STORIA DI TAMIT
Presso il Museo del Cairo è conservato un sarcofago in
miniatura appartenuto a una defunta un po’ speciale, una gatta di nome Tamit,
curiosamente sepolta con onori degni di una principessa di alto lignaggio, seduta
di fronte ad una tavola riccamente imbandita e chiamata “defunto
venerabile”.
Quello di Tamit è un caso particolare. In via del tutto
eccezionale e straordinario, fu sottoposta agli stessi rituali e alle stesse
procedure d’imbalsamazione riservate agli esponenti della élite (ben pochi
potevano permettersi tale lusso). Il padrone di Tamit, infatti era un principe
di sangue reale destinato a divenire un faraone di nome Tuthmose.
Si possiedono pochissime notizie sul suo conto, ma Tuthmose
non fu un faraone qualsiasi. Abbandonò il culto politeista dei padri e, per la
prima volta nella storia, cercò di imporre la fede in un Dio unico. Fu una
sorta di “rivoluzione culturale” che però non ebbe fortuna. Presto i sacerdoti
si ribellarono e Tuthmose fuggì.
Sigmund Freud in suo famoso libro (“L’uomo Mosè e la
religione monoteista”) ipotizzò che il principe Tuthmose, dopo essere stato
cacciato si fosse posto alla guida di un popolo in cerca di una nuova terra,
cambiando il nome nel più famoso Mosè. Dunque, Tamit potrebbe dunque essere
stata nientemeno che la gatta di Mosè, il primo ebreo, uno dei fondatori della
civiltà occidentale come oggi la conosciamo.
Forse è solo una leggenda, forse è tutto inventato ma non è
una bella storia? Mosè amava la sua gatta e voleva anche dopo la morte
mantenere un rapporto speciale con lei. E forse la amava così tanto perché alla
luce di una candela, specchiandosi nei suoi occhi, aveva trovato la forza per
fondare qualcosa di rivoluzionario, che vive ancora oggi. A me piace pensarla
così: nei suoi occhi, Mosè aveva visto un nuovo mondo.
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