi accompagnava in bagno ogni volta,
quando dovevo far pipì tutte le altre mi guardavano stupite. “Hai
il pannolone, falla lì”.
E se dicevo che
volevo farne a meno mi guardavano come avessi qualche idea balzana in
testa. Soltanto dopo 10 giorni in cui, con manovre per il pappagallo
e il bagno che vi lascio immaginare, il pannolone era rimasto
asciutto si sono quasi rassegnate
“Vabbè, non ne
hai bisogno”. Quella che per me era una grande vittoria non fu
festeggiata (per inciso ho mantenuto questa autonomia, i rari
incidenti non mi hanno fatto cambiare idea).
Però mi sono
sentito relegato in un recinto. “Ti amo se stai buonino”.
No, non ci sto. Lo
so che sono cattivo, uno stronzo irriconoscente, ma mi ribello.
Ogni tanto però
sono stanco. Allora mi lascio manipolare senza protestare e chiedo
aiuto.
Sono momenti
diversi, magari a pochi minuti di distanza. Se incontri qualcuno che
capisce quando vuoi fare da solo e quando invece sei troppo stanco,
non fartelo scappare.
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