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martedì 24 maggio 2016

LA GRANDE MASCELLA

E’ successo tutto in pochi secondi.
Stavo guidando tranquillo, parlottando con un amico accanto, quando la macchina di fianco alla mia ha sterzato tagliandomi la strada. Voleva girare e la strada è tutta sua naturalmente. Un Suv naturalmente. Io ho frenato di colpo e suonato il clacson, ma tu guarda che gente, e lì è successa una cosa incredibile.
Il Suv si è bloccato in mezzo alla piazza ed è sceso un omone che ha incominciato ad urlare e sbraitare. Sarà stato alto quasi due metri e con una panza tanta. E ce l’aveva con me perché gli avevo suonato! Si vede che non avevo acconsentito alla regola aurea del Traffico Selvaggio: “il più grosso passa”.

Ed evidentemente l’uomo era abituato a sfruttare la sua imponenza fisica per risolvere le questioni perché si avvicinava minaccioso, agitando un pugno più grande del normale e gridando cose che ho dimenticato ma che sembravano riguardare mia madre. Pareva ringhiasse, giuro.
L’amico di fianco a me era spaventato ma non bisogna farsi travolgere, sennò è peggio. Come il piccolo Davide nella Bibbia, nascondo la mia paura e attendo Golia.
“Ah fijo de ‘na (qui ha detto una parola che non ho capito) ma che kz te suoni?”
“Scusi?”
“Scenni dalla machina! Te smolecolo!”
“Lei mi ha tagliato la strada."
“Ma checcz stai a dì, a’ cornuto?”
“Guardi che ho dei testimoni.”
“Mabaaaffanculo và!”
Un tram aveva iniziato a scampanellare nervoso. Il Suv in mezzo all’incrocio lo bloccava e ogni tram è comunque più grosso di un Suv. Golia con un gesto minaccioso verso di me se ne va. La regola aurea stavolta mi ha aiutato. C’è sempre qualcuno superiore a te.

“Per un attimo ho temuto -dice l’amico mentre ripartiamo-. Tu però ho visto che mantenevi la calma, ma come fai?”
“Chiedilo alla mia gastrite. Ad essere sincero però mi veniva quasi da ridere.”
“Da ridere? Quello ci voleva smolecolare! Non è che sei matto?”
“Forse, però sono in buona compagnia. Ti ho mai raccontato cosa mi è successo a 12 anni?”
“Quando studiavi dai preti?”
“Giusto. Un giorno han portato la nostra classe al cinema per un documentario storico su Mussolini.”
“Educativi quei preti.”
“Solo che è successa una cosa che non si aspettavano. Quando durante i cinegiornali d’epoca il Duce faceva le facce cattive al balcone e sporgeva la mascella… ci faceva sghignazzare. E più sembrava feroce più scatenava la nostra ilarità. Ricordo che noi ragazzi siamo usciti dal cinema con le lacrime agli occhi.”
“Forse i preti lo avevano fatto apposta, per mostrare quanto è ridicolo uno fa il cattivo.”
“Mi sa di no. Il giorno dopo un prete si è arrabbiato e ha sbattuto il pugno sul tavolo: “Non dovevate ridere! E’ stata una tragedia! Lui faceva paura!” Indovina però cosa fanno gli adolescenti quando gli dici di non ridere.”
“Immagino.”
“Da quel giorno per me è così. Quando uno si rivolge a me con fare minaccioso mi vien da ridere e poi penso come levargli la maschera del cattivo. E’ faticosa quella maschera, come scriveva Brecht.”
“Aiutiamoli insomma.”

“Aiutiamoli. Che poi magari andiamo a berci una birra insieme.”
https://www.youtube.com/watch?v=j3ClvAk-0sw

domenica 22 maggio 2016

I LARI

Avete presente nel film, “Il Gladiatore” quando lui, nel silenzio della sua tenda, parla con le statuette e poi le bacia? Ecco, quelli sono i Lari, statuine che rappresentano gli antenati, le persone amate della famiglia. Nell’antica Roma erano diffusissime. A Pompei durante gli scavi ne hanno ritrovate a centinaia.
Nella pellicola del Gladiatore, film storicamente ben fatto (perché noi italiani non riusciamo a fare un film così? Perché? Che ci manca?), il protagonista si rivolge a loro quando vuole conforto, vuole prendere una decisione e non sa che fare. Intensissimo è il legame sacro che li unisce e se notate bene i Lari ritornano periodicamente nel film quando si vuole rappresentare un affetto forte.

“Usanze pagane, superstizioni, residui primitivi da cancellare”. Oh veramente? L’astronauta vola sulla luna ma nel suo portafoglio tiene sempre la foto della famiglia. E se fossi costretto a mettere in uno zaino tutta la mia vita quei ricordi sarebbero tra i primi che ci entrano. Ci sono cose più importanti dei soldi.

Molto spesso io ho pensato alle origini della mia famiglia ma si perdono nella notte dei tempi. Più aldilà del catanonno (il nonno di mio nonno) non sono riuscito ad andare. So che faceva il pescatore in un’isola siciliana, di più non so, è tutta fantasia. Ma da qualche parte è vivo in me. Quando vedo i pescatori, la vita dura e pericolosa che fanno, il mio pensiero va a lui. Vengo da una famiglia di pescatori.


E se parlo di loro, dei miei Lari, è perché anche io sono in un momento difficile della mia vita e non so che strada prendere. Ispiratemi, indicatemi la via. Voi che avete una conoscenza più grande. Per il bene che mi avete voluto, per l’amore che mi avete dato e trasmesso, ditemi, cosa devo fare? Mi guardano con occhi benevolenti, hanno fiducia in me.

https://www.youtube.com/watch?v=QznnNaSeRzw

mercoledì 18 maggio 2016

IL MOSCONE (parte seconda)


“Umano svegliati”
“Chi è?”
“Io, l’unica.”
“Oh ciuao, bella gattona. Ma tu non stavi dormendo qui con me?”
“Ho un regalo per te.”
“Proprio adesso? Stavo dormendo così bene. Stavo sognando un sogno bellissimo. Se mi addormento subito forse lo riprendo.”
“Prendi, è ancora caldo.”
“Eh? Cosa? Ma cosa hai preso? Di cosa parli?”
“Guarda.” (More spinge con la zampa qualcosa sul cuscino)
“Oddio che è sta roba? Ma che schifo! Cos’è che hai messo sul cuscino?”
“E’ il moscone. Sono riuscita a prenderlo. Te l’ho portato in regalo, ti piace? Tanti auguri, umano.”
“Ah, ti sei ricordata che oggi è il mio compleanno, grazie. E’ un regalo insolito ma preparato col cuore, insomma.”
(More inizia a fare le fusa e gongolare, mentre l’umano la accarezza)
“Ho capito che stasera esci e ho voluto portarti subito il mio regalo. E non è certo finita qui.”
“Ehmm non è che mi nascondi altri mosconi? Altri animaletti? Cos’hai ancora per il Luca?”
“Guardalo.”
“Sì sì l’ho visto.”
“Mangia.”
“Cosa scusa? Il moscone? Sei impazzita?”
“Non lo mangi? Sai che ci rimango male. E’ per te, è buono. Mangia, mi sembri così magro.”
“Ehmm tesoro, io sono diverso da te. Siamo vicini ma apparteniamo a due mondi separati che ogni tanto si uniscono. Mangio delle cose diverse dalle tue. Per favore, non mi forzare.”
(More ascolta perplessa) “Strano, perché le tue cose io le assaggio. Ma oggi non è il tuo compleanno? Non gradisci il mio regalo? L’ho preso per il tuo bene.”
“Me lo avevano detto che i gatti fanno di queste sorprese. Mi fa un po’ senso ma apprezzo il pensiero, credimi.”
“Ci mancherebbe, è il frutto della mia caccia.”
”Lo avvolgo nella carta….eeecco…e adesso lo mettiamo via, ci penserò dopo a sistemarlo bene.”
“Non mi convinci, umano.”
“Lo so cara, tu mi leggi dentro.”
“Voglio farti un altro regalo allora. Vuoi sapere cosa penso di te? Cosa ho letto? Vuoi sapere la verità?”
(sconsolato) “Ho fatto degli sbagli nella mia vita, lo so bene. Li ho pagati cari.”
“Non sentirti colpevole, hai combinato anche del buono, non ti preoccupare. Dimentica gli sbagli. Ma sei pronto ad andare oltre le apparenze?” (More fissa l’umano)
“D’accordo.”
“La tua voce trema.”
“Sono pronto a qualsiasi cosa.”
“Avvicinati.”
(l’umano avvicina l’orecchio alla bocca della gatta, che gli sussurra qualcosa)
“Ah, le cose stanno così? Non pensavo.”

“Ecco la verità. E ora che la sai cosa farai?”
"Mi rimetterò a dormire. Forse faccio ancora in tempo ad afferrare il sogno."
"Bravo, hai capito.

domenica 15 maggio 2016

IL MOSCONE


“Miao.”
“Buongiorno tesoro, cosa c’è?”
“Miao. Per favore, umano, apri la finestra. Voglio prendere un po’ di sole dopo tanto freddo, stendermi bene...”
“Giusto, che la luce del sole splenda! Facciamola entrare. Tu non lo sai ma oggi è pure domenica!”
“Non capisco di cosa tu stia parlando. Cosa sono questi rumori che vengono dall’esterno? Sono assordanti.”
“Campane. Ti piacciono?”
“Oggi mi sono svegliata al suono di queste campane.”
“Mi sa che ti dovrai abituare.”
“Stranezze di umani. Ma a te il silenzio non piace?”
“Non molto. A volte mi mette tristezza. Va bene la finestra aperta così?”
“Bravo, hai capito quello che mi piace. Come si sta bene sul davanzale. Che bella vista che si gode da qui…”
“E’ solo un cortile interno.”
“E’ un mondo pieno di segni. Un giorno ti insegnerò a leggerli….Grande Gatto, cos’è? Cos’è quello?”
“Fa vedere, bella. Dove?”
“Quanta pazienza. Lì, dove sto guardando.”
“Ma…ma è un moscone! E si sta dirigendo proprio qui.”
“Un moscone. Interessante.”
“E sta entrando dalla finestra aperta! Che schifo. Mi han sempre fatto schifo i mosconi.”
“Lascialo entrare. Non ti muovere.”
“Ah…More pensaci tu.”
“Bzzzzzzzzzz”
“Lascia fare a me, umano.”
“Senti l’odore del sangue eh? Basta poco e subito viene fuori il felino predatore. Mi piace questa cosa.”
“Non mi distrarre. Si sta abbassando. Tra poco sarà alla mia portata.”
“E’ stata tua mamma che ti ha insegnato a cacciare o ce l’hai nel sangue?”
“Zitto. Ho bisogno di silenzio.”
“Così ti voglio, selvatica!”
“Bzzzzz…bzzzzzzz?...bzzzzz…”
“Chiudi la finestra, umano.”
”Non ti ho mai visto così concentrata, More. Povero moscone, non lo invidio.”
“E gnagnagnà…”
“Tesoro, perché fai questi rumori con la bocca?”
“Gnagnagnà…”
“Ah, fai finta di essere innocua. Astuta. Senti, io intanto mi siedo sul divano.”
“No, alzati, tira giù le tapparelle e spegni la luce. Ci vedo meglio al buio.”
“Lo vuoi in trappola. Sei una vera gatta.”
“Esegui, umano. E senza commentare.”
(le finestre vengono chiuse, le luci spente, il buio è quasi totale. Nel silenzio si sente solo il moscone)
“Bzzzzzz?....bzzzzzzzzzz…”
“More, prendilo dai. E’ tutto tuo e questo è il tuo territorio.”
“Bzzzzzzz…”
(rumori indistinti. Nel buio More è balzata addosso al moscone. Sta succedendo una lotta antichissima)
“Grrrr!! Mao!”           
(con uno scarto il moscone è sfuggito all’agguato e adesso vola in alto. Le finestre vengono riaperte, prima o poi se ne andrà)
“Bzzzzzzzzz!!!......bzzzzzzzzzzzzzz!!”
“Mi spiace bella, ti è sfuggito.”
“Senti, per tutto il resto puoi essere il padreterno ma su queste cose muto.”
“Dai, lascialo andare. Non ci pensare. Ti do un po’ di crocchette.”
“Oh ma io non sono preoccupata. So che non si può vincere sempre. E prima o poi ricapiterà da queste parti”
“Che occhi che hai.”
“Un giorno lo prenderò.”
(Dalla finestra aperta il moscone esce con un ultimo ronzio)
“Bzzzzzzz tiè!”

(More lo segue con lo sguardo)

giovedì 12 maggio 2016

XE OVI!


Dite quello che volete, ma 19 anni rimangono una splendida età, anche con i loro alti e bassi. Dove si pesca, si pesca bene. Essere giovani e pieni di energie, che meraviglia.

Uno dei ricordi belli risale all’estate, quando con un gruppo di amici svalvolati mi recai in Trentino per la raccolta delle mele. Era l’occasione giusta, a quei tempi c’era sempre bisogno di manovalanza. Se per noi di città la stagione estiva è tempo di vacanza in campagna no, in estate si lavora di brutto.

I meleti in Trentino sono giganteschi, non me li aspettavo così vasti. Campi e campi di meli per chilometri e ogni tanto un capannone, dove dormivano i lavoratori stagionali.
La mattina presto ognuno prendeva la sua scala di legno e ci avviavamo verso gli alberi, carichi di mele verdi che aspettavano nella foschia, una immagine che mi è rimasta dentro. Tra la nebbiolina illuminata mi sembrava di vedere alberi d’oro.

E poi per tutto il giorno, finché non calava il sole, appoggiare le scale agli alberi e riempire la borsa di mele e poi i cassoni a terra, che erano portati via stracolmi dai trattori. Senza mai fermarsi, veramente un lavoro duro. Ho compiuto in quei giorni acrobazie irripetibili, attaccandomi a rami sospesi per raggiungere le mele più alte. Un vecchio fattore, ormai troppo anziano per lavorare ma ancora vigile, scrutava severo il lavorare di noi giovani e ripeteva sempre in dialetto : “Xè ovi! Xè ovi!” (sono come uova, trattatele con delicatezza!). Non aveva tutti i torti: è proprio vero che una mela “toccata” farà poi marcire le altre nel cesto.

Mi capitava anche di raccogliere mele enormi, che da sole pesavano più di mezzo chilo. Non avevo mai visto mele così grosse. Erano destinate al Giappone o alla Germania, per l’Italia andavano bene quelle “normali”, le più piccine..
Ogni sera mi lavavo con cura le mani, diventate rosse a furia di schiacciare i ragnetti che camminavano sulle mele. E poi ci si radunava nel nostro capannone per mangiare e cantare tutti insieme. Che poi era il vero motivo del perché noi ragazzi andavamo lì, per socializzare, stare in compagnia, fare delle tresche. Bella età, quando il lavoro è solo un pretesto per divertirsi meglio.

I cucinieri si sbattevano ma il menù era, come dire, un filo monotono: mele in tutte le salse. Spaghetti al sugo di mele, mele al forno, mele grattugiate, insalata di mele, spiedini di mele, mele cotte, mele al vapore, mele alla brace, mele glassate, crostata di mele…
Quando anni dopo ho visto quella scena in Forrest Gump in cui il suo amico enunciava gli innumerevoli modi in cui cucinare i gamberi, e tutti ridevano in sala, a me venne in mente subito quella estate.

Non ho più mangiato una mela per anni, nemmeno se mi ammazzavano. Qualcosa comunque era rimasto, ancora oggi so distinguere a occhi chiusi i vari tipi di mela e a modo mio so di essere un piccolo esperto in materia.

Ah, c’è anche una ultima idea, devo essere onesto. Quando da allora mi tocca eseguire qualcosa che richiede la massima attenzione, per cui bisogna essere concentrati al top, sento da lontano sempre quella vocina che deve essere ascoltata e mette in guardia: “Xè ovi! Xè ovi!”

https://www.youtube.com/watch?v=pKlcK4YxqOc

martedì 10 maggio 2016

FRIVOLEZZE
Ebbene sì mi piace fare delle robe insulse ogni tanto. Ogni tanto spesso. Potrei anche farne a meno certo, ma perché? Mi piacciono e mi divertono. Oggi mi confesso, queste sono alcune delle mie frivolezze.
1.ogni volta che butto la carta nel cestino, mimo i secondi finali dell’ultima partita del campionato di basket. Dal mio tiro dipende il destino di tutti. Faccio anche la telecronaca: “Tartaro prende la palla…la accartoccia bene…scarta tutti…si prepara, tira…e fa canestro!” Di solito imito con la bocca anche il boato della folla.
2.quando mi alzo dalla sedia che ci son rimasto troppo a lungo imito la andatura di John Wayne che scende da cavallo. Per un po’ cammino così a gambe divaricate. America! Dov’è il saloon?
3.Se il mio specchio potesse parlare…meno male che è muto
4.Mi piacciono i film scemi con Lino Banfi, Abatantuono e compagnia bella. Più sono scemi più mi piacciono. Alcuni comunque sono obiettivamente dei capolavori (Vieni avanti cretino, lo sfilatino, Ayeye Brazov, Antani) che hanno lasciato il segno.
5.Adesso la mania dei fumetti mi è un po’ passata, ma la mia corposa collezione di Martin Mystere deve essere ordinatissima nella numerazione. Non sono ammesse alterazioni, eccheccz!
6.A volte mentre leggo il giornale mi ritrovo a spulciare i necrologi, nel macabrissimo pensiero “vediamo un po’ chi è morto oggi, magari conosco qualcuno”. Erano tutti bravi e belli quelli che son morti, si vede che gli stronzi sono immortali.
7.”Volante uno a volante due…”, se mi hai capito fai parte del club
8.posso avere cento cose da fare al pc ma la mia partitina a Spider 4 semi non me la leva nessuno. Anzi, devo stare attento con i giochini che qui passano delle mezzore.
9.Durante la doccia divento un cantante affermato, una rock star coi controcosi. Mi devo comperare la spugna a forma di microfono che è più professionale.
10.Ho guardato così tante volte il video di Germano Mosconi che so riprodurre anche le pause
11.Devo stare attento quando passo dall’edicola perché divento molto vulnerabile agli acquisti d’impulso. L’ultima volta mi son preso la statuetta di Iron Man. Non sapevo di averne bisogno. Ho cercato di resistere, ho cercato, ma alla fine ho ceduto.
12.Vado matto per quelle schifezze che vendono, i Saikebon. Lo so, non dite niente. Sapeste quante serate mi hanno risolto.
13.Più importante è la riunione, più la maglietta che indosso sotto è adeguata. Ne ho per tutte le occasioni: quella dei Ramones, della Mongolia, di Jeeg Robot, dei Puffi… Solo così riesco ad essere serio.
14.Voglio, assolutamente voglio, il cappellino che indossava Walter White in Breaking Bad. Basta regalarmi libri! Per chi mi avete preso?
Vabbè dai, mi fermo qui che mi sono già messo a nudo abbastanza. E questa è solo la punta dell’iceberg!

sabato 7 maggio 2016

IL SALTO DELLA FEDE

“Ciao Luca, guarda cosa ti ho portato!”
“Ciao mamma, come va? Bello questo lavoro a maglia, cos’è?”
“E’ una piccola coperta! L’ha sferruzzata la signora Terradini quando ha saputo che avevi una gatta. Ti piace?”
“Il colore rosa intenso non è male, lo rende unico, di sicuro niente in questa casa ha quel colore. Ma perché mai avrebbe realizzato una copertina?”
“Luca, non capisci? E’ da mettere sul letto dove dorme la micia, così sta bella comoda. Anzi, fammela sistemare subito. Dove è che dorme More?”
“Lì sopra.”
E con il dito indicai come una guida indiana un punto vicino al soffitto, il monte Everest della mia casa, l’armadio più alto e irraggiungibile.
“Ah. E come facciamo ad arrivare lì?”
“Non si può, la scala non ci arriva. Quello è il suo nido privato e inaccessibile, non so nemmeno io cosa può averci portato. Vedo solo che lei è sempre lì sopra che dorme o guarda e vigila sulla casa.”
“In che senso vigila?”
“Quella è una postazione strategica, il suo istinto felino ha visto giusto. Non solo domina la valle di tutta la stanza, ma riesce pure a tenere d’occhio la porta di casa. Ho scoperto il posto ideale dove posizionare una telecamera.”
“E la copertina della signora Terradini?”
“Boh, non lo so, mamma. Intanto mettila sul cuscino di fianco al mio, magari un giorno More la scoprirà.”
“Toglimi una curiosità però. D’accordo che come postazione è l’ideale ma come fa More a raggiungerla? Anche se i gatti sono buoni saltatori, dubito che riesca a saltare tre metri. Come fa?”
“Per molto tempo è stato un mistero anche per me. Poi l’ho scoperto un pomeriggio, mentre facevo finta di dormire e intanto la osservavo. Si era costruito tutto un cammino, passava con varie manovre da una libreria all’altra sempre più in alto. E tutto in assoluto silenzio.”
“E’ brava.”
“Alla fine è arrivata dove voleva, il più vicino possibile al tetto dell’armadio. Solo che c’era un problema…”
“Doveva fare un salto?”
“E anche bello grande. Tra l’ultima libreria e l’armadio c’è quasi un metro di distanza. E sotto il vuoto. Un salto molto pericoloso. In cui doveva fare appello a tutta il suo coraggio e la sua fiducia.”
“Il salto della fede, come dice Don Oreste!”
“Scusa?”
“Il salto della fede, quando arrivi al punto più alto ma vuoi andare avanti. In quel caso devi trovare in te la forza e la fede in qualcosa di più grande.”
“Sì, forse Don Oreste ha ragione, perché anche More fa così. Si ferma, guarda, valuta. Sembra esitare, il rischio di cadere e farsi male è molto alto. Ma poi prende la sua decisione, vuole qualcosa di più. Raccoglie le sue forze, si concentra…e balza sull’armadio, in un luogo per tutti noi irraggiungibile.”
“Coraggiosa la tua gatta. La prima volta che ci è riuscita dev’essere stato un momento epico.”
“Sì. Adesso lo fa tutti i giorni, ma prima volta ha compiuto proprio un atto di fede. Di grande fede.”

La morale della storia la faccio breve: per me è stata una delle lezioni più importanti che mi ha dato More. Anch’io nella vita mi sono trovato in situazioni simili, in cui tra me e il mio obiettivo dovevo azzardare qualcosa di rischioso, dall’esito assai incerto. Una proposta lavorativa, approcciare una ragazza, fare una telefonata azzardata, alzare la mano in pubblico e dire la mia, entrare in un posto sconosciuto etc.

Il mondo non ha molta pietà di noi timidi. Ma bisogna aver fede in qualcosa di più grande e se la mia gatta chiude gli occhietti, trova il coraggio e salta perché non posso farlo io?

domenica 1 maggio 2016

GELOSIA!

“Dove sei stato?”
“Ciao tesoro, eccomi a casa. Sono stato con degli amici tutto il pomeriggio.”
“Dove sei stato, umano?”
“Tranquilla tesoro, anch’io ho sentito la tua mancanza. Eccomi qua adesso. Mangiamo?”
“Aspetta…cos’è questo odore?”
“Quale odore?”
“Tu non lo senti, ma io sì.”
“Non capisco di cosa tu stia parlando.”
“Hai un odore strano. E questo?”
“Questo cosa?”
“E questo cos’è? Questo pelo.”
“Ah, non lo so.”
“Qui ce n’è un altro. E un altro ancora.”
“Che occhio acuto che hai tesoro, io non vedo niente.”
“SEI PIENO DI PELI! Dove sei stato?”
“Ma te l’ho detto, a pranzo con amici, poi dopo pranzo siamo andati a casa di una amica che ci ha offerto il caffè. Abbiamo chiacchierato e dopo son tornato da te.”
“E lì cos’hai fatto? Dimmi la verità.”
“Ma niente te l’ho detto, abbiam solo parlato.”
“E questi peli? E questi peli?”
“Ah sì, mi sembra di ricordare…forse c’erano anche dei gatti…sì, un paio…ma erano brutti, non erano certo belli come te, cara.”
“E allora come fai ad averli addosso? Ha la giacca piena di peli.”
“Ah sì, mi sembra di ricordare che ne ho accarezzato uno. Forse gli ho fatto anche dei grattini.”
“Cosa hai fatto?”
“E’ perché altrimenti non si staccava più di dosso…ahia, cosa fai? Sta buona! Non mi mordere! Attenta, mi fai male! Ahiaaa!!!!”