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martedì 29 marzo 2016

STONEHENGE


La vita a volte è bizzarra. Ero lì nello studio del commercialista, tra bollette e fatture, quando mi balenò un flash: “l’anno prossimo vado a Stonehenge”.
Fu un lampo che sgominò il buio insensato del mondo. Volevo festeggiare in maniera diversa del solito i miei 50 anni ma non avevo idea di che fare. A torto o a ragione era una data importante nella mia vita, una sorta di spartiacque. Però mettere in piedi una festa pacchiana non è da me, penso l’abbiate capito, la troverei di cattivo gusto. Anzi di più, non mi divertirei. Ma allora cosa?

Attraverso oscuri meandri, sepolta da qualche parte nel mio cervellino, dal commercialista emerse una notizia letta anni fa: il sito preistorico di Stonehenge, di solito inaccessibile al pubblico, ogni 21 di giugno -il solstizio d’estate, il giorno più lungo dell’anno- è aperto e gli inglesi vi accorrono a frotte.
Per i seguaci dell’antica religione che ancora sopravvivono e i loro sacerdoti, i Druidi, il solstizio è un giorno di festa, da celebrare con riti antichissimi e misteriosi, melodie oscure, invocazioni proibite dalle nuove chiese. Il Cristianesimo non è riuscito a spazzare via proprio tutto. Li disprezza come “riti pagani” ma qualcosa ha continuato a sopravvivere.
In quell’alba il sole, come scriveva San Francesco nel suo cantico delle creature, illumina il mondo “bellu et radiante cum grande splendore”, più forte che mai. Ed è una data anche vicina al mio compleanno.
Bene allora, trovata la connessione, quel giorno voglio esserci pure io a Stonehenge. Inghilterra, aspettami.

Stonehenge è forse il tempio più famoso della preistoria, in cui pietroni di svariate tonnellate formano un grande cerchio. Imponente e spettacolare ancora oggi, figuriamoci allora. Costruirlo, 4000 anni fa, deve essere stata una impresa eroica, che ha impiegato varie generazioni.
Le pesantissime pietre sono infatti state portate da lontano e collocate -si discute ancora come- una sopra l’altra. Gli antichi sono riusciti a costruire a mani nude quello che ancora oggi non capiamo. Perché lì? Perché in quel modo? E’ solo una sorta di osservatorio astronomico? Una chiesa all’aperto? Un luogo sociale?
Solo una potente motivazione mistica poteva smuovere per così tanto tempo tante persone, ieri come oggi. In queste grandi pietre, oggi verdastre perché ricoperte di licheni, ci deve essere un potere, una magia, una forza immensa.

Pietre, aiutatemi, vedete come son conciato. Datemi un aiuto, qualcosa della vostra forza.

Quella mattina ci siamo svegliati alle 3 e mentre ci avviciniamo a Stonehenge incontriamo lungo la strada molti druidi, riconoscibili perché vestiti di bianco, con la barba lunga e il bastone, simili al Panoramix delle avventure di Asterix. Ma anche Druidesse con i fiori nei capelli e grandi forme di pane bianco tra le mani, baldanzosi uomini preistorici e altri personaggi vestiti in maniera bizzarra.
Io ho molto timore. Da ragazzino uno zio mi regalò un bellissimo libro illustrato, L’Alba della Civiltà e da allora la preistoria mi affascina. Ma anche se non lo dico sono assai preoccupato. Nella preistoria manco esisteva il concetto di “barriera architettonica”, ce la farò ad arrivare alle pietre? E invece…sorpresa! E’ tutto molto ben organizzato, c’è addirittura un pulmino per i disabili che porta a ridosso delle pietre. Noto infatti che non sono l’unico disabile ad  avere avuto quella idea. Ho trovato più organizzazione e rispetto a Stonehenge che in certi blasonati musei italiani.

La polizia si tiene a rispettosa distanza ma consegna a chi entra un foglio in cui sono elencati orari e “Conditions of Entry”: rispetto per il luogo sacro, niente camping, niente falò, niente cani (God save the Queen, ti ringrazio), niente vetri, alcol permesso in bottiglie di plastica ma droghe no (sorry amici sconvolti, comunque ogni tanto arrivavano inequivocabili zanfate di fumo passivo), minorenni accompagnati, etc.
Norme di buon senso insomma. Del resto Stonehenge è tra i Patrimoni dell’Umanità e va tutelata. In passato addirittura qualcuno si portava via con lo scalpello un pezzetto dei pietroni. Ogni tanto, se qualche ubriaco alzava troppo la cresta, arrivavano due enormi poliziotti inglesi, i famosi Bobby. che con gentilezza ma uhm… decisione lo portavano via. Ma tutto nella norma e senza alzare la voce, non si voleva guastare la festosa atmosfera generale. We would like to wish you a happy and enjoyable Solstice”.

E felice lo è stato per molti. L’atmosfera era a metà tra un raduno hippy alla Woodstock e una cerimonia sacra. Molti giovani di tutte le razze –eravamo sulle 18.000 persone-, i bonghi che suonavano ininterrotti, persone vestite in modo eccentrico, bambini e druidi, giocolieri, fuochi che volavano, alcool a fiumi, druidesse in bianco che distribuivano pane sacro ai presenti, uomini con la faccia colorata di verde o blu, asce e tridenti, torce illuminate, una coppietta seminuda adagiata in mezzo alle pietre e desiderosa di impossibile intimità (ma gli inglesi ho notato li lasciavano stare), riti magici, preghiere in cerchio, donne in ginocchio che invocavano il sole. Ho visto e sentito molte cose. “Mancavano i sacrifici umani”, ha detto con humour britannico un amico di Londra.
Ogni tanto qualcuno, contagiato dalla atmosfera ed evidentemente brillo, vedendomi con la stampella e in difficoltà si avvicinava e chiedeva biascicando “Do you need some heeeelp?” (gli inglesi sotto l’alcool diventano sentimentali). Io pensavo a Lou Reed e rispondevo “Thank you sir, I’m just waiting for my friend”. Loro mi abbracciavano e se ne andavano.
E sullo sfondo            sempre loro, le pietre.
Tutta quella gente in fondo perché era lì? Per assistere ad un nuovo giorno, per vedere il sole alzarsi. Riuscite ad immaginare qualcosa di più naturale, un motivo più semplice per fare festa?
E dato che era molto nuvoloso (anche se fortunatamente non ha mai piovuto) il sole non ha fatto capolino ma… agli hippy non importava. La felicità collettiva continuava.

Tornai contento in Italia. Era stato tutto come volevo. E il neurologo alla visita annuale dopo avermi ascoltato ha commentato: “mmm meglio dell’anno scorso, meglio non scriverlo però, sennò le tolgono l’esenzione…”
Lo so Dottore, è solo placebo, nessuno crede al potere delle pietre.



domenica 27 marzo 2016

IL BÙBBOLO
"Aiutami."
"Certo tesoro, cosa c'è?"
"Aiutami, ti prego."
"Dimmi. Ma...ma cos'è questo rumore?"
"Guarda."
"Ma tu hai un campanellino al collo! Ecco da dove proveniva il ding ding. Chi è che ti ha messo il sonaglino?"
"Quei signori che stamane son venuti a cambiarti il letto."
"Ah si, i miei genitori."
"Ero lì che mangiavo la pappa quando si sono avvicinati da dietro e me l'hanno infilato in testa. Lo devo portare per sempre?"
"No, vieni qua che te lo tolgo.…aspetta, stai calma un attimo …ecco fatto. Lo metto per terra, così ci giochi."
"Grazie umano. Un po' ammetto che mi dava fastidio."
"E ti credo! Il bello dei gatti è che sono animali silenziosi. Sai che però ho una strana impressione? Era bastato poco. Senza questo campanellino, il bùbbolo, mi sembri proprio nuda."
"Cosa vuol dire?"
"Non avere vestiti."
"Ah si come quelli che metti tu. Non ho mai capito perché. Stranezze di umani."
"Sento freddo se non li metto. Devi capirmi, mica ho una pelliccia naturale come la tua, bella micina."
"Povero caro. Io ti voglio bene ma così spelacchiato... sei così brutto. Non ti offendere. Mi sembri così indifeso… Povero, ma come fai?"
"Adesso non rovesciare le carte in favola, quella che ha chiesto aiuto sei tu."
"Ma quello che tiene la catenina al collo sei tu."
"Eh...questa? Vuol dire che appartengo a qualcosa. È un segnale che mando al mondo."
"Ah, appartieni...sai bene che io sono diversa. Voglio essere come dici te, nuda. Sono bella così. Non voglio campanellini, piercing, cappottino… niente."
"Gli animali quindi devono essere liberi. Niente gabbie né collari."
"Così io voglio essere. Libera."

venerdì 25 marzo 2016

Oggi è il Venerdì Santo, il giorno in cui è morto Gesù. E' il giorno più triste per la cristianità. Da bambino ricordo che la radio trasmetteva solo musica classica.
Oggi si è un po' perso questo spirito che accomunava tutta una popolazione, i tempi son cambiati. Ma aspettiamo comunque tutti il giorno di Pasqua, in cui festeggiamo la resurrezione.
Festa che la Chiesa antica aveva saggiamente abbinata alla Primavera, in cui il sole sconfiggeva l'inverno e il mondo diventava ogni giorno più bello.
Antichi riti, antiche fedi che si mescolano e si richiamano.
E c'è un piatto antichissimo tipico di questo giorno, che risale ai Romani e forse ancora più in là: l'insalata con le uova sode, sicuramente l'avrete assaggiata anche voi.
Ogni volta che ne mangiamo un boccone sentiamo gli stessi sapori che sentivano i nostri nonni e le nostre nonne. Un filo ci unisce.

mercoledì 23 marzo 2016


UN PENSIERO FELICE

La bella moglie si avvicinó e diede un bacio alla guancia del marito, seduto sul divano che guardava il bambino giocare sul tappeto. La cena era stata buona e in casa c'era una temperatura deliziosa.
Il bambino giocava con le macchinine, imitando il rumore dei motori "Vruma! Vruma!" Non aveva nemmeno un anno e mezzo, forse era ora di dargli un fratellino. 
La donna si strofinó su di lui e sussurró in un orecchio all'uomo: "amore, questa sera…"
"Sì? Dimmi, tutto quello che vuoi" disse lui speranzoso. Il bambino li guardava.
La donna accarezzó i suoi capelli con un sorriso. "Questa sera…tocca a te mettere a letto il bimbo".
Se ne era dimenticato. Sua moglie era molto più intelligente di lui. La abbracciò. "Mi hai fregato. Speravo te ne fossi dimenticata anche tu. Ma come faccio? L'ultima volta ha pianto per mezz'ora."
"Raccontagli una storia."
"Non mi ricordo più le favole, lo sai."
"Inventare una."
"Aspetta, potrei raccontargli quella del capoufficio antipatico a tutti. Un vero orco, un babau. Proprio oggi gli hanno tirato uno scherzo feroce, potrei raccontargli quello."
"Non fare lo scemo. Guarda nella sua stanzetta, troverai il libro di favole regalato da tua madre. Io sto leggendo Peter Pan, gli piace molto."
L'uomo si alzó dal divano deciso. "Vada per Peter Pan allora! Bimbo bello, si va a letto!"
Il bimbo con ancora in mano le macchinine si mise a strillare.
"Devi cambiargli anche il pannolino!", disse la moglie ridendo mentre usciva con il bambino in braccio. Era in trappola. Però era vietato lamentarsi, se lui aveva combattuto con cento pannolini lei ne aveva cambiati almeno mille.
"Servizio completo, eh? Dai bimbo bello, è ora della nanna. Ma prima… pannolino!"

Più tardi, dopo i soliti pianti e strilli, la scena era molto più tranquilla. Il padre stava leggendo Peter Pan ad un figlio che non aveva nessuna voglia di addormentarsi. Era arrivato al punto in cui Wendy deve imparare a volare insieme a Peter Pan.
Solo che c'era un problema, Wendy non aveva mai volato in vita sua, con grande meraviglia di Peter. E allora, cosa si poteva fare? A Peter Pan venne una idea, consigliò a Wendy di pensare ad un pensiero felice, e con quel suggerimento Wendy riuscì a volare!

All'uomo questo punto della storia mentre la leggeva piaceva molto. "Ma sì -pensó- tanto non mi guarda nessuno a parte il bambino". Posò il libro per terra e si mise a braccia aperte, imitando un aeroplano e facendo i suoni con la bocca. "Guardami, sto volando!" Esplorava ogni centimetro d'aria della stanza mentre il bambino lo guardava con le manine attaccare alla culla e la bocca aperta. "Volo! Volo"


Il padre non poteva immaginarlo, ma quello sarebbe diventato uno dei pensieri felici del figlio, un ricordo talmente profondo che il bimbo diventato uomo non ne avrebbe avuto alcun ricordo. Tutto è possibile in questo mondo, anche per te! Anche tu puoi volare!

IL PERUANO

"Ola, segnor Luca, comò va?"
"Ciao Fernando. Bene grazie. Meno male che sei arrivato. Questa casa è un casino, ieri ho combinato un pasticcio dei miei . Ho proprio bisogno delle tue mani d'oro"
"No se preocupe segnor, sono qui para limpiar. E la gatita donde esta?"
"Mao!"
"Ahh bela guapa. Sei venuta a salutarme eh?"
"Fernando, vuole la pappa buona da te."
"Lo so lo so. Vuoi la pappa subito?"
"Mao!"
"Io te comprendo, gatita!"
"Intanto che le dai la pappa io vado al computer Fernando, che devo finire un lavoro."
"No se preocupe, segnor Luca. Vada vada. Un momentito, gatita!"
(Mentre Fernando dà da mangiare alla gatta e poi incomincia a sistemare. Luca va al computer. Oggi stava ascoltando Mozart invece della solita musica sudamericana che mette quando arriva Fernando. Nella sinfonia c'è un bel passaggio e Luca lo sta ascoltando ad occhi chiusi.)
"Escusame segnor Luca..."
"Dimmi Fernando."
"Ma oggi...niente musica?"
"Eh...ah. Aspetta che metto la solita salsa."
"Muy bien segnor Luca. Bailamos! Que rica esta cancion!"
"Ti piace? Anzi te gusta?"
"Lindisima! Tengo una muneca que baila el cha cha cha..."
"Cos'é la muneca?"
"Como dice in Italia? La piccola mujer para las ninas..."
"Ah una bambola... E qui la bambola baila el cha cha cha,"
"El segnor Luca habla espanol!"
"Non solo. Fernando con te ho imparato a distinguere la cumbia musicale peruana da quella dell'Ecuador. Incredibile."
"E il cibo peruano le gusta? Ha mangiato i tamales che le ho portato la settimana scorsa? Li ho fatti io!"
"Sì molto buoni. Sembrano dei grandi involtini primavera, quelli che danno ai ristoranti cinesi, ma questi sono ripieni di carne e uova."
"Ma li ha mangiati la mattina con il caffè come facciamo nosotros a Lima?"
"No Fernando, la mattina no, ti prego. Io sono italiano, per me la mattina solo caffè e brioche. E poi non ho tanta fame in questo periodo."
"Ah segnor Luca, io lo so perché. Canta y no llores, non serve piangere e soffrire segnor!"
"Tranquillo, Fernando, non c'è da preoccuparsi."
"Bravo segnor Luca. Y recuerda: come diciamo noi in Perù, in questo mundo per ogni hombre ci sono sei mujer. E un maricon de scorta!"
"Che Atahualpa ti ascolti! È un colpo che mi aveva fatto male."
"Ah ah ah, como cantan i Mariachi in Messico lei è stato fortunato, segnor. Le hanno sparato quattro colpi, ma solo uno era mortale!"
"Che umorismo nigro questi messicani...
"Segnor Luca, prima di andar via posso prendere la vitamina?"
"Eh?"
"Una lattina de cerveza!"
"Ah già. Un peruviano a cui non piace la birra è come un italiano che non mangia spaghetti. Difficile da trovare. Ma fa ancora freddino fuori, sei sicuro di volere bere la birra fredda?"
"Si si segnor! Prendo questa italiana che me gusta, la Peroni. Ahhh que rica esta cerveza... Gracias, segnor Luca!"
"Alla salute Fernando! Basta con i mali sentimienti! Che la vita ci porti buone cose."
"Alla salud!"

COME HAI OSATO?

"Cos'è questa roba?"
"Sono crocchette per i gatti sterilizzati, che tendono ad ingrassare." 
"Cos'è questa roba?"
"È la tua pappa."
"Fa schifo."
"Me l'ha detto il veterinario di prenderle quando gli ho detto quanto pesi."
"…Gli hai detto cosa?"
"Ti ricordi stamattina quando ti ho preso in braccio? Poi sono salito sulla bilancia, ho visto il peso totale, ho tolto il mio e ho calcolato il tuo. Tu non eri tanto d'accordo, ma alla fine ci sono riuscito."
"Ah ecco il perché di quella manovra. E poi cosa hai fatto?"
"Ho chiamato il veterinario e gli ho detto che pesavi qua..."
"COSA HAI FATTO?"
"Ho detto al veterinario solo quanto pesavi."
"Come hai osato dire agli altri quanto peso?"
"Amore, a me tu piaci così come sei lo sai. Per me non ci sarebbero problemi e poi ti vedo sempre vispa e allegra. Ma quando domenica sono venuti a trovarmi gli zii..."
"Ah si, quelli antipatici."
"Beh non saranno il massimo ma ti han trovato cicciottella."
"Che ne sanno loro."
"È quello che ho pensato io. Ma poi han detto che un domani potresti avere problemi di salute. A me tu piaci lo sai ma mi son preoccupato, così stamane ti ho pesato. Oh cara non odiarmi. Non guardarmi così."
"Io non ti odio. Però adesso apri l'anta e prendimi il paté al salmone. Devo rifarmi la bocca."
"Ehm il veterinario ha detto solo queste crocchette per un mese. E tanta acqua. Niente....niente pappa umida..."
"Che i topi lo sbranino. Apri l'anta."
"No dai, non posso."
"Sì, tu puoi. Apri l'anta o stanotte non ti lascio dormire."
"In che senso?"
"Mi hai capito benissimo."
"Ah…solo mezza scatoletta però. Così ti togli il saporaccio dalla bocca."
"Bene, e adesso lascia la scatoletta sul tavolo."
"No no la richiudo e metto in frigo."
"Non puoi. Guardami."
"No! No! Non ti devo guardare!"
"Umano guardami."
"Devo resistere! Santi anoressici aiutatemi! Devo resistere!"
"A me? Tu vuoi resistere a me?"

domenica 13 marzo 2016

IL VECCHIO INNAMORATO

L’ultimo ricordo che ho di zia Rosa, di cui vi ho parlato altrove, non risale alla sua scomparsa e nemmeno al suo funerale. Ero troppo bambino, non ricordo praticamente nulla. Rammento solo che la causa fu un incidente stradale e che mia madre addolorata pianse molto la morte della sorella.
Io la guardavo di nascosto: non avevo mai visto un adulto piangere, anzi non credevo si potesse piangere così tanto. Confesso che è l’unico ricordo vero della morte della zia Rosa che tengo. Strano, perché le volevo bene però è vero che non saprei nemmeno indicare dov’è la sua tomba. Non pensate a me troppo severamente, contate che avevo solo dodici anni.
Aspetta però, il vero ultimo ricordo che ho su zia Rosa risale a qualche anno dopo, e fu molto curioso. Sempre mia madre un pomeriggio mi mandò a prendere il pane (quasi come Gianni Morandi ma senza ancora la fidanzatina). Io, baldanzoso e spavaldo diciannovenne sdraiato sul divano a guardar annoiato la tv, tentai di tirare in lungo ma alla fine cedetti. In fondo andare dal panettiere del quartiere era una piacevole incombenza. Era gradevole, quasi eccitante il profumo di farina che sentivo sempre entrando in bottega. Ero ancora adolescente, avevo sempre fame e sicuro ci scappava un bel pezzo di focaccia.

Dopo aver fatto la fila al bancone ordinai presi la busta pagai salutai, tutto come al solito.
Mentre uscivo dalla panetteria però avevo notato che un signore anziano vicino a me mi aveva seguito ed era uscito anche lui dal negozio. Con la coda dell’occhio l’avevo spiato, adesso sarebbe stato il suo turno.
Mi chiamò con un cenno e si rivolse a me: “Tu ti chiami Luca?”
“Sì signore.” Mai visto né conosciuto.
“Ti ricordi di me?”
“No…no, mi spiace. Forse mi confonde con qualcun’altro.”
“Tu sei figlio di (e qui fece il nome dei miei genitori) e avevi una zia che si chiamava Rosa?”
“Ah sì, la zia Rosa!” Era tanto che non pensavo a lei.
“E proprio non ti ricordi di me?”
Vuoto assoluto, con un filo di panico per l’interrogazione. Cosa voleva da me quest’uomo? Continuò.
“Beh, in fondo c’era da aspettarselo, eri troppo piccolo. Tu non ti ricordi, ma abbiamo giocato insieme tante volte quando andavo a trovare tua zia. Ti tenevo sulle ginocchia, ti cantavo pin pin cavallin e tu ridevi.”
Ad essere sincero odiavo profondamente quelle situazioni, in cui qualcuno mi ricordava episodi della mia infanzia a me ignoti. E magari ci ride sopra. Mi sembrava di avere l’aria di un perfetto idiota, smemorato e pure irriconoscente. Balbettai qualcosa in mia difesa.
“Sì…no… forse! Ecco sì, forse. Ha saputo quello che le era successo, vero?”
“Certo che sì, sono pure venuto al suo funerale. Ero quasi in incognito, con gli occhiali scuri, ma avevo la morte dentro. Che giornata triste. Non potevo non salutarla un’ultima volta.”
“Perché? Cioè, perché è venuto in incognito al funerale?”
Qui il vecchio ebbe un attimo di esitazione.

“Ma sì, oramai posso dirlo. E’ passato tanto tempo e queste sono vecchie storie. Io e tua zia abbiamo avuto una relazione, ma all’epoca lei ufficialmente stava con un altro.”
“Veramente? Zia Rosa faceva la doppiogiochista? Che storia!”
“Non giudicare, ragazzo. Tu sei giovane, imparerai che nella vita le cose non sono così semplici.”
“E l’altro sapeva della sua esistenza?”
“Penso di sì, quando Rosa rimase incin…”
“Incinta? Ma la zia Rosa non ha avuto figli!”
Il vecchio sospirò. “Hai ragione. Quando il suo compagno seppe del figlio impazzì, la pregò in ginocchio di abortire, non voleva allevare un figlio bastardo. Lei alla fine si convinse ma c’era un problema.”
“Quale?” Quel vecchio mi stava aprendo un mondo.
“All’epoca l’aborto era ancora illegale, così le pagai l’intervento in una clinica in Svizzera. Rosa alla fine aveva deciso di restare con lui.”
“Cavoli…non ne sapevo niente… -a parte le rivelazioni su zia Rosa, il mondo dei grandi per un momento mi sembrò più complicato di quel che mi era sempre apparso. Contate poi che come tutti gli adolescenti pensavo di essere il primo ad aver provato certe emozioni-. E poi come è finita?”
“Andò in Svizzera e quando tornò mi lasciò. Lo fece con una telefonata brusca, non volle nemmeno vedermi un’ultima volta. Dopo tutto quello che c’era stato. Ci ho sofferto ma lei fu irremovibile.”
“Non l’ha più rivista?”
“No, mai più, anche se l’ho supplicata molte volte. Tua zia Rosa era una gran donna ma spesso…faceva soffrire chi la amava.”
“Ma lei signore, le voleva ancora bene?”
Qui il vecchio non rispose.
“Signore, si sente bene?”
Il vecchio con una mano si coprì gli occhi. Abbassò la testa e iniziò a piangere: “Rosa… Rosa…”






giovedì 10 marzo 2016


IL MIO PERIODO SLAVO

Ti ho mai raccontato del mio periodo slavo? Tempo fa sono stato per qualche mese con una ragazza che proveniva dalla Serbia. Gran bella ragazza, volto e corpo stupendi ma con un caratterino....
Quando si rivolgeva a me era tutto un "Fai qui! Vai là! Sbrigati! Prendimi il caffè! Parcheggia lì! Mi ami? Dimostralo!"
Una comandina insomma, per cui la gentilezza era segno di debolezza. Ho capito allora che in serbo la frase "per favore" non esiste.

Era molto bella e appassionata ma con un temperamento, come dire, un fiiiilo brusco, a quanto ho appreso poi assai comune in quella parte del mondo.
Ahimè io ero giovane e inesperto e ammetto che ero sconcertato da questo modo di fare, tanto è vero che un giorno le chiesi di essere più gentile e affettuosa. Un po' di dolcezza non fa male, dai.

Lei mi lanciò uno sguardo dei suoi bellissimi occhi e rispose:
"Tu vuoi che mi compuorto come duonna italiana?"
"Sí dai, un po' di tenerezza..."
Lei si avvicinô, mi diede una carezza sulla guancia e poi esclamô: "Luchino bèlo! Vai a prendere cafè a tua piccolina che ha tanta voglia!"
"Ah…eh, ecco…forse è meglio se ti comporti come prima."

Provare a cambiare la natura delle persone, che avventura... Molto meglio adeguarsi!
L'8 MARZO
Donna deriva dal latino "domina", la padrona di casa (domus). Ecco, questo è l'augurio che faccio a tutte le donne, che possano trovare una casa in cui essere felici. Non voglio però insinuare, se una donna è felice in altro modo ben venga. Ma che ci sia una casa felice per tutte

sabato 5 marzo 2016

MICIOTERAPIA

“Dao.”
“Ciao umano, come stai?”
“Non moldo bene. Benso di avere un bo’ di bebbe.”
“E perché parli così?”
“Zono raffreddado. Gradie ghe sei venuta qui sul leddo.”
“E’ da stamattina che non ti muovi, ero preoccupata. Non hai acceso nemmeno la luce.”
“Non preogguparti, non è niende di grave. Butrobbo per noi ghe siamo già malati anghe solo un bo’ di bebbe è devasdande ma domani sdarò meglio. Oggi gomungue mi riboso. Ghe sghifo di vida.”
“Non dirlo. Ho notato che in ogni caso stamane presto ti eri alzato.”
“Zì, ho faddo bibì e ti ho riembito la ciotola di grogghedde.”
“Ah, ecco. Non dimentichi le cose fondamentali. In effetti la ciotola era vuota.”
“Veramende g’erano angora grogghedde. Solo ghe non era colma come al solito.”
“Appunto. Era vuota.”
“Non mi far bolemizzare ghe non ho le forse. Non ti voglio far mancare nulla, lo zai. Du sei imbordande ber me.”
“Anche tu.”
“Ci benzavo ieri... che forse ci zono gatti più belli in guesdo mondo ma tu sei mia, e per me tu sei la biù bella.”
“Qui ti devo dar ragione. Posso stare qui con te?”
“Cerdo. Mi piage guando parli con me. Tu usi gli occhi guando mi parli. Con te ho cabito che la telebadia esiste.”
“Per me è naturale, non devo fare sforzi. Mi adagio qui sul tuo petto intanto. Tu chiudi gli occhi.”
“Bello guando vibri.”
“Te l’ho detto, per me è naturale. Ed è anche molto facile. Non l’avevi capito? Vedrai che ti farà bene e starai meglio.”
“Solo tu mi cabisci.”
“Come le chiamate voi, medicine? Seeeenti, però c’è qualcosa qui dentro che non va…”
“Gosa?”
“Le vibrazioni che mi ritornano indietro sono distorte. Cosa c‘è qui?”
“Il guore.”
“Non è bello rotondo. Sembra ci sia una ferita. Non deve essere nemmeno recente.”
“Ghe brava dottoressa ghe sei. Zì, è dell’anno scorso.”
“Bisogna ripararla. Qui mi devo impegnare. Adesso dormi.”
“Va bene, ora boglio dormire un po’. Poi guando mi sveglio ribrendiamo. Speriamo di sdare meglio.”

“Lascia fare a me.”