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domenica 31 luglio 2016

LA M DI MORE

“Ciao Luca, hai sentito che caldo? Come sta la gattina?”
“Ciao bella vicina, non so dove sia. Sarà nascosta da qualche parte. Però se vuoi conosco un trucco per farla saltare fuori dal nascondiglio.”
“Agitare le crocchette?”
“No no, piuttosto versale dell’acqua fresca nella ciotola. Plin plin.”
“Giusto, con questo caldo…”
“Mao!”
“Eccoti qua. Ciao More, fatti vedere. Che bella, Luca, che è diventata la tua gatta. Si vede che è nel fiore della vita.”
“Mao!”
“Eccoti l’acqua, tesoro. Luca, ti sei accorto di una cosa di lei?”
“Cosa? Dimmi.”
“Ti sei accorto che la tua gatta ha una M sulla fronte?”
“Davvero? Fa vedere…ma sì, hai ragione! Come ho fatto a non vederla prima? Ha la M di More dipinta sulla  fronte!”
“Beh, non proprio di More. Alcuni gatti hanno la M, ce l’aveva anche una delle mie. Vuol dire che discendono da una gatta speciale.”
“Quale gatta?”
“La sua bis bis bis bis nonna, che stava nella grotta dove nacque Gesù Bambino.”
“C’erano già i gatti in Palestina?”
“La Palestina è piena di gatti, non lo sai? Sono originari di quelle parti, del resto la parola soriano deriva proprio da siriano.”
“Ah, non sapevo. E chi era quella gatta nella grotta?”
“Una gatta normale, nulla di speciale. Però aveva un gran cuore e si accorse che per riscaldare bene Gesù Bambino forse il bue e l’asinello non bastavano. Allora quella gatta salì sulla culla e si accucciò vicino a lui, per tenergli caldo con il suo manto.”
“More, non mi avevi detto che tua nonna aveva conosciuto Gesù Bambino.”
“Mao.”
“La prossima volta che allestisco un presepe allora metto anche un gatto. Ma sarà vera questa storia?”
“Certo, c’è la prova. La Madonna, per ringraziare la gatta, la accarezzò e le scrisse con il dito la lettera M sulla fronte. Un segno che sarebbe rimasto a tutti i suoi discendenti.”
“More, ma… ma allora tu sei una gatta preziosa. Conoscevi già questa storia?”
“Mao.”
“Mio Dio, chissà quante storie hai da raccontarmi.”
“Mao!”




IN-BAR-RAZZISMI
“Chisto caffè è ‘ na monnezza.”
“Uèla, sei napoletano?”
“Di Napoli, per l’esattezza. Chi dice che è napoletano di solito viene da fuori.”
“Allora sai fare la pizza, sai suonare il mandolino e balli la tarantella.”
(sospira) “Senti polentone, io ti voglio bene ma la pizza la mangio solamente, mai ho toccato un mandolino in vita mia e non so ballare la tarantella. Figur’ti.”
“Ma che napoletano sei?”
“Verace. Vengo da Mergellina, guagliò. Ma tu sei... sei di Milano?”
“Certo. Non si sente?”
“Ma Milano-Milano?”
“Ommadonna, questa volta tocca a me sospirare. Io sono di Porta Ticinese.”
“E che è?”
“Un quartiere popolare.”
“Ah, ‘nu rione. E’ la prima volta che vedo un milanese dal vero... Ma è vero che voi milanesi siete tutti ricchi, non tenete cuore e votate Berlusconi?”
“Guarda, al massimo ne hai indovinata una. Per il resto N.C.S.!”
“E che vulite significa’?”
“Non Ci Siamo, pirletta! Ma voi ci vedete così?”
“Tenevo una zia che era stata a Milano…Che brutte storie raccontava. Ma toglimi uno sfizio, ma a te veramente piace la nebbia?”
“Perché no?”
“Oggesù, ma allora è vero. Sono spiaciuto assai, poveretto.”
“Compatito da un napoli, adesso le ho viste proprio tutte. Dai, ti offro il caffè.”
“Ringrazio assai ma qui no, non è bbuono.”
“Ma è un bar tra i migliori del centro!”
“Cumpà, vieni a casa mia che mamma mia ti fa il caffè, ma quello vero. E dopo scendiamo a cattà li taralli! Stavolta offro io.”,
(arriva un terzo) “Aò, ho sentito che quarcuno offre! Che se magna?”
“E’ arrivato o’ malamente.”
“Vabbè ho capito. Vi lascio, che devo andare a lavorare. Oh ragazzi, se non ci vediamo più…auguri!”

venerdì 29 luglio 2016

DALLA PRIMA LETTERA DI TARTARO AI SUOI DISCEPOLI

Viveva a quei  tempi in Lombardia un uomo talmente buono che era reputato da tutti un coglione. Ed in effetti un po’ coglione lo era.
Sul lavoro per esempio evitava di alzare la voce e risolveva i contrasti in maniera pacata e cercando di non offendere nessuno. In genere nei rapporti umani si fidava delle persone ma quando si discute di soldi ahimè questo è un grave errore, che lo aveva amaramente scottato più volte. Eppure cercava di non perdere la fiducia negli altri e manteneva un atteggiamento gentile come era connaturato sin da ragazzo al suo carattere.

Voi, miei cari fratelli e discepoli, capite che questo comportamento in tempi difficili può avere effetti molto ma molto negativi. Servirebbe più aggressività, forse più cattiveria. Avere un atteggiamento sensibile e rispettoso, che tiene conto di ogni osservazione, è in fondo segno di un animo buono ma che raramente raggiunge la vera grandezza.
Se si vuole sopravvivere spesso bisogna sgomitare e spesso scavalcare i più deboli. E’ brutto ma è così. Tant’è, il nostro uomo suo malgrado, nonostante indubbie doti di intelligenza e successi professionali, era considerato un senza palle e relegato in un angolo.
Naturalmente aveva anche lui un lato oscuro, fatto di maledizioni, ricordi neri e brutte robe, ma lo teneva accuratamente celato, se ne vergognava e non lo esibiva al mondo, come oggi fanno in tanti.
Per non parlare poi, miei cari fratelli, del suo rapporto con le donne, sulle quali stenderei un burka pietoso.

Anzi no, lo conoscevo e forse c’è una storia a proposito. Voi sapete che in Lombardia c’è un grande deserto dove il sole picchia forte. Un giorno stavamo appunto attraversando questo deserto e ci venne sete.
Arrivammo ad una casa dove era affacciata una donna e lui le chiese dell’acqua. Questa, vedendoci stanchi e impolverati, si mise a ridere e con disprezzo gli indicò la ciotola del cane. Un’altra ci chiuse la finestra in faccia. Una terza fece grandi sorrisi ma alla fine con una scusa non ci diede nulla. Una quarta fu molto gentile, ci avrebbe dato anche da bere però solo se pagavamo un prezzo francamente eccessivo. E via così. Ogni volta comunque lui salutava, si girava e senza arrendersi andava a cercare nuove possibilità. Era cortese ma tenace, non si arrendeva.

Mi sembra già di sentirvi, amici miei: di solito a questo punto delle parabole appare una donna gentile che offre acqua fresca e tutto si risolve per il meglio. Ma qui non accadeva e, mentre ci avviavamo da soli verso un pozzo lontano, parlavamo di come potevamo risolvere la nostra solitudine e il nostro bisogno.
Entrando con la forza in una casa e pretendendo da bere? Minacciare di rappresaglie? Sedurre le donne e ingannarle come facevano altri? A quell’uomo usare la violenza, sia fisica che verbale, come si sarà capito ripugnava ma la gentilezza e il perdono non sortivano grandi effetti.
Intanto il sole picchiava forte e arrancavamo verso il pozzo. Ad un certo punto disse “Forse è il mio destino di rimanere solo.”
Gli risposi subito no, che certo il Signore aveva in serbo altri piani per noi. Anche se non avrei saputo dire quali.
“La vita è una severa maestra –continuò-. Comunque alla fine una lezione da oggi l’ho imparata: bisogna cavarsela da soli. La bontà va bene nel rapporto con gli altri ma con se stessi…con se stessi bisogna essere sicuri e inflessibili.”
Io stavo zitto. Intanto eravamo arrivati al pozzo. In giro non c’era nessuno, solo un mulo che stava immobile sotto a una tettoia all’ombra.

D’accordo, rifletteva l’uomo ad alta voce mentre tirava su l’acqua dal fondo del pozzo, ma dov’è l’amore in tutto questo? Perché non riusciamo a vivere in pace e ci facciamo del male a vicenda? Non è un peccato?
“Sì è un peccato”, dissi sinceramente.
“Ma c’è qualcosa che non avrà mai fine. Forse…forse l’Amore è la risposta, Senza amore niente ci gioverebbe, e l’acqua non placherebbe la nostra sete, nemmeno quella fredda di questo pozzo. Non bisogna tener conto del male ricevuto, l’Amore non avrà mai fine.”
Io lo ascoltavo muto. Non erano discorsi da fare sotto un sole implacabile. In ogni caso, miei cari fratelli, dopo aver detto questo, l’uomo si voltò indietro e ritornò verso le case di prima, per sorridere e parlare ancora con quelle donne. Non ho più saputo nulla di lui.



domenica 24 luglio 2016

HEY BAMBINO

“Hey bambino…bambino…sì, tu proprio tu…cosa fai? Non ci guardi?…non fare finta di niente.”
“Cosa volete? Lasciatemi stare.”
“Allora ce l’hai la lingua, scemo. Fermati.”
“Voglio passare.”
“Questo è il nostro territorio, cosa ci fai qui?”
“Sto andando a casa.”
“Oh stai andando a casa dalla mamma eh? Quanti anni hai, rimbambito?”
“No…nove.”
“Quelli come te non possono passare di qua.”
“Lì c’è casa mia.”
“Questa strada è nostra, non lo sapevi?”
“Ve ne approfittate perché voi siete tre grandi e io son da solo.”
“Gnè gnè gnè cosa fai frigni?”
“Lasciatemi passare.”
“Se vuoi passare devi pagare. Che cos’hai tra le mani?”
“Niente.”
“Fa vedere.”
“No.”
“Tenetelo fermo…Ah è il giornalino dell’Uomo Ragno.”
“E’ mio!”
“Se vuoi passare ce lo devi dare.”
“L’ho appena comperato.”
“Daccelo e non ti faremo niente.”
“E’ mio.”
“E adesso è nostro.”
“E’ mio!”
“Sei sordo rimbambito? E’ nostro. E adesso puoi passare. E non dire niente alla mammina, sennò la prossima volta che ti vediamo ti facciamo mangiare la terra. Ti piace la terra?”
“Me la pagherete.”
“Si si mandaci il conto.”
“Mi ricorderò di voi.”
“Vai vai, scemo.”



DICHIARO LA GUERRA
Dichiaro la guerra
Ai maschi indecisi
Ai troppo precisi
Che con questa scusa
Non fanno mai niente
Non toccan le donne
Non metton le mani
Sotto le gonne
Non toccano il culo
“Voglio esser sicuro”
E passa l’estate
E male restate
Nessuno che osa, si butta
Che lascia distrutta
Nessuno che afferra
Nell'unica guerra
Serata elegante
Vestito da fata
Ma poi sulla porta
Ti guardo e mi accendo
Ti voglio ti prendo
Finisce stracciata
La veste fatata
Ti arrabbi hai capito
Non ti ho resistito
Ma se nulla fate
Se passa l'estate
Nessuno che osa, si butta
Che lascia distrutta
Che prende, che afferra
Nell'unica guerra
Per tutta la notte
Davanti al locale
Vi abbiamo aspettato
dannate australiane
Ci siamo ubriacati
Con la decisione
Di fare domani
La dichiarazione
Di guerra all’Australia
Tu uomo stai pronto!
Si lavi l’affronto!
Che se nulla fate
e passa l'estate
la donna vi atterra
Nell'unica guerra

domenica 10 luglio 2016

Dammi il caffè per cambiare le cose che posso cambiare, dammi il vino per accettare le cose che non posso cambiare e dammi l'acqua per capire la differenza